Le larghe intese europee

Wed, 19/03/2014 - 11:09
di
Marco Bertorello

Colpisce il grado di compartecipazione e stima reciproca che esprimono le elites europee, o loro rappresentanze, quando si incontrano. Negli ultimi giorni il nuovo presidente del consiglio italiano ha avuto occasione di andare a trovare Hollande prima e Merkel poi. Il primo capo di stato socialista, la seconda democristiana. Tali vertici bilaterali non sono semplicemente delle passerelle, hanno una loro valenza intrinseca. Esistono dei contenziosi da regolare o delle strategie da mettere a punto. Non ultimo per il nostro Renzi c'era la necessità di un riconoscimento formale nei due principali paesi dell'Unione. Ma quello che colpisce è la distanza tra le dichiarazioni congiunte e quello che si racconta a casa propria. E non si tratta di una regola tutta italiana, frutto di un atteggiamento tipicamente italico. É la regola per tutti.
Hollande, un anno fa, fece una campagna elettorale all'insegna dell'ambizione al riequilibrio continentale, l'idea sembrava quella di provare a rimettere in discussione le imperanti leggi fatte di stabilità e rigore. Ma a poche settimane dalla sua elezione il parlamento transalpino approvava il fiscal compact. Uno degli ultimi tasselli dell'architrave di politica economica europea. Insomma una capitolazione su tutta la linea. Oggi si incontrano leader di due partiti dell'internazionale socialista e sono abbracci e pacche sulla schiena, dopo si incontrano il giovane rappresentante di uno di questi due partiti con quella che appare la rappresentante dell'Europa lacrime e sangue e... sono sempre abbracci e pacche sulla schiena. La Merkel rimane colpita dal giovane Renzi, lui regala la maglietta di un giocatore tedesco della Fiorentina e tutto fila liscio, o quasi. Renzi afferma che non siamo degli scolari da mettere dietro la lavagna e la Merkel conferma, almeno nella misura in cui continuiamo a fare i nostri compiti a casa. Napolitano grida basta austerità e il nuovo governo porta a vedere al governo tedesco la sua riforma del mercato del lavoro, certo di un'approvazione da parte dei campioni di una svalutazione salariale condotta da anni. Così la Merkel ci promette la promozione, sempre per restare alla metafora scolastica.

Insomma i problemi dell'Europa si denunciano a casa propria, in particolare nelle campagne elettorali, magari per arginare i pericoli populisti, ma nella quotidianità del governo europeo e nazionale la materialità dei programmi è spaventosamente convergente. Nulla è concesso al di fuori dei famigerati parametri, Renzi torna da Berlino con la definitiva convinzione che neppure è possibile mettere a bilancio l'aumento del rapporto deficit/Pil seppur rientrerebbe nei numeri concessi. In effetti per quest'anno è previsto un rapporto al 2.6, ma si tratta sempre di una previsione, e dunque mettere in conto un rapporto inferiore di 0.4 punti per poi conteggiare già spese pari allo 0.2-0.3% può risultare un'operazione non priva di sbavature al momento dei conti finali. Dunque niente.
D'altronde ormai in Europa è la stagione delle grandi intese. Dal governo tedesco socialdemocristiano a quelli di Italia e Grecia. Politiche economiche identiche per partiti interscambiabili o sovrapponibili. Eppure ci sarebbe bisogno di un cambio di rotta. Molti lo auspicano. Ma come sostiene oggi sulle colonne del Corriere il germanista Angelo Bolaffi un'alleanza dei paesi mediterranei farebbe ridere in quanto “firmato il patto, ognuno correrebbe a telefonare a Berlino”. Nessuno, in primis la Francia, ha intenzione di abbandonare la relazione più o meno privilegiata con i tedeschi. In effetti il problema delle politiche europee non è il frutto di un errore, ma di scelte deliberate che vanno nella direzione mercantilista delle classi dirigenti dei paesi europei. Scelte che mettono al primo posto la finanza, l'export, il mercato globale. Questo è il senso dell'Europa di oggi. Ci sarebbe bisogno di rotture, di uscire dalle logiche imperanti a partire da quelle dei trattati che fanno da cornice alle politiche economiche vigenti. Ma invece a sinistra si parla ancora della necessità di far dialogare Scultz e Tsipras (candidati rispettivamente di socialisti al governo dei due principali paesi europei e sinistra alternativa). Speriamo che il dialogo venga sostituito da qualcuno (preferibilmente soggetti sociali in carne e ossa) che incominci a battere i pugni sul tavolo. Di dialogo e buone maniere ne abbiamo abbastanza.