Miguel Romero, la dignità rivoluzionaria

Wed, 19/02/2014 - 01:57
di
Manuel Garì (Da Viento Sur)

Il cancro ha vinto, alla fine, contro la tenace resistenza di Miguel Romero Baeza (Melilla,1945).
Giornalista e militante rivoluzionario ha vissuto e combattuto la dittatura franchista e il sistema capitalista con la stessa passione, intelligenza e dignità con la quale ha affrontato la sua malattia. Non ha mai perso la capacità di indignarsi di fronte all'ingiustizia, mettendosi sempre al fianco della gente più umile, è stato immune al compromesso, in ogni momento ha mantenuto la lucidità analitica e la decisione nell'azione. Il suo, come è successso con tanti altri e altre rivoluzionari/e, è stato prima di tutto una sensibilità etica (con los pobres de la tierra quiero yo mi suerte echar..) e più tardi, solamente più tardi vennero la tattica e la strategia, il partito e il programma. Ha vissuto esattamente come pensava. Ne una goccia di ambizione, ne un grammo di lucro. Decentemente. Austeramente. Incorruttibile.

Per questo motivo, già provato dalla malattia, si trovava come un pesce dentro l'acqua nelle piazze del 15 M e in mezo alle maree o nelle riunioni e attività formative con i giovani della IzquierdaAnticapitalista. Esattamente come quando cominciò a partecipare nel movimento studenteso degli anni sessanta, così come nei picchetti negli scioeri generali o nelle mobilitazioni
prima a favore dell'amnistia, poi contro l'entrata nella Nato e la presenza delle basi nordamericane, nella solidarietà con la frustrata rivoluzione nicaraguense o in qualsiasi causa che ne valesse la pena. Particolarmente presente in tutti i tentativi di organizzare la resistenza internazionale nei confronti del capitalismo globale; da qui l’intensa attività che lo vide protagonista nelle iniziative del Forum Sociale Mondiale come nel caso dell’appuntamento di Porto Alegre.
Con lo stesso coraggio con cui lottò per conquistare le libertà si confrontò con i freni e le restrizioni della Costituzione figlia di una Transizione che mise da parte le aspirazioni del movimento operaio di tutto lo Stato Spagnolo e dei popoli delle nazionalità oppresse.
.Riuscì a sfuggire al carcere sotto il franchismo ma il suo articolo "Viva la Repubblica!" nella rivista Saida gli costò un mese di prigione per essersi rifiutato di pagare la cauzione che gli infliggeva il giudice.
Paradossi della vita, per uno che passò la sua gioventù a combattere la dittatura, vedersi incarcerare dai nuovi democratici per difendere una forma di governo e di stato democratici. Fu un irriducibile, mai ha accettato la farsa dei Patti della Moncloa nè di un regime, quello della riforma, che oggi fa acqua da tutte le parti e nel quale non confida la gioventù stanca, mai sottomessa e indignata.

Moro - nome con il quale lo conoscevano compagni ed amici, e con il quale egli si identificava pienamente - è stato parte della generazione del ’68, quando sembrava che potessimo cambiare il mondo,quando - a fronte della repressione - soffiavano venti di speranza e di generosità, tempi nei quali non era una follia nè una rarità lottare per la rivoluzione socialista che sempre concepivamo ben distinta dalle dittature staliniste, e ben al contrario pretendevamo che fosse la condizione per una società di donne e uomini liberi ed eguali. Tempi di generosità ed impegno, molto lontani dal maledetto principio regolatore della “ratio” costi/benefici.
