“Non c'è nulla di misterioso nello Stato Islamico”

Wed, 30/12/2015 - 12:27
di
Gilbert Achcar

In un'intervista con The News on Sunday (TNS), Gibert Achcar discute della sollevazione araba e dell'ascesa dello Stato Islamico (Daesh). “Non c'è nulla di misterioso nel cosiddetto Stato Islamico... al momento è forse il fenomeno più studiato del mondo” dice

TNS: Lo Stato Islamico, o Daesh, è avvolto da un'aura di mistero: i teorici del complotto lo presentano come un cavallo di Troia imperialista, altri lo vedono come uno strumento saudita. Tutti gli analisti seri ne segnalano invece il legame con la guerra in Iraq mentre altri pongono l'accento sul ruolo del regime di Assad nel facilitarne l'ascesa. Qual'è la tua opinione sul mistero che circonda lo Stato Islamico e i suoi sospetti legami con così tante forze diverse?

GA: Il cosiddetto Stato Islamico è, prima di tutto, la prosecuzione di al-Qaeda in Iraq. Ovviamente è facile rintracciare le origini di al-Qaeda nel regno saudita: ricordiamoci che quindici dei diciannove attentatori dell'11 settembre 2001 erano cittadini sauditi. Comunque ciò non significa assolutamente che il regno saudita abbia architettato l'11 settembre.
La storia è ben nota: quando partecipava alla lotta contro l'occupazione sovietica dell'Afghanistan bin Laden – rampollo di una ricca famiglia saudita – era sostenuto dal regno saudita così come dalla CIA e dall'ISI pakistano. Nel 1990 si è rivoltato contro il Regno a causa dell'intervento statunitense contro l'Iraq di Saddam Hussein, opponendosi alla decisione saudita di accogliere sul suo suolo le truppe statunitensi e da allora è divenuto un nemico giurato della famiglia reale saudita, mentre al-Qaeda dismetteva il proprio ruolo antisovietico per diventare un'organizzazione contraria agli Stati Uniti.
Nel 2003 quando gli Stati Uniti hanno occupato l'Iraq e rafforzato le forze sciite filo-iraniane come il Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica dell'Iraq ed il partito Dawa - alleati degli stessi usa - è nato un forte risentimento tra gli arabi sunniti. Risentimento aggravato dal fatto che l'Iran ne stava traendo vantaggio per aumentare la propria influenza. Ciò ha preparato il terreno per la crescita di al-Qaeda nelle regioni arabe e sunnite.
Uno sviluppo connesso a questi fatti è stato l'intensificarsi dell'ideologia anti-sciita di al-Qaeda. Il settarismo anti-sciita è un elemento fondamentale del wahhabismo, l'ideologia ufficiale del regno saudita: infatti la dottrina di al-Qaeda non è nient'altro che una versione estrema del wahhabismo rivoltatasi contro la versione ufficiale utilizzata dalla dinastia saudita al potere. Quindi al-Qaeda ha organizzato azioni sia contro l'occupazione statunitense che contro la popolazione sciita irachena.
La sua sempre maggiore presenza in Iraq ha rappresentato una delle principali sfide all'occupazione statunitense visto che il paese era stato invaso con il pretesto, tra gli altri, di infliggere un colpo ad al-Qaeda, che l'amministrazione Bush dichiarava essere sostenuta dal regime di Saddam. Comunque la verità è che a malapena c'era una sua attività in Iraq ai tempi dell'invasione.
Sotto l'occupazione statunitense non solo al-Qaeda è emersa come forza ma è riuscita anche a controllare ampie zone del paese. In tutto ciò è stata aiutata dalle competenze di molti ex membri dell'apparato militare e di sicurezza di Saddam Hussein: il comune odio per l'occupazione e l'ostilità settaria anti-sciita ha indotto molti ex lealisti ad unirsi a questa organizzazione.
Nel 2006 al-Qaeda ha cambiato nome diventando lo Stato Islamico dell'Iraq (ISI), dopodiché gli Stati Uniti hanno cambiato strategia e hanno cominciato a rafforzare le tribù arabe sunnite fornendogli armi e denaro. Dopo che queste tribù sono passate con gli statunitensi l'occupazione è riuscita a marginalizzare l'ISI, se non quasi a sconfiggerlo completamente.

TNS: Come ha fatto a riemergere se era quasi stata sconfitta?

