L'allarme del voto francese non sarà superato da un semplice richiamo antifascista

Mon, 24/03/2014 - 15:45
di
Thomas Müntzer

Le elezioni in Francia costituiscono la ripetizione di quanto già abbiamo visto. Quando la sinistra al governo fa politiche di destra e si presenta come la continuazione di quest'ultima è l'estrema destra a sfondare. Il risultato del Front National di Marine Le Pen, infatti, non lascia spazio a dubbi: ballottaggio a Marsiglia, vittoria al primo turno nell'ex bastione operaio del Pas de Calais, risultati importanti in molte altre città. E, contestualmente, disfatte ovunque da parte del Partito socialista, senza grandi benefici per la sinistra più estrema, presentatasi in questa tornata con molte divisioni al suo interno.
La situazione si potrebbe liquidare con queste brevi battute se, però, stavolta non ci fosse la novità europea e il significato più ampio del voto. Che si interseca con il tentativo di Marine Le Pen di cambiare pelle al movimento politico ereditato dal padre, cercando di portarlo da un'identità chiaramente razzista, antisemita e di matrice fascista a quella che potremmo definire dell'euroscetticismo. In questa chiave il voto francese ha un respiro più ampio e interroga le attuali politiche dell'Unione europea ma anche le risposte che a queste devono essere date.
Dalla Francia il vento di un nuovo "sovranismo" - definirlo nazionalismo è ancora prematuro - cioè di politiche economiche che risiedano più nettamente nelle mani degli Stati nazionali come rimedio all'austerità soffia ancora più forte. E dispiegherà i suoi effetti alle prossime elezioni del 25 maggio. Del resto, movimenti e spinte analoghe esistono ovunque e con risultati elettorali sempre più significativi. Basti pensare all'Italia e al voto del Movimento Cinque Stelle.
Qui, dunque, c'è la novità. Il voto al Front National o al M5S, che restano due movimenti nettamente distinti, si nutrono della stessa spinta popolare: rifiuto dell'austerità, rifiuto della "vecchia politica", della corruzione, delle liturgie istituzionali, nazionali o eruopee che siano, le quali alla fine producono sempre lo stesso risultato: taglio alle spese sociali, riduzione dei salari, dei servizi pubblici, libertà alle imprese di fare quello che vogliono a partire dai licenziamenti. Questa spinta non sarà fermata con il richiamo all'antifascismo o, come si dice in Francia, con la saldatura di un improbabile e irriconoscibile, oggi, Fronte repubblicano. Ed è lo stesso motivo per cui non basterà una dose di responsabilità in più per svuotare il consenso del "grillismo" in Italia (va anche detto, comunque, che per fortuna nel nostro paese questo vento euroscettico si esprime tramite un movimento di ben altra natura rispetto al Fn e permeato da ambizioni di rinnovamento e di progresso non negabili). Il fallimento progressivo di questa Europa e delle politiche di cui si nutre è sotto gli occhi di tutti. I partiti dell'establishmenti, quelli del Pse e quelli del Ppe o dei Liberali, lo sanno ma non è nella loro natura cambiare strategia. Si blinderanno fino alla morte, sperando di recuperare, e continueranno con l'andazzo di sempre. Al massimo, come fa Renzi in Italia, cercheranno di recuperare anch'essi una dose di populismo per non rimanere spiazzati del tutto.
Man mano, però, che l'austerità continua - con vantaggio per banche e imprese private e scorno di lavoratori e precari - la spinta euroscettica non potrà che aumentare perché oggi costituisce la vera forza alternativa. Questo è il vero problema, anche per chi si colloca a sinistra.
Se è così, non ce la si cava solo, come fa la lista Tsipras in Italia, con un europeismo progressista. Serve un di più in termini di scardinamento dei meccanismi dell'Unione senza per questo cedere al sovranismo o all'illusione che basti uscire dall'euro per cambiare di segno alle politiche liberiste. Per questo lavoriamo a una mobilitazione all'insegna del "Disobbediamo ai Trattati". Occorre, infatti, mettere al primo posto il ribaltamento delle priorità: basta con il rispetto dei parametri, basta con il primato del debito, basta con la supremazia delle banche. Qualsiasi politica europeista deve vedere al primo posto la riconquista di reddito e diritti, il recupero del salario e dei diritti sociali tagliati o aboliti negli ultimi dieci-venti anni. Cambiare verso significa andare davvero da un'altra parte e se questa non coincide con le direttive della burocrazia di Bruxelles i governi devono essere pronti a ogni evenienza. Anche l'estromissione dalla moneta unica, non come scelta a monte ma come conseguenza "a valle" per effetto del cambiamento radicale delle politiche economiche e sociali. Questa è la prospettiva su cui si può costruire movimento e allargare il fronte della resistenza. Su questo ci muoveremo nei prossimi mesi, in particolare nelle giornate indette dal Coordinamento transnazionale Blockupy2014 che faremo vivere anche in Italia con una serie di date di mobilitazione dal 15 al 25 maggio.