Nei giorni scorsi si sono costituite le giunte comunali, uscite vincitrici dalle elezioni del 24 maggio. I socialnetwork erano inondati di fotografie e video di piazze piene di persone semplici che in questi mesi hanno fatto cose incredibili. Nel mezzo dell’euforia collettiva, c'era anche il messaggio di un compagno che contrapponeva una fotografia di quattro anni fa scattata in Plaça Catalunya durante il 15-M, con quella della vittoria elettorale di Plaça Sant Jaume, sottolineando la relazione non meccanica fra le due. Due foto non per simbolizzare una relazione automatica tra il piano politico, sociale e quello elettorale bensì una relazione dialettica, conflittuale e complessa. Bisogna valutare l’esperienza sociale degli ultimi decenni (molto prima del 15-M, anche se questa data rappresenta un punto di svolta), il riflusso delle mobilitazioni dell'ultimo anno e mezzo, il blocco istituzionale, la repressione delle rivendicazioni per cui si è lottato e quella che sembra essere una cristallizzazione di queste istanze attraverso i programmi e i codici etici delle candidature alle amministrazioni locali. Una cristallizzazione che speriamo (e ci batteremo per questo) non si converta in un irrigidimento del ciclo politico attuale ma che permetta di rilanciare il movimento popolare e avanzare.
Il tipo di richieste e gli slogan degli ultimi anni hanno eroso la legittimità politica del Governo con un’idea di base molto semplice e fondamentale: “si potrebbe fare diversamente”. In ogni caso, non è stata messa in discussione la struttura dello Stato né la natura ostile delle istituzioni verso gli interessi delle classi popolari, né altre cose che configurano e condizionano il campo politico. Così i nuovi governi espressione delle candidature popolari, si trovano nella difficile situazione di provare a governare amministrazioni indebitate e sotto il ricatto dei grandi imprenditori e delle corporazioni, contro un’opposizione di destra che giocherà alla guerra di logoramento, alla ricerca di una propria ri-legittimazione e contro i grandi mezzi di comunicazione. Tutto questo senza un movimento popolare radicato che goda di una certa autonomia dai candidati stessi.
Uno dei compiti fondamentali di queste candidature è che le classi popolari sperimentino la non neutralità delle istituzioni. Denunciare le situazioni di ricatto, capire che conquistare il governo di una città vuol dire conquistare una parte di potere, fondamentale ma limitata e su un terreno che non è fatto per servire i nostri interessi. Purtroppo il caso della campagna mediatica contro l'assessore di Ahora Madrid, che ha portato alle sue dimissioni o quello dell'appoggio da parte di Barcelona En Comù alla firma del contratto per il GSMA Mobile World Congress, che include condizioni assolutamente inaccettabili, ci danno i primi due esempi di come non si devono gestire queste situazioni.
Sono esperienze che danno un ammonimento: chi cerca di essere il “sindaco di tutt*” e ottenere consensi tra interessi contrapposti invece di affrontare la politica come un conflitto, finisce per diventare il sindaco dei soliti.
Un altro compito importante, che è anche il più complesso, è che i settori mobilitati nelle lotte concrete vedano questi governi popolari come alleati, ma non come loro sostituti. La sostituzione finirebbe per sgonfiare le lotte, sostituendole con le politiche assistenzialiste.
Questo tipo di misure non aumenterebbe le capacità di auto-organizzazione delle classi popolari, sebbene potrebbero migliorare nell'immediato le loro condizioni di vita. Ad esempio, sono la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (PAH) e il movimento per il diritto alla casa a dover decidere il ruolo delle amministrazioni nel fermare gli sfratti, i tagli alle forniture dei servizi o trovare una soluzione all’emergenza casa.
A medio termine se si utilizzano unicamente dei palliativi senza stimolare l’auto-organizzazione, i nuovi governi si troveranno in una condizione di maggiore difficoltà nel cercare di evitare che sia l’oligarchia ad indicare ciò che è possibile fare e ciò che non lo è. Di conseguenza, potrebbero finire con l'assumere solo quelle decisioni che non siano in contrasto con il mantenimento del sistema capitalista. Vale a dire che le azioni istituzionali devono rispondere alle situazioni di emergenza ma mantenendo insieme gli interessi immediati delle classi popolari con gli interessi di fondo del sistema.
Al tempo stesso bisogna provare ad evitare che si configurino due agende politiche inconciliabili tra il lavoro istituzionale e i movimenti sociali. La sfida è quella di lavorare rispettando questa autonomia relativa delle lotte, affinché non vengano ipotecate dall’agenda di governo. Con questi obiettivi, i governi popolari devono essere onesti e scontrarsi con i limiti e i ricatti che incontreranno. Trovare una soluzione a queste situazioni sarà la chiave per non generare sfiducia nei settori più attivi e politicizzati, né una sensazione di fallimento e delusione in quei settori impegnati nella loro prima esperienza politica.
Se dirgiamo lo sguardo all’altro lato del Mediterraneo, potremmo trovare alcune piste. In Grecia vediamo una società con un tasso superiore di sindacalizzazione che ha alle spalle molte più esperienze di lotta concreta durante la crisi e molti più anni di costruzione di strumenti politici come sono Syriza e Antarsya. Anche in queste condizioni, migliori rispetto allo stato spagnolo, per rompere con l’austerità, il governo Tsipras si trova con le spalle al muro, ricattato dalla Troika e con un riflusso delle mobilitazioni popolari.
L’esperienza di Syriza in Grecia, di Barcelona En Comú a Barcellona o di Por Cádiz sí se Puede (tra le altre) può portare a due risultati contrari. Da un lato, esiste la possibilità che un fallimento finisca con il consolidare l’idea tra le classi popolari che non vi sia alternativa all’austerità neoliberista. Dall’altro, se sono capaci di mostrare i risvolti anche più nascosti delle istituzioni, possono socializzare la percezione che per poter dare una risposta alla crisi di regime, non basta una “rigenerazione” o un cambio delle elites politiche. In altri termini, che l’unica alternativa possibile è la rottura con le istituzioni attuali e l’apertura a dei processi costituenti.
La possibilità di rompere con il patto del ‘78 e far fronte ai ricatti della Troika passa dal ricomporre l’auto-organizzazione delle classi popolari, che furono abbandonate dai partiti assorbiti dal regime e dal sindacalismo concertativo. Passa anche dalla creazione di esperienze di lotta e di auto-organizzazione con una generazione che non ha vissuto (e perso) la transizione, che non ha conosciuto quelle lotte e che si colloca prevalentemente in settori (disoccupati, lavoratori temporanei, lavoratori del turismo o emigrati) con poca tradizione della cultura sindacale e con difficoltà di organizzazione politica.
Delle classi popolari coscienti e fortemente organizzate sono la condizione materiale che permetterà di passare dalle posizioni istituzionali conquistate il 24 Maggio (e in future competizioni elettorali) ad un potere popolare effettivo.
Basare questa possibilità sull’illusione di una mera lidership elettorale, può essere il peggiore dei disastri. Ancor più se si pensa all'equilibrio di forze esistente, che è il frutto della decomposizione delle organizzazioni popolari nei decenni scorsi. Ma questa è la realtà nella quale dobbiamo lavorare.
*Fonte articolo: http://vientosur.info/spip.php?article10197 Traduzione di Maria Al Mahmoud.