GA: Questa riemersione nel 2011 si spiega con due fatti degni di nota: da una parte alla fine di quell'anno le truppe statunitensi se ne sono andate dall'Iraq in totale fallimento lasciandosi dietro un paese lacerato e sempre più dominato da Tehran, l'arcinemico regionale di Washington. Il governo di Maliki, sostenuto dall'Iran e libero dalla tutela statunitense, si è dedicato a delle politiche settarie sciite che gli hanno reso di nuovo ostili gli arabi sunniti. Maliki è riuscito a disfare molto in fretta tutto ciò che gli Stati Uniti avevano provato a raggiungere negli anni precedenti il loro ritiro. Nel 2012 gli arabi sunniti dell'Iraq hanno organizzato delle manifestazioni pacifiche e di massa su larga scala ma il governo si è rifiutato di cedere anche minimamente alle loro richieste. Ciò ha preparato il terreno per il ritorno dell'ISI.
Dall'altra parte alla fine del 2011 l'insorgenza in Siria ha cominciato a diventare una resistenza armata, quando le sempre maggiori diserzioni dall'esercito hanno reso possibile resistere all'innalzamento della repressione da parte del regime di Assad. Dal 2012 la Siria è entrata in una guerra civile. Ciò che rimaneva dell'ISI ha colto l'occasione ed è entrata in Siria per creare la locale branca di al-Qaeda, il Fronte al-Nusra, fuoriuscendone in seguito per creare lo Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS o Daesh) per poi diventare lo “Stato Islamico”. Un fattore importante di questo processo è stato che il regime siriano ha facilitato l'insediamento di al-Qaeda in Siria dopo averne favorito l'infiltrazione di militanti in Iraq durante i primi anni dell'occupazione statunitense.

TNS: Come mai al-Qaeda è stata aiutata da un regime “laico” alleato dell'Iran?

GA: Il regime di Assad è stato coinvolto nel fallimento dell'occupazione statunitense: si sentiva minacciato dal “cambiamento di regime” in Iraq tanto più che entrambi i paesi erano governati dal Partito Baath, sebbene da due ali che si odiavano reciprocamente.
Inoltre il regime aveva bisogno di dimostrare che l'unica alternativa alla dittatura erano il jihadismo e il caos. Questo è il motivo per cui ha contribuito a rendere possibile l'esistenza di al-Qaeda in Iraq. Comunque ha dovuto rinunciare a questa politica a partire dal 2007 in seguito alle pressioni di Baghdad e Tehran, anche se l'intelligence siriana ha mantenuto una sua presenza all'interno di al-Qaeda e le ha permesso di entrare in Siria per aiutarla nei suoi sforzi di militarizzare la sollevazione pacifica nata nel marzo 2011.
Anche in questo caso si è seguita la medesima logica: dimostrare che l'unica alternativa alla dittatura è il jihadismo. A questo scopo il regime non ha solamente permesso ad al-Qaeda di entrare in Siria ma nell'autunno del 2011 ha anche scarcerato parecchi militanti jihadisti. Durante l'estate 2014 ISIS o Daesh ha lanciato una vasta offensiva dalla Siria in Iraq sfruttando il rancore che aveva costruito tra le tribù arabe sunnite.

TNS: Ma lo Stato Islamico come fa a provvedere alle proprie spese militari ed amministrative? Chi lo finanzia?

GA: Per lo più sono autofinanziati: fin dall'inizio si sono assicurati il controllo delle zone petrolifere, vendendo il petrolio al regime di Assad e ai trafficanti turchi. Hanno anche requisito ingenti quantità di denaro dalle banche delle città catturate. Inoltre sono anche sostenuti da alcuni donatori privati, la maggior parte provenienti dagli stati del Golfo, ma comunque non dipendono da nessun sostegno straniero.
Infatti non c'è nulla di misterioso nel cosiddetto Stato Islamico: la sua nascita, le fonti di finanziamento ed il suo funzionamento sono ampiamente documentati. Al momento è forse il fenomeno più studiato del mondo: le agenzie di spionaggio da Mosca a Washington, i ricercatori, gli accademici e numerosi altri attori lo stanno analizzando.
Questo fenomeno rientra pienamente in ciò che ho definito come lo “scontro tra barbarie” nell'omonimo libro scritto all'indomani dell'undici settembre. Sostenevo che la barbarie imperialista fosse la causa principale che porta all'emergere di una barbarie opposta come quella di al-Qaeda. In Siria la barbarie del regime di Assad – sostenuta da Russia e Iran – ha portato all'espansione della controbarbarie del cosiddetto Stato Islamico. Ciò che genera una violenza talmente fanatica è il grado di odio creato dalla violenza contro cui si reagisce.

