Grecia: l'Europa contro i popoli

Mon, 13/07/2015 - 21:25
di
Thomas Müntzer

Non doveva finire così. Poteva non finire così. E purtroppo non è ancora finita. E' la reazione istintiva che suscita la lettura dell'accordo siglato all'Eurosummit per il presunto salvataggio della Grecia. Per il paese è un nuovo disastro per Alexis Tsipras una sconfitta amara. Tanto più dopo il risultato del referendum del 5 luglio che aveva respinto massicciamente una bozza di accordo paradossalmente migliore dell'attuale.

I creditori, la Ue, la struttura di classe che questa rappresenta, ottengono tutto. Le riforme strutturali, a partire dalle pensioni, l'aumento delle tasse che, per come è strutturato il sistema fiscale greco con una evasione di massa, colpirà soprattutto il lavoro dipendente, il rigido controllo degli avanzi primari di bilancio con l'evidente obiettivo di garantire le risorse necessarie a pagare il debito. Soprattutto, questa la novità peggiore, la garanzia di un programma di privatizzazioni mostruoso, 50 miliardi su un Pil di circa 200 miliardi di euro, e l'istituzione di un Fondo, gestito da Atene ma controllato dalla Troika, che incamererà i proventi delle privatizzazioni per ripagare i debiti.
E ancora, la prospettiva di una riforma del mercato del lavoro attraverso la "rigorosa revisione e modernizzazione della contrattazione collettiva... in linea con le direttive dell'UE" - che ci pare preludere ad una qualche forma di "jobs act" greco.
Sul fronte dell'annullamento del debito, sia pure parzialmente, nulla. Solo una generica promessa ad allungare le scadenze ma la netta sottolineatura che, come si legge nel testo, "non possono essere realizzate svalutazioni del valore nominale del debito".
Proprio questa riaffermazione - sottoscritta dal governo greco - dell'impossibilità di una ristrutturazione del debito (tantomeno di un annullamento anche parziale) rappresenta a nostro avviso uno dei principali passi indietro rispetto agli obiettivi degli ultimi anni di Syriza e delle sinistre europee.

Tsipras torna a casa dicendo di aver salvato il salvabile ed evitato il peggio. In realtà ha realizzato la soluzione peggiore proprio perché ha disatteso in modo plateale il referendum. Quel voto aveva respinto chiaramente la dottrina di Bruxelles e messo in evidenza un potenziale di resistenza e di disponibilità a praticare strade alternative. Invece, è stato utilizzato solo per garantire l'attuale assetto politico ed evitare l'uscita di scena di Tsipras. Il sacrificio di Yanis Varoufakis ne ha rappresentato l'avvisaglia e anche la prova che già la sera del 5 luglio Tsipras aveva deciso di andare a firmare un accordo. Da qui, le dimissioni del suo ministro più celebre.

Qualsiasi possa essere il giudizio sulle scelte del governo greco non può far dimenticare nemmeno per un istante quali siano le responsabilità per l'ennesimo colpo che verrà inferto alla popolazione greca.
Ha vinto la linea dura, quella incarnata negli ultimi giorni da Wolfgang Scheuble e goffamente contrastata da François Hollande o da un presunto ruolo italiano. Nessuna alternativa nello schema dell'alternanza che sorregge l'Unione europea - rappresentato da Ppe e Pse - è stato veramente visibile.
Ma non è in corso uno scontro tra falchi e colombe. Ieri c'è stato un compromesso tra due visioni diverse del ruolo delle istituzioni politiche e finanziarie dell'Europa, un confronto/scontro è emerso alla luce del sole: nell'ultima settimana il problema non era la Grecia quanto ciò che divide Francia e Germania sul funzionamento delle istituzioni europee e il tipo di rapporto che debbono avere con gli stati nazionali soprattutto in un periodo di crisi del capitalismo.
Al di là dei giochi di ruolo e di posizionamento mediatico, la strategia tedesca di impedire qualsiasi incrinatura nell'ortodossia neoliberista europea, anche al fine di sconsigliare avventure simili a quella greca in altri Paesi, è stata perseguita con determinazione, lucidità e consapevolezza dei propri interessi. In ballo c'è proprio il nome di una delle possibili alternative politiche oggi in Europa, Podemos: Scheuble ha voluto avvertire tutti che no, "no podemos" costruire un'altra Europa e nemmeno una leggermente diversa dagli interessi dei paesi più forti.
La sconfitta greca è pesante perché sembra dimostrare che nell'Europa di oggi non vi è possibilità alcuna di un governo che non pratichi l'austerità. Una tenuta della posizione da parte del governo greco avrebbe certamente contribuito maggiormente ad esperienze come quella di Podemos.

