Aleppo, i crimini del regime di Assad

Thu, 15/12/2016 - 09:50
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Redazione di A l’Encontre*

Lunedì 12 e martedì 13 dicembre, le milizie controllate direttamente dal regime iraniano – i Guardiani della rivoluzione, Hezbollah, le milizie venute dall’Iraq – e le forze speciali della dittatura di Bachar el Assad, appoggiate direttamente dai bombardamenti dell’aviazione russa, hanno ripreso, distretto per distretto, la maggior parte di Aleppo Est grazie ad uno sbarramento di fuoco in continua crescita.
Sappiamo in modo documentato che dei bombardamenti al fosforo, cioè ordigni incendiari, hanno fatto vittime civili, bruciate in piena strada. Parecchi giovani ribelli si rifiutano di raggiungere le zone controllate dai servizi speciali, dalla polizia e dall’esercito della dittatura. Sui social media confidano il loro timore di essere incarcerati, torturati e condannati a morte. Infatti disponiamo di informazioni concordanti su tali esecuzioni alle quali si aggiunge l’arruolamento forzoso – documentato dai giornalisti che si trovano ad Aleppo Ovest – di giovani uomini che erano fuggiti da Aleppo Est nelle brigate pro-regime e che sono stati mandati a combattere in prima linea contro le ultime sacche di resistenza dei ribelli. Coloro che si rifiutano sono “confidati” ai servizi speciali del regime, i Mukhabarat, che hanno ammazzato intorno a 40.000 persone dall’inizio del 2011.

Ohmar Ouahmane, corrispondente di France Culture ha messo insieme diverse testimonianze diffuse il 13 dicembre nel giornale delle 7. "Mondher ha passato gli ultimi 5 anni della sua vita a testimoniare prima sulla repressione del regime di Bashar El Assad e poi sugli orrori della guerra civile. Per questo giovane padre di famiglia vale di più morire che raggiungere le zone controllate dalle forze governative. Dichiara: 'Non posso recarmi nelle zone controllate dal regime. La gente viene torturata in grandi numeri e condannata a morte. Ė questo regime che ha massacrato centinaia di migliaia di persone. Non dimostrerà nessuna pietà.' Restare nei quartieri ribelli di Aleppo, con qualunque conseguenza, è anche la scelta di Mohamed per il quale la libertà non ha prezzo. 'Perché non vado nella parte controllata dal regime? Perché sarei arrestato. Io Voglio vivere libero e dignitosamente, e questo è un crimine per il regime di Assad. Centinaia di persone andate nelle zone controllate dal regime sono oggi date per disperse e questa sarebbe anche la mia sorte. Alcuni sono stati arruolati forzosamente nelle truppe del regime e altri sono in carcere.' L'unico crimine di questi attivisti è di essere stati testimoni degli abusi del regime siriano".

Raphael Pitti – un ex medico militare francese che si è occupato ad Aleppo della formazione del personale medico, i Praticanti dell’Unione delle associazioni siriane di soccorso medico, che sono sempre in contatto con il personale medico rimasto in ciò che rimane della zona ribelle – confidava questo 13 dicembre al giornalista Eric Biegala che le forze cosiddette lealiste “hanno bruciato famiglie intere nelle loro case. Hanno condannato a morte sommariamente una trentina di bambini vicino al cimitero. All’ospedale Al Hayat hanno ammazzato l’insieme dello staff insieme ai malati che si trovavano nell’ospedale. La gente è terrorizzata.”

I “berretti rossi”: da Grozny ad Aleppo

Mentre l’aviazione di Putin moltiplica i bombardamenti, "unità speciali cecene sono state inviate in Siria per compiere una missione di “polizia militare” e mettere in sicurezza la base aerea russa situata a Hmeimim nella provincia di Lattaquié. Decine di soldati pronti a imbarcarsi su una pista aerea sono apparsi su un video reso noto il 6 dicembre e diffuso giovedì da un sito internet legato al Ministero della difesa e da alcuni media russi" scrive Isabelle Mandraud su Le Monde del 10 dicembre 2016.
L’esperienza di Grozny – una città che è stata distrutta e la cui popolazione “ribelle” è stata repressa con gli stessi metodi utilizzati ad Aleppo – viene riciclata. Usando i termini di Isabelle Mandraud: “la presenza di militari ceceni in Siria costituisce a tutti gli effetti un importante simbolo, come sembra suggerirlo un tweet dell’Ambasciata russa negli Stati Uniti apparso in ottobre. Accompagnato da foto recenti di Grozny, devastata dai bombardamenti russi all’inizio degli anni 2000 poi ricostruita, il messaggio insisteva sul fatto che questa città era, da allora, diventata 'pacifica, moderna, e prospera': 'Non sarebbe la soluzione che cerchiamo? John Kerry? Boris Johnson?', c’era scritto con la parola chiave 'Aleppo'.”
Aleppo Est è distrutta, i cacciatori Sukhoi, tra quelli imbarcati sulla portaerei Ammirale Kuznetov, potranno bombardare la provincia di Idlib, l’unica via di uscita che era stata lasciata alla popolazione di Aleppo per tentare di sfuggire al massacro.
L’esperienza sinistra di Grozny si ripete qui: nel 2007 i “campi rifugiati” tra cui quello di Cernoscovo, servirono a “filtrare i resistenti” detto altrimenti a torturarli, condannarli a morte o esigere somme esorbitanti per liberarli. Le pratiche congiunte dei Mukhabarat e dei “berretti rossi” ceceni – quest’ultimi piazzati formalmente sotto il comando di Ramzan Kadyrov – potranno sfociare in nuovi crimini sotto la copertura della “lotta al terrorismo”.
La distruzione di Aleppo Est e il martirio inflitto alla sua popolazione ha per unico obiettivo, secondo la formula usata attualmente dai media, di “riprendere il controllo del polmone economico della Siria”. Per la dittatura di Assad e per i poteri politici e militari che la sorreggono (Iran, Russia), si tratta anche di infliggere una sconfitta completa a una delle espressioni, dal 2012, del potenziale della “rivoluzione siriana” con le sue strutture locali che hanno dispiegato una lotta, una resistenza e poi una capacità di sopravvivenza straordinarie di fronte a una controrivoluzione supportata dall’intervento aereo massiccio russo dall’inizio di ottobre 2015. Questo è quello che ci ha riferito, a modo suo, Hagi Hasan, presidente del consiglio locale di Aleppo Est, durante le sue conferenze a Losanna e a Ginevra l’11 dicembre.

*Fonte articolo: http://alencontre.org/moyenorient/syrie/alep-je-veux-vivre-libre-et-dign...
Traduzione di Nadia De Mond