Pubblichiamo questo articolo di Raúl Zibechi su alcune caratteristiche dei nuovi movimenti sociali sorti negli ultimi anni. Sebbene non affronti direttamente la questione dell'efficacia politica di questi movimenti e del potere, cerca di individuare alcune caratteristiche di novità della cultura politica di questi movimenti che vanno nella direzione di una ricerca anticapitalista che sappia intravedere alternative alle attuali forme statali, anche quelle sorte da movimenti sociali latinoamericani degli ultimi anni.
In un libro classico e monumentale, Theda Skocpol analizza le tre grandi rivoluzioni (francese, russa e cinese) da un punto di vista incentrato sugli stati, la loro disgregazione e ricostruzione postrivoluzionaria. In “Stati e rivoluzioni sociali: un'analisi comparata di Francia, Russia e Cina” (Il Mulino 1981) analizza come i processi rivoluzionari hanno influenzato e modificato le istituzioni. Per chi si è formato su Marx, arriva a conclusioni scomode.
Dopo aver comparato minuziosamente i tre processi, conclude che lo stato ha avuto in essi un ruolo fondamentale, ma che i cambiamenti della sua struttura non possono spiegarsi in funzione dei conflitti di classe. Separa il potere autonomo degli Stati, il quale non è riducibile a nessuna classe sociale, sebbene non sia neutrale nei loro confronti.
L'aspetto più attuale della sua analisi poggia nelle tre conclusioni alle quali arriva alla fine del suo lavoro. La prima è che le rivoluzioni non sono il frutto dell'azione cosciente delle avanguardie; a supporto di questa tesi cita il militante antischiavista Wendel Philips: “Le rivoluzioni non si fanno. Vengono da sole”.
La seconda è che la disgregazione degli stati degli antichi regimi accese la miccia del conflitto sociale che si tradusse nell'esproprio delle classi dominanti. L'irruzione sulla scena di movimenti dal basso è stata decisiva per modificare i rapporti di classe, evitare il trionfo della controrivoluzione e neutralizzare la stabilizzazione liberale.
La terza è che dalle tre rivoluzioni sono sorti stati più centralizzati, burocratici, autonomi e potenti sia al proprio interno che nelle relazioni esterne. Al proprio interno i contadini ed i lavoratori furono i più direttamente incorporati nella politica nazionale ed nei progetti appoggiati dallo Stato.
L'analisi storica è inattaccabile, realista e convincente. Altro è se sia o meno gradita per chi continua a pensare che lo Stato è una macchina oppressiva e aspira – sulla scia di Marx e Lenin – alla sua estinzione.
Quello che non rileva l'autrice è che le forze antisistema erano organizzate in maniera gerarchica, con una distribuzione del potere interno che era calco e copia del potere delle istituzioni dello stato, ed erano portatori dall'esterno di sapere ai soggetti ribelli. Nemmeno prende in considerazione il fatto che gli stati nati dalle rivoluzioni si trasformarono con il tempo in strumenti di dominio, molto simili a quelli che sostituirono, al punto che si è potuto comparare il regime di Stalin a quello di Pietro il Grande, e i funzionari comunisti cinesi con i mandarini imperiali.
L'ultimo ciclo di lotte in America Latina sembra confermare le tesi di Scokpol: gli stati furono indeboliti dalle privatizzazioni neoliberali, le quali accesero il conflitto sociale, che a sua volta ha portato al governo forze progressiste che chiusero il ciclo con il rafforzamento degli stati. Parallelamente, i nuovi movimenti hanno compiuto il loro ciclo storico: sono nati negli ultimi anni delle dittature, sono cresciuti sotto il neoliberismo, si sono istituzionalizzati e sono entrati in un lento declino.
Tuttavia, i movimenti protagonisti di questo ciclo di lotte erano diversi da quelli che li hanno preceduti, che avevano come modello i sindacati tradizionali. Non tutti si sono piegati alle nuove modalità di governo e alcuni seguono il proprio cammino, mostrando che la storia non è un cammino già delineato da logiche strutturali. Sebbene non potessero rompere completamente con le vecchie culture politiche statocentriche, andarono più lontano della generazione dei movimenti precedenti e hanno lasciato tracce importanti che continuano ad essere punti di riferimento.
Negli ultimi anni sta nascendo una nuova generazione di movimenti che si differenzia non solo dai vecchi, ma anche dai nuovi. Varie volte abbiamo citato il brasiliano Movimiento Passe Livre (MPL), e la Asemblea Coordinadora de Estudiantes Secundarios (ACES) cilena. Non sono gli unici ma forse sono i più conosciuti. Il movimento contro le miniere in Perù può essere incluso in questa nuova generazione, così come il Movimiento Popular La Dignidad dell'Argentina, e altri che non menzioniamo per motivi di spazio.
Alcuni sono nati tempo fa, come il MPL, con caratteristiche nuove, sia per cultura politica (autonomia, orizzontalità, federalismo, consenso, apartitismo) sia per le pratiche e le modalità di azione. Altri movimenti si sono reinventati o rifondati in processi di resistenza. I Guardianos de las Lagunas peruviani nacquero dalle Rondas Campesinas, organizzazioni comunali di difesa create negli anni settanta.
Tra i movimenti nuovi ed i più recenti, i “nuovi-nuovi”, c'è una notevole differenza di cultura politica: non si riferiscono allo Stato, con il quale possono mantenere un dialogo o trattative, né riproducono al proprio interno forme gerarchiche e patriarcali. I Guardianes de las Laguna si sono ispirati alle comunità andine; gli studenti cileni ed i giovani brasiliani nelle loro forme di vita quotidiana nelle periferie urbane, nei propri gruppi amicali o di affinità, nell'hip-hop, nelle diverse culture radicali giovanili.
Non hanno formato strutture-apparati, né hanno messo leader permanenti a capo dei loro collettivi. Sono movimenti nati dopo le dittature (i nuovi nacquero contro l'autoritarismo) e sono influenzati da due movimenti che sono emersi nel continente latinoameircano nelle ultime decadi: il movimento femminista e quello indigeno.
Si nutrono delle loro varianti più antisistemiche: i femminismi contadini e popolari, i femminismi comunitari ed indigeni; hanno in comune con un settore del movimento indigeno la vocazione autonomista, la loro aspirazione a cambiare il mondo prescindendo dallo Stato e a creare istituzioni post-statali, come le Juntas de Buen Gobierno. Si organizzano per costruire un mondo nuovo, non per incrostarsi nelle istituzioni. Incarnano la possibilità concreta che fiorisca una nuova cultura politica che lavori per un cambiamento dal basso della società.
10/01/2014
Tradotto da redazione communianet
Fonte originale: http://www.jornada.unam.mx/2014/01/10/index.php?section=opinion&article=... [2]