Da non sottovalutare, anche se non certamente da vedere come elemento centrale, la partita geopolitica che si è aperta in quest'ultimo mese. Non possiamo dimenticare infatti che la Grecia è uno dei Paesi cardine per posizione geografica della Nato. Le pressioni di Obama sulla Merkel per mantenere la Grecia nell'Euro ci saranno sicuramente state ma altrettante sono state fatte sul governo Tsipras che non ha mai messo in questione il ruolo dell'esercito in Grecia che come sappiamo rimane decisivo su molte questioni. La sola ipotesi di un'uscita dall' Euro avrebbe implicato inevitabilmente una ricerca di fonti energetiche a basso costo anche da Paesi come la Russia, aprendo così una relazione privilegiata. Sarebbe stato accettabile per gli Usa vista anche la situazione in Ucraina e l'instabilità presente in Turchia?

Si poteva fare altrimenti? Non è agevole mettersi nella posizione di chi dispensa consigli dall'esterno. Non è questa la vocazione che vogliamo avere. Però, nel confronto durissimo che si è aperto e, soprattutto, dopo l'indizione del referendum, mettere nel conto un "piano B" e ipotizzare una soluzione diversa, compresa l'uscita dall'euro, era inevitabile. Se non altro perché, in questo modo, si contribuisce a creare l'ennesima, gigantesca, disillusione. Una responsabilità enorme sulle spalle di Syriza il cui dibattito interno, oggi, diventa particolarmente cruciale.
Da questo punto di vista già nell'accordo del 20 febbraio era più importante il binario su cui era stato messo il negoziato che non le presunte luci e ombre dell’accordo stesso. Da lì è cominciata la difficoltà del governo greco. Le responsabilità del gruppo dirigente di Syriza, compresa parte della sua sinistra, sono molte e forse non ci si poteva aspettare molto di più vista la stessa configurazione, struttura e funzionamento di quella coalizione politica. Le semplici "ricomposizioni" politiche non sono all'altezza di uno scontro con le istituzioni del capitale europeo. Questa è una lezione da trarre
Al di là dei consigli da dispensare con più o meno allegria, quello che viene fuori è l'assoluta sproporzione tra i gestori e amministratori dell'Europa liberale e coloro che vogliono opporsi. E' questo scarto a doverci preoccupare e a esigere un di più di iniziativa e di mobilitazione. Questa Europa è pensata e costruita per strozzare i più deboli, il mondo del lavoro, i precari. Scheuble e compagnia non hanno scrupoli e non li avranno nemmeno i presunti europeisti moderati alla Renzi o Hollande.

Serve la capacità di costruire un nuovo fronte altereuropeo – quello che è mancato in questi mesi, senza il quale la posizione del governo greco è stata certamente isolata e senza una forza di pressione continentale. Serve questo fronte che non consideri un tabù nessuna opzione, se questa è finalizzata a proteggere gli interessi popolari, nemmeno soluzioni di uscita dall'euro. Serve un movimento che si ispiri alla fase migliore della recente esperienza della mobilitazione greca - a partire dalle esperienze di mutuo soccorso conflittuale e di disponibilità ad assumersi il rischio della sfida ai poteri europei - e della stessa Syriza, compreso il referendum, che faccia leva sulla partecipazione e sulla determinazione delle proprie posizioni.
Serve un sussulto da parte di tutti noi per rompere la prigione dell'austerità e la gabbia del rigore monetario.

Un sussulto che metta al centro la solidarietà con le esperienze di base greche e soprattutto il rilancio del conflitto sociale e politico, affinché l'autunno possa vedere mobilitazioni e iniziative in tutta Europa contro il debito e le politiche di austerità.
Il 17 ottobre – forse in ritardo e con forza decisamente inferiore alle necessità - che da diverse parti è stato lanciato come data di mobilitazione in Italia intrecciata al percorso europeo di Blockupy, ci sembra in questo momento possa essere il terreno per la costruzione di questa iniziativa.
Per provare a costruire rapporti di forza che rendano possibile quello che questa volta non è sembrato esserlo.