A partire dal 12 giugno scorso, giorno della scomparsa dei tre giovani Israeliani in seguito assassinati, il governo di Netanyahou ha lanciato la sua campagna “Bring Back Our Boys”. Una campagna che è in realtà un’offensiva militare supplementare sui territori palestinesi.
Le grandi città della Cisgiordania e i campi di rifugiati sono stati attaccati dall’esercito e questo ha provocato scontri tra giovani e militari attraverso tutto il territorio. Dozzine di giovani sono rimasti feriti, 5 Palestinesi sono morti e più di 400 sono stati arrestati, spesso senza motivo. Talvolta centinaia, perfino migliaia di soldati sono intervenuti, saccheggiando alcune case al loro passaggio, sparando vere pallottole, effettuando numerosi interrogatori e spingendo ovviamente i giovani a rispondere con lanci di pietre. I checkpoints sono stati rinforzati, dapprima al sud poi in tutta la Cisgiordania.
Dopo la scoperta dei 3 corpi in prossimità di Hebron il 30 giugno, non è più solo l’esercito ma sono anche gli occupanti che aggrediscono i palestinesi. A Gerusalemme, un palestinese di 16 anni è stato ucciso dopo essere stato sequestrato da sei israeliani ebrei estremisti. Gli scontri oppongono ormai i Palestinesi all’esercito, ai coloni e alla polizia.
ISRAELE, RESPONSABILE DELLA SITUAZIONE
In Palestina il contesto è esattamente quello di una occupazione e di una pressione permanente sul popolo palestinese. Controllo delle terre e delle risorse in Cisgiordania, costruzione di colonie illegali, detenzioni amministrative, etc. Attraverso questa pressione permanente, privando il popolo palestinese dei suoi diritti e non rispettando nessuno degli impegni presi concernenti, tra l’altro, la liberazione dei prigionieri, Israele ha portato i Palestinesi a fare del sequestro un’arma politica per ottenere risposta alle proprie rivendicazioni. Per esempio, quando Gilad Shalit, soldato israeliano rapito nel 2006, è stato liberato, più di 1.000 prigionieri politici palestinesi sono stati rilasciati. Israele è dunque l’unica responsabile delle tensioni in Cisgiordania e dei lanci di razzi dalla striscia di Gaza.
Non passano mai molti anni tra un’offensiva militare israeliana e la successiva: operazione “pioggia d’estate” nel 2006, operazione “piombo duro” nel 2008-2009, operazione “colonna di difesa” nel 2012. La scomparsa e la morte dei 3 coloni sono diventate un pretesto per una dimostrazione di forza in Cisgiordania. Questa offensiva sopraggiunge dopo più di un mese di sciopero della fame dei prigionieri palestinesi e dopo l’annuncio di un governo che riunificava Hamas e Fatah. Una situazione particolarmente imbarazzante per Israele che ne approfitta per dichiarare che Hamas è il responsabile del sequestro e creare così delle divisioni tra Hamas e Fatah riguardo alla posizione da adottare su questo rapimento.
E DOPO?
Il governo israeliano e il suo esercito non contano di fermarsi qui. A riprova di ciò, dopo aver ritrovato i 3 coloni morti, in una dichiarazione assai offensiva, Netanyahou ha annunciato:”Hamas pagherà!”. Nessuno può dunque ormai contare su una tregua. Senza dimenticare che sul versante israeliano, i messaggi di odio anti-arabi e di vendetta si sviluppano massicciamente sui social network e che questi messaggi sono seguiti nella pratica dagli attacchi dei coloni nei territori occupati.
L’omicidio di un ragazzo palestinese a Gerusalemme, bruciato vivo da 6 estremisti israeliani, così come il violento pestaggio di un’adolescente palestinese di nazionalità americana, che testimoniano della violenza razzista in atto in Israele, hanno infine provocato delle reazioni da parte della “comunità internazionale”. Tutti hanno condannato questi atti e fatto un appello alla calma ad entrambe le parti. Il governo israeliano ascolterà il messaggio? Niente è meno sicuro…
*da Hebdo l’L’Anticapitaliste-250 (10/7/2014)