Ciao Sergio

Wed, 21/05/2014 - 12:17
di
Marco Bertorello

É morto Sergio Casanova. Quando muore una persona è sempre difficile ricordarla, senza scadere nella retorica, senza abbellire la storia o la figura che mancherà. Per Sergio, però, è difficile anche scadere in tale retorica. Sergio era una persona capace di essere tanto sorridente quanto rancorosa. Mi ricordo fare liti furibonde nei congressi di Rifondazione Comunista in cui presentavamo mozioni contrapposte. Spesso fuori dall'ordinario. Ma ricordo anche la sua capacità di ridere, di prendere e prendersi in giro. Con Sergio o si litigava o si rideva, non c'erano mezze misure. O era d'accordo con te oppure ti attaccava, anche in maniera tagliente, senza risparmiarsi. Si arrabbiava e faceva arrabbiare. Ma con lui ho sempre mantenuto un rapporto, un buon rapporto. Nasce politicamente diventando un leader degli universitari genovesi nel biennio 67-68, aderisce al Manifesto prima e al Pdup poi. Confluisce in Democrazia Proletaria e infine in Rifondazione. Contro l'ultima svolta governista di questo partito contribuisce attivamente a fondare la componente di Sinistra Critica, scrivendone il documento di presentazione che raccoglierà 300 firme. Da Sinistra Critica se ne distaccherà successivamente per crescenti dissidi non tanto sui suoi contenuti quanto sulle sue forme, sulle sue forme di esistenza. Negli ultimi anni era diventato un'anima irrequieta della sinistra radicale, senza una casa politica, alla ricerca di qualcosa che ancora non c'era, ma di cui sentiva l'urgente necessità. In Sinistra Critica denunciava i limiti nostri, spesso senza che lo capissimo. Sembrava quasi che la sua denuncia fosse dovuta a problemi caratteriali, a quel carattere spigoloso e difficile che sapeva tirar fuori quando era in dissenso con qualcosa o qualcuno. Ma, forse l'ho capito troppo tardi, esprimeva un malessere che in modo sempre più chiaro ha coinvolto tanti di noi. Non voglio certo ascriverlo alle fila di quelli che stanno provando a costruire il laboratorio di Communia. Sarebbe scorretto. Ma sicuramente ne è stato un precursore nella misura in cui criticava l'inadeguatezza di Sinistra Critica e della più generale tradizione della sinistra radicale. In questo senso ambiva a fare tabula rasa, a ricