Ridefinire il "Noi" e il "Loro"

Mon, 12/01/2015 - 18:03
di
Daniele D'Ambra

Le reazioni all'attacco a Charlie Hebdo che attraversano l'Europa in questi giorni sembrano dimostrare la piena riuscita dell'operazione messa in campo dagli attentatori.
Non solo il fronte islamofobo si compatta dietro la sacralità dell'unità nazionale e la difesa della laicità di Stato, ma le stesse forze alternative e di movimento si frammentano e si pongono ai margini di propria iniziativa attraverso un dibattito sull'essere o meno Charlie Hebdo che pur non volendo subisce il terreno artefatto dello scontro di civiltà.
Se, come giustamente si dice, l'oggetto del contendere non è la libertà di satira, allora anche la definizione puntuale delle vignette della rivista satirica diventa in questa stretta contingenza un argomento fuori tema e facilmente equivocabile. Perché nel migliore dei casi punta a determinare chi ha iniziato prima lo scontro, piuttosto che avanzare una lettura alternativa dello stesso.
Si dibatte delle peculiarità del dito, mentre la luna si sgretola.
E’ chiaro che la stringente necessità di porre un argine all’islamofobia montante è una delle ragioni di questo piano falsato. Sono bastate poche ore perché dai media mainstream tracimasse una vera e propria campagna d’odio nei confronti del nemico islamico, senza precedenti se non quello dell’11 settembre 2001, in cui luoghi comuni e stereotipi esplicitamente razzisti compongono la cornice necessaria all’affermazione dell’unità nazionale e dello stato d’eccezione tanto caro al potere.
E va denunciato come proprio l’islamofobia in questi ultimi anni abbia rinchiuso i musulmani in un recinto funzionale alla propaganda dell’integralismo.
Ma il rischio è che questa urgenza costringa la nostra attenzione all’interno degli angusti confini europei e la focalizzi su quella che resta una parzialità a cui non tutto è riconducibile.
Ad esempio pur essendo il primo ed essenziale argomento, non si può limitare la riflessione sulle traduzioni politiche dell’Islam e su quel che accade oltre il Mediterraneo alla semplice sottolineatura delle responsabilità occidentali.
I fatti recenti sono sicuramente la certificazione - se ce ne fosse ancora bisogno - del fallimento compiuto della strategia estera statunitense negli ultimi quindici anni, nonché delle politiche di “annessione ai margini” dei migranti in Europa. Le guerre in Medio Oriente, il colpevole pantano della Palestina, così come la condizione di ipersfruttamento, di cittadinanza riconosciuta in forma parziale (nel migliore dei casi) e di costante oppressione razzista ai danni della popolazione di origine araba e africana, hanno rappresentato la migliore campagna d’adesione per alcuni gruppi dell’Islam radicale. Accanto a questo è però essenziale sottolineare due aspetti ulteriori. L’autonomia delle opzioni politiche che oggi si dispiegano nel mondo islamico e che anche nelle loro versioni moderate non esprimono elementi particolarmente progressivi, come ci ricorda giustamente Marco Bascetta sulle pagine del Manifesto.
Allo stesso tempo non è convincente lo schema a compartimenti stagni secondo cui l’Islam inteso come quadro di relazioni sociali, politiche e religiose sia strumento d’oppressione in patria e semplicemente soggetto oppresso in Europa, dove invece è caratterizzato da un ruolo duplice, a maggior ragione in paesi dove la sua dimensione non è marginale (in Francia parliamo dell’8,5% della popolazione). Ne consegue che non tutti i fenomeni resistenziali all’annessione neocoloniale che si determinano nelle comunità residenti in Europa siano di per sé augurabili, anche quando non si manifestano a colpi di AK-47.
Tenere dentro questi aspetti all’interno delle nostre riflessioni non va inteso come una concessione alla retorica laico-repubblicana dell’unità nazionale contro il nemico esterno o peggio ancora ad alcuni degli argomenti islamofobi, ma come unica possibilità per non schiacciare il discorso sul dualismo tra islamofobia e Islam genericamente oppresso, lasciando fuori le uniche esperienze reali di rottura della retorica egemone.
Dove rientrano in una lettura schiacciata su islamofobia e difesa dell’Islam oppresso le combattenti di Kobane e la regione autonoma della Rojava? Dove i e le manifestanti di Piazza Tahrir e di Piazza Taksim? Dove la rivoluzione tunisina?
Mancare questo pezzo di riflessione rischia di riprodurre per altro quell’insopportabile atteggiamento dal retrogusto neocoloniale per cui ogni fenomeno fuori dai confini europei vada letto unicamente con la lente e in riflesso a quel che avviene qui, cosa ben visibile in alcune improbabili tesi complottiste (tanto sulle primavere arabe, quanto sull’attentato del 7 gennaio).
In assenza di una soggettività internazionale che rompa lo schema funzionale alla propaganda degli integralisti di Oriente e Occidente, non ci resta che tessere le connessioni potenzialmente in grado di ridefinire i confini del “Noi” e del “Loro”.
Queste opzioni politiche, escludendo la particolarità della situazione in Rojava, vivono oggi un’oggettiva difficoltà, ma proprio in questa difficoltà si inserisce e si alimenta l’opzione dell’Islam radicale. Così come nella difficoltà dei movimenti europei si alimenta la retorica populista della Le Pen o quella di Salvini.
Il quadro è difficile a tal punto da non offrire strade spianate, ma solo passaggi stretti e pieni di insidie. Rifiutare la rappresentazione di un “mondo islamico” omogeneo, appiattito, la cui unica pietra angolare sia la questione religiosa, non significa rimuovere la questione stessa.
In conclusione e alla luce di quanto scritto, si può anche dire qualcosa su questa “annosa” questione del jesuischarlie.
E’ paradossale che i peggiori censori e intolleranti di ogni specie, in Italia come in Francia, sfilino oggi sotto questo slogan.
Capi di Stato responsabili di massacri, personaggi che hanno speso anima e corpo per il disarmo e l’esclusione della satira dai media italiani, oggi vestono i panni dei libertari. Ma ciò accade perché il tentativo è quello di definire un Noi/Loro che usa la libertà in termini puramente strumentali. Davanti a questo o siamo in grado di smascherare l’inganno rappresentando un altro Noi/Loro, oppure è preferibile rifiutare la questione tout court, piuttosto che esprimere una negazione oggi incomprensibile.
Ma soprattutto non si capisce perché il tentativo di costruire una rappresentazione diversa da quella di Hollande e Le Pen dovrebbe necessariamente corrispondere alla piena condivisione della linea editoriale di CH, laddove ci diciamo che non è la libertà di satira al centro del problema.
Nella convinzione che se non l’ultimo, sia al più il penultimo dei nostri problemi oggi, siamo in realtà proprio noi a poter dire jesuischarliehebdo. L’unico “noi” riconoscibile, noi che subiamo quotidianamente l’insopportabile azione degli integralisti dei due schieramenti, noi che siamo Kobane, noi che siamo i rifugiati di Tor Sapienza, siamo proprio noi a poterci dire oggi Charlie Hebdo e non i volgari opportunisti dell’ultima ora.