TNS: Sebbene tu nei tuoi scritti e nelle tue interviste non consideri l'Occidente come l'unico responsabile della violenza in Medio Oriente c'è comunque la tendenza a considerarlo come l'unico attore da condannare. In "Scontro tra barbarie" tu assegni di nuovo la responsabilità principale all'Occidente, ma cosa ci dici dell'ideologia che porta i jihadisti alla violenza? Non ci sono altri fattori che hanno contribuito alla crescita della violenza religiosa che scaturisce dal Medio Oriente e alla radicalizzazione della gioventù musulmana in Occidente?

GA: Ovviamente ci sono anche molti altri fattori, uno dei quali è il fallimento della sinistra. I motivi che hanno portato alla radicalizzazione della gioventù musulmana, sia in Medio Oriente che in Occidente, li avrebbero potuti portare a sinistra. Se la sinistra radicale in Europa fosse riuscita a costruire dei ponti con i giovani migranti musulmani e a condurre la loro lotta sociale molti di meno sarebbero stati sedotti da questi modi fondamentalisti e reazionari di sfogare la propria frustrazione sociale.
Ma non è una questione di ideologia, perché le ideologie fanatiche e reazionarie sono sempre esistite. Perchè oggi assistiamo alla loro crescita nelle forme opposte del fondamentalismo islamico e, tra le altre forme, del razzismo antimusulmano? In realtà queste espressioni di profonda frustrazione sociale non possono essere separate dallo smantellamento dello stato sociale, dalla crescita della disoccupazione e dall'incremento della precarietà della vita provocati dalle politiche neoliberiste.
I governi francese e britannico stanno chiedendo agli imam di combattere il fondamentalismo islamico radicale, che però non può essere sconfitto soltanto con una lotta ideologica. C'è bisogno soprattutto di far cessare le condizioni che costituiscono il terreno fertile per le loro ideologie. Parliamo quindi di condizioni sociali, economiche e politiche.

TNS: Qual'è il futuro dello Stato Islamico?

GA: Tutte le potenze mondiali sono contro il cosiddetto Stato Islamico. Sebbene la Turchia e la Siria vi intrattengano dei rapporti ambigui, il regno saudita, l'Iran, la Russia e gli Stati Uniti sono ostili a Daesh malgrado in Siria sostengano schieramenti opposti.
Comunque le potenze occidentali non sono pronte ad inviare truppe, perciò per sconfiggere Daesh hanno bisogno delle forze sunnite locali: combattere una forza settaria sunnita come Daesh con delle forze settarie sciite o con il regime di Assad servirà solo ad aumentarne la capacità di reclutamento e gli Stati Uniti lo sanno bene. Questo è il motivo per cui Washington sta cercando di costruire forze arabe sunnite per contrastare lo Stato Islamico, come mostrano i loro sforzi per sostenere l'ingresso dei propri partner in un'alleanza con le forze curde. In Siria Washington vorrebbe unificare tutta l'opposizione ad eccezione del Fronte al-Nusra e dello “Stato Islamico”.
L'amministrazione Obama sa anche che una condizione indispensabile per far cessare la guerra in Siria è la partenza di Assad. Washington spera che la Russia possa aiutare ad ottenerla ma per ora non ci sono segni che vadano in tal senso.
Quindi finché questi problemi non verranno risolti lo Stato Islamico rimarrà in vita e non verrà né sconfitto né di nuovo marginalizzato grazie ai soli bombardamenti.

TNS: Nell'estate 2014 dopo il suo repentino ritorno in Iraq lo Stato Islamico ha proclamato “la fine di Sykes-Picot”. Nei loro piani c'è la spartizione della Siria?

GA: Qui trattiamo due differenti questioni: una è quella curda. Gli stati autonomi dei curdi sembrano essere irreversibili: l'autonomia delle regioni curde in Iraq e Siria risponde all'aspirazione del popolo curdo ad avere la sovranità sui propri territori. Grazie alla no-fly zone imposta dagli Stati Uniti dal 1991 la parte irachena del Kurdistan è diventata a tutti gli effetti uno stato indipendente. Questo stato di fatto ha una sua bandiera e il suo esercito mentre l'Iraq è diventato una blanda confederazione. Secondo me l'Iraq potrà sopravvivere solo come una confederazione tra entità sovrane – nemmeno una federazione. Comunque in Siria la situazione è diversa.
Il Rojava, o Kurdistan occidentale, ha assunto la forma di cantoni curdi autonomi. Dal punto di vista dei rapporti di forza i curdi in Siria non sono forti come in Iraq, anche se entrambe le regioni sono connesse in molti modi. I curdi in Siria non chiedono la secessione anche se le dinamiche locali punteranno in questa direzione fintanto che il paese sarà in subbuglio.
Dall'altra parte la spartizione della Siria non è nei piani di nessuno: il regime di Assad non può sostenerla fintanto che controllerà delle aree sunnite mentre l'opposizione è assolutamente contraria a qualsiasi divisione.

