Let's talk about amnesty

Fri, 24/01/2014 - 22:37
di
Thomas Müntzer

L'8 ottobre scorso, con un messaggio inviato alle Camere, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha posto formalmente al Parlamento il tema del sovraffollamento carcerario e dell'amnistia. L'intervento del Presidente è stato sollecitato da una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte Edu), approvata nel gennaio 2013 e resa definitiva a maggio, che intimava all'Italia di porre rimedio alla situazione di sovraffollamento carcerario entro un anno dalla sentenza definitiva (e quindi entro maggio 2014). Nel suo messaggio, il Presidente ha proposto misure di carattere strutturale, come la previsione di misure restrittive della libertà alternative al carcere, e la costruione di nuove carceri. Tuttavia, data la ristrettezza dei tempi imposta dalla sentenza europea, il Presidente ha suggerito l'impiego di misure straordinarie come l'amnistia (che prevede l'estinzione del reato) e l'indulto (che prevede l'estinzione della pena).
Le reazioni della politica istituzionale non si sono fatte attendere.
Il Pd, preso come al solito alla sprovvista dopo anni di retorica giustizialista attinta a piene mani dal bagaglio culturale della destra, apre timidamente all'amnistia e, non sapendo che altro dire, aggiunge per bocca del suo segretario che il problema non è svuotare le carceri, ma evitare che si riempano di nuovo.
Più interessante la reazione del Pdl. Dopo aver contribuito per oltre vent'anni a riempire le carceri di poveracci con leggi come la Fini-Giovanardi sulle droghe o la legge sul reato di immigrazione clandestina del 2009, il partito riscopre la sua anima ferventemente libertaria in seguito alla condanna definitiva del suo capobastone, Berlusconi; così i deputati Pdl alla Camera, nell'udire la parola “amnistia” e intravedendo la possibilità di dare un colpo di spugna ai precedenti del loro capobanda, hanno levato un applauso corale, nemmeno fossero dei campesinos messicani al termine di un comizio di Pancho Villa.
Al di là del fondato sospetto che questa amnistia possa essere usata strumentalmente per salvare Berlusconi, la proposta di amnistia presentata dal Presidente e il dibattito che ne è seguito presenta dei limiti evidenti. Nonostante tutta la retorica che si fa attorno alle condizioni di vita nelle carceri italiane, giustamente definite inumane, non viene spesa mezza parola sulla vergogna rappresentata dai famigerati Centri di identificazione ed espulsione (Cie), dove vengono rinchiuse persone che non hanno violato alcuna norma penale, e dagli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), sette sul territorio nazionale, riconosciuti illegittimi costituzionalmente nel 2003, ma ancora aperti nonostante un decreto ne prevedesse la chiusura nel marzo 2013 (tale chiusura è stata rimandata – per ora – ad aprile 2014).
Gli stessi interventi strutturali prospettati nel dibattito svolto finora non si propongono di eliminare le norme reazionarie e criminogene sorte negli ultimi anni, ma si limitano a modificarne le pene; le norme inique, col loro carico repressivo e di controllo poliziesco restano, ma invece di finire in carcere (perchè poi si fa brutta figura con l'Europa) si finisce ai domiciliari, con l'obbligo di firma o con multe salatissime.

Quello dell'amnistia resta nondimeno un tema di stringente attualità, che riguarda non soltanto i 65mila detenuti nelle carceri italiane (su una capienza regolamentare di 47mila persone). Da oltre vent'anni qualsiasi manifestazione del conflitto sociale viene trattata come un problema di ordine pubblico piuttosto che come una questione sociale e politica. È logico che le lotte sociali, anticipando le legalità future, entrino in frizione con le legalità presenti; finchè la politica si è fatta carico di queste frizioni, esse si sono risolte nell'allargamento dei diritti e della democrazia; quando invece, come adesso, ad occuparsi di queste frizioni sono la polizia e magistratura, l'unica risposta possibile è la repressione: così, chi libera e riqualifica gli spazi inutilizzati nelle città diventa un ladro, chi lotta per il diritto all'abitare è un bandito, chi si oppone alla devastazione del territorio dove vive è un terrorista.
Alcuni giuristi denunciano questa svolta repressiva, sul piano del diritto penale, come uno spostamento da un sistema giuridico basato sui diritti della persona ad un sistema giuridico basato sulla ragion di Stato; oggi la ragion di Stato coincide con la ragione della finanza e delle grandi corporations, come sanno bene coloro che lottano contro le devastazioni ambientali e che vengono accusati di terrorismo, le studentesse e gli studenti, regolarmente massacrati dalla polizia, e i precari e le precarie che perdono il loro lavoro, sacrificato sull'altare del profitto. La questione dell'amnistia riguarda loro e quindi tutti noi, perchè quando le istanze sociali non vengono più colte dalla politica, ormai muta, ma dalla polizia e dalla magistratura, chiunque si alzi in piedi per difendere i propri diritti e la propria vita rischia di venire trattato come un criminale; ma resistere allo sfruttamento e ai soprusi non è criminale, è questione di vita o di morte.

Occorre quindi disinnescare la narrazione compassionevole e paternalista per cui l'amnistia serve perchè le carceri sono piene; si tratta di un immaginario che fa unicamente il gioco degli specialisti dell'assistenzialismo carcerario, dell'associazionismo di settore e degli imprenditori della politica, e che fa il paio con le campagne di terrorismo mediatico lanciate da giornali come Repubblica e il Messaggero contro i movimenti sociali.

Sì, la vita nelle carceri è inumana, ed è una vergogna a cui va posto rimedio con un'amnistia.

Ma tale amnistia sia anche un'amnistia sociale, perchè chiunque deve avere la possibilità di portare avanti le sue lotte senza venire annichilito dalla repressione.

Amnistia sociale subito!

Link utili:

Manifesto per l'amnistia sociale

Il messaggio del Presidente della Repubblica