Precisamente in quell’epoca noi conoscevamo quei momenti nei quali ,prendendo alcune sue parole dedicate a Silvino Sariego, "costruivamo" una amicizia indistruttibile, creata in più di quaranta anni, "quando amicizia e rivoluzione erano inseparabili”. Moro più ancora di un lottatore, un attivista e un lucido politico - di quelli che mai presero un soldo dalle casse pubbliche - fu un amico indimenticabile e incondizionato e per i suoi amici e amiche costituisce motivo di orgoglio aver contato sul suo affetto e sulla sua fiducia. E condiviso scelte di vita. E lì nacque la mia amicizia e militanza comune a prova di tutte le prove con Moro, Jaime Pastor, Lucia Gonzalez, e continuarono ad arrivare nuove persone nella nostra vita: Chato Galante, Justa Montero, Marti Caussa, Petxo Idoyaga, e si aggiunse gente, molta gente di una lista impossibile da riprodurre.
Nel 1966 stavamo cercando di organizzarci politicamente, non fu necesario argomentargliene la necessità, bastò dargli un appuntamento. Subito mi resi conto della qualità dell’”impegno”. E da allora non passò un solo giorno della sua vita senza organizzarsi per lottare. Perché Moro ha sempre pensato che l’azione o era collettiva e condivisa o non era emancipatrice. E democratica. L’azione e l’organizzazione del movimento sociale, per Moro e per quelli che ne hanno condiviso l’esperienza, deve essere impregnata di democrazia, di autogestione, di autorganizzazione. Per lui non vi era partito che valesse la pena se, anche nelle peggiori condizioni di repressione, non era totalmente democratico nel suo funzionamento.
Prima militò nel Fronte di Liberazione popolare (FLP) e nella sua dissoluzione fu uno dei fondatori del gruppo Comunismo, embrione della Liga Comunista Revolucionaria (LCR) della cui direzione fece parte e che negli anni rappresentò negli organismi dirigenti della Quarta Internazionale, dentro la quale condivise dibattiti, progetti e idee con gente della qualità, tra gli altri, di Ernest Mandel (suo maestro), Francisco Louca e Daniel Bensaid. El Bensa, suo amico francese, referente passo dopo passo nelle sue elaborazioni politiche, con cui mantenne un dialogo permanente fino al giorno della morte del filosofo e attivista ,il 12 di gennaio del 2010.
Moro ha giocato un ruolo chiave nell’avvicinamento tra Eta VI e Lcr dello Stato spagnolo, che culminò nella fusione tra le due organizzazioni. Per molti anni stimolò lo sviluppo delle organizzazioni rivoluzionarie in America Latina, negli anni in cui fu direttore della edizione in castigliano di Inprecor, rivista politica bimestrale della Lcr. Però il suo contributo (e la sua illusione) giornalistica maggiore si concretizzarono negli articoli per Combate, periodico di questa stessa organizzazione della quale fu direttore in varie fasi, fino alla fusione del suo partito con il Movimento Comunista (MC). Di fronte al fallimento di questa unificazione, formò parte di Espacio Alternativo, corrente interna di Izquierda Unida (IU), che nel 2008 abbandonò la coalizione e si trasformo’ in Izquierda Anticapitalista, organizzazione della quale MIguel Romero ha continuato a far parte attivamente.
Ha creato la rivista bimestrale Viento Sur, pubblicazione con una influenza importante nella sinistra alternativa, della quale è stato editore - principale animatore - durante i 131 numeri apparsi fino ad oggi. E’ stato questo il suo contributo principale negli ultimi anni, compresi quelli della malattia, sia la rivista cartacea che la sua edizione web.
Lavoro di giornalista che ha accompagnato con la sua partecipazione a forum di discussione, tavole rotonde, conferenze e relazioni formative, lavoro di anni in Acsur- Las Segovia, e autore di opere come “Viva Nicaragua Libre!” (1979),"La guerra civile spagnola in Euzkadi e Catalunya: contrasti e convergenze” (2006) e “Conversazioni con la sinistra anticapitalista” (2012), o la sua partecipazione come coautore in “Porto Alegre si muove” (2003), “1968, il mondo ha potuto cambiare di base” (2008),"Enrique Ruano memoria viva della transizione” (2009) e “Povertà 2.0” (2012).
Moro ha vissuto intensamente la vita, esprimendo tutto quello per cui valeva la pena. Ha goduto della sua famiglia fino all’ultimo momento, quell’ampio clan dei Romero del quale si vantava. E con ragione, posso dire, dopo averlo conosciuto. Eccezion fatta per una tappa a Parigi, tutta la sua vita adulta l'ha passata a Madrid, salvo brevi permanenze in altre città, obbligato dalla clandestinità.
Però si rivendicò sempre andaluso. Un andaluso capace di comprendere la gente di altri popoli e di rispettarne il diritto di decidere di se stessa. Gustò pienamente delle sue amicizie. Di quelle antiche come di quelle nuove. Di gente conosciuta da tempo come di quelli arrivati più recentemente. Non perse mai la capacità di connettersi con le generazioni successive. Seppe gustare i diversi momenti della vita, ogni momento. Ispirò la sua quotidianità ala saggia massima del “carpe diem”. Per il suo carattere e per la sua visione del mondo “nulla di umano gli era estraneo”. Tutto lo interessava, dall’impatto delle biotecnologie al significato delle opere di Brecht.
Però soprattutto aveva affetti e interessi. Grandi. Appassionato di flamenco e sostenitore di Enrique Morente, si godeva nello stesso modo la Sinfonia n° 40 di Mozart o Tristano e Isotta; fan dei Beatles e di Van Morrison e buon conoscitore di jazz. Però soprattutto fu lettore instancabile, sicuramente di autori marxisti ma non solo: leggeva Majakovskij, leggeva e rileggeva “Poeta a Nuova York”. Guardate per favore la contro copertina di Viento Sur e troverete l’omaggio permanente a Garcia Lorca. E divorava racconti e romanzi da quando, ancora ragazzo, secondo quanto mi raccontava, cominciò con l'“Isola del tesoro”. Lo appassionavano molto i romanzi noir. Come a tanti altri rivoluzionari. E il cinema. Assiduo frequentatore del Festival di san Sebastian è possibile che detenga il record delle visioni di Roma Città aperta e di Viridiana, ammiratore di Billly Wilder e di Berlanga, in più di un articolo politico - non si capiva come - riusciva a trovare la scusa per citare Lauren Bacall. E confidava a voce un segreto: quando giocava il Barca, l’orologio si fermava, ed era meglio aspettare a chiamarlo dopo la trasmissione della partita.
Questo, tutto questo e ancora di più configurava il mondo a più facce di qualcuno che molta gente conosceva soltanto per il suo impegno politico.
Quante e quante cose, amico, compagno Moro si potrebbero raccontare di te! Non ne ricordo alcuna negativa. E ricorderò sempre i buoni difficili momenti politici e personali nei quali ci trovammo insieme compagno. Fino alla notte stessa nella quale sei entrato in coma. Un momento prima ancora avevi voglia di sapere “come stavano le cose”, quelle di sempre, i compiti del momento.
Se Moro potesse tirare un bilancio della sua vita non lo potrebbe esprimere meglio che con le parole che scrisse qualche decina d’anni prima nell’articolo “Punto e a parte” del numero 518 di Combate e che può spiegare il suo sforzo costante per “connettersi” con la gioventù indignata, con le nuove organizzazioni rivoluzionarie e con la sua ossessione per il rinnovamento,in questo modo:
“Non devo far più che guardare lo scheletro dell’articolo che ho davanti. Lì dice nella prima pagina: "relevo". Non è una idea molto originale, però è vero che è questo l’importante. Passiamo il testimone. Abbiamo compiuto il tragitto che ci è toccato, così diverso da come ce lo eravamo immaginato, con tutte le nostre forze. Non siamo stanchi. Anche con tutti gli ostacoli e le difficoltà la strada ci è piaciuta. Ed ora siamo soddisfatti di lasciare il testimone nelle mani che ancora sono le nostre e continuare ad andare avanti. Questo è quel che conta e tutto il resto è secondario”.