TNS: Hai detto che la cacciata di Assad è la chiave per qualsiasi progresso in Siria ma l'alternativa non sembra proprio un progresso. O no?

GA: Il fatto è che non si può fuoriuscire dalla tragedia siriana senza che Assad se ne vada: dopo una tale carneficina non puoi fermare una guerra mentre il principale responsabile è ancora al timone. Non ci sarà verso che le opposizioni depongano le armi fintanto che Assad rimarrà al potere.
All'inizio della sollevazione siriana si potevano intravedere alternative progressiste al regime. In seguito la militarizzazione della rivolta ed il sostegno saudita e qatariano ai gruppi islamici fondamentalisti hanno reso altamente improbabile un'alternativa progressista. Questo è ciò che sosteneva il regime di Assad fin dall'inizio e ha fatto tutto ciò che era in suo potere per far si che questa profezia diventasse vera.
Dato ciò, non c'è nessuna soluzione realistica che si ispiri minimamente ad una prospettiva progressista ed anche un totale collasso dello stato siriano sarebbe molto pericoloso. Comunque la priorità è di fermare lo spargimento di sangue e la distruzione. Questo è il motivo per cui qualsiasi risultato che possa fermare la guerra, come un accordo di transizione tra l'opposizione e il regime, sarebbe un progresso. Ma ciò non potrà accadere senza l'uscita di scena di Assad: se si fosse ritirato allo scoppio della rivolta la Siria si sarebbe risparmiata tutto questo maledetto caos.
Agli occidentali che credono che al-Qaeda e il cosiddetto Stato Islamico siano il problema principale dovrebbe essere chiaro che questo problema non verrà risolto finché Assad rimarrà al suo posto. Ecco perché è una sciocchezza assoluta sostenere un'alleanza con Assad nel nome della lotta a Daesh, per non parlare del fatto che Assad è molto più interessato a combattere il resto dell'opposizione piuttosto che Daesh.

TNS: A parte la Siria, la Primavera Araba si è trasformata, oserei dire, in un incubo arabo: mentre la Libia e lo Yemen sono caduti in una guerra civile, in Egitto l'esercito è tornato al potere. In Tunisia la situazione è instabile. Malgrado tutto tu resti ottimista: nel tuo libro sulla rivolta araba, The People Want, l'hai descritta come un processo rivoluzionario di lungo periodo. Da cosa trai la tua visione ottimista?

GA: Non sono mai stato “ottimista”. Al contrario all'inizio venni accusato di essere pessimista proprio perché sottolineavo il fatto che sarebbe stato un percorso lungo e difficile. All'inizio della cosiddetta Primavera Araba la maggior parte della gente sperava in una veloce transizione democratica e pacifica mentre io evidenziavo che sarebbe stato un processo di lungo periodo destinato ad un'alternanza tra rivoluzione e controrivoluzione, impennate e restaurazioni reazionarie, sconfitte e vittorie, proprio come tutti i più grandi processi rivoluzionari della storia.
Con ciò che sta avvenendo ora l'euforia generale del 2011 si è trasformata in una depressione schiacciante. Perciò sembro ottimista quando dico che la Primavera Araba è un processo di lungo periodo. Ma non sono ottimista: sto solo insistendo sul fatto che è lungi dall'essere finita e che il potenziale rivoluzionario è lungi dall'essersi esaurito.
Credo che la rivolta araba sia ancora ai suoi stadi iniziali e che dovranno succedere ancora molte cose. I processi rivoluzionari nella storia sono durati decenni, come ci insegnano la rivoluzione inglese, francese e cinese. Solo molto di recente ci sono state mobilitazioni di massa, pacifiche e non settarie per motivi sociali in Iraq e Libano, due paesi dove il settarismo è un elemento primario dello stato, e sottolineano il fatto che il potenziale di una lotta sociale progressista è ancora vivo e vegeto.
Fondamentalmente la rivoluzione araba è una rivolta contro le pessime condizioni sociali, economiche e politiche diffuse in tutta la regione. Finché queste condizioni non finiranno la regione rimarrà in subbuglio.

Traduzione di Emanuele Calitri