In questi giorni si discute della manifestazione nazionale del 17 ottobre, o meglio del fatto che l’annunciata manifestazione nazionale non ci sarà. Era stata lanciata sia dalla Coalizione sociale promossa dalla Fiom che dalla Coalizione per lo Sciopero sociale in contemporanea alla mobilitazione di Libera contro la povertà e per un reddito di dignità, ma è sfumata proprio perché quest’ultima ha trasformato la giornata da nazionale a Roma a dislocata in varie città. Un cambio di percorso del tutto legittimo da parte di Libera, che ha spiazzato però i percorsi di coalizione sociale nati negli scorsi mesi che avevano individuato in questa data larga e non identitaria un momento in cui rilanciare l’opposizione sociale al Governo Renzi e far partire davvero le coalizioni, finora più enunciate che praticate.
Il 17, e anche il 15 e 16 in occasione della mobilitazione europea contro l’austerity lanciata da Blockupy [2], ci saranno varie azioni e assemblee a cui parteciperemo in giro per l’Italia. Saltando la manifestazione nazionale che avrebbe rilanciato le coalizioni, oggi è però più che mai urgente produrre uno scarto, un cambio di passo rispetto a quanto visto finora.
Il rischio, che riemerge da più parti, è quello di non riuscire a superare l’idea della propria rappresentazione, o la speranza che basti evocare i conflitti – con cortei nazionali, assemblee, azioni o eventi – per realizzarli davvero. Ossia, al di là delle buone intenzioni, rischia di prevalere ancora una logica di rappresentanza politica di un’area più o meno ampia di soggetti politico-sociali, senza riuscire a riempire il concetto di coalizione con un'ipotesi di costruzione.
È chiaro che la necessità di una presa di parola sulle questioni della precarietà e del reddito non è irrilevante. Esiste il problema di riuscire a rappresentare un'opzione politica alternativa agli sproloqui liberisti di Renzi senza lasciare tutto lo spazio di opposizione a Grillo, o peggio a Salvini. Ma, come abbiamo detto più volte, non è un problema risolvibile aggirando la sconfitta del movimento operaio e la crisi della politica, che ci consegnano un quadro in cui è necessario ricostruire la credibilità stessa di un’opzione alternativa. In questa fase, se non si sostanzia la rappresentazione con un'ipotesi concreta, con un'utilità sociale tangibile delle coalizioni, quella stessa rappresentazione è destinata a restringersi progressivamente, fino a tornare, nella migliore delle ipotesi, identica ai suoi stessi promotori.
Del resto questa è stata la convincente intuizione delle coalizioni costruite con diverse modalità nell’ultimo anno, scartando dall’idea di percorsi costruiti su presunte identità politiche (la Sinistra, più o meno alternativa) e virando verso relazioni che partano da bisogni sociali concreti. Oggi i conflitti esistono, nei luoghi di lavoro come nelle vertenze ambientali, ma sono dispersi socialmente e territorialmente, e continuano a bassa intensità, e troppo spesso hanno poca o nessuna relazione con le coalizioni sociali che si stanno costruendo. È stato creato uno spazio potenziale e individuato un metodo corretto, ma adesso urge capire come si trasforma questo spazio potenziale in una coalizione effettiva di soggetti sociali.
Indubbiamente una mobilitazione sociale unitaria nazionale servirebbe a dare coraggio e far parlare tra loro le singole lotte, e saltando un tale appuntamento ad ottobre è auspicabile che ci sia nei prossimi mesi. L’urgenza però adesso è costruire le gambe delle coalizioni. È ora più importante agire solidarietà concreta di fronte a lotte reali, "adottandole", sviluppando legami effettivi (o affettivi), che costruire una pur necessaria data nazionale per l’autunno. Servono lotte esemplari, in grado di parlare oltre alla loro specificità vertenziale e sociale e di ridare credibilità complessiva ad un programma alternativo a quello dell’austerity e dello sfruttamento.
Di pratiche da cui partire, piccole e non autosufficienti ma da moltiplicare e riprodurre, ce ne sono: il ruolo che ha avuto Libera Lombardia per la fabbrica recuperata Rimaflow [3] e la sua rimessa in produzione; il percorso nascente a Roma sull’accoglienza ai migranti [4] che mette insieme i volontari del Baobab, gli operatori sociali che perdono il lavoro, le realtà territoriali e i migranti; le casse di resistenza come quella per gli operai Fiat di Pomigliano; le reti di autoproduzione a sfruttamento zero con distribuzione “fuori-mercato” [5] come quella che sta coordinando le esperienze di Genuino Clandestino, Netzanet-Solidaria, Sos Rosarno, la Fattoria senza padroni Mondeggi, ancora Rimaflow e altri.
Sono solo alcuni esempi. Ma è in questa direzione che le coalizioni devono concentrare le proprie idee ed energie, uscendo dalle consuete abitudini delle proprie organizzazioni. Avremmo bisogno di una sorta di "spazio fuori mercato" anche a livello sindacal-sociale, uno spazio di mutuo soccorso. Per farlo bisogna fare un lavoro di mappatura delle esperienze e vertenze sociali esistenti, adottare in modo centrale una o più lotte mettendo a disposizione i mezzi che ognuno ha, far interagire concretamente le esperienze di mutualismo e le vertenze su lavoro e precarietà con esperienze di autoproduzione a sfruttamento zero, ecc.
Siamo tutti più o meno d’accordo su questa necessità, poi però si fa fatica ad immaginarsi e impegnarsi davvero su percorsi di questo tipo, che richiedono anche molta pazienza e dedizione militante, senza ricerca ossessiva di scorciatoie politiciste. La coalizione sociale ha avuto un'eco mediatica iniziale perché alludeva a una prospettiva politica. Quando si è correttamente individuato che nessuna prospettiva politica può avere successo se non ricostruisce i luoghi e le forme di una nuova solidarietà di classe in grado di “fare società”, le luci dei riflettori si sono spente.
Adesso è il momento di verificare se siamo in grado di prendere sul serio ciò che ci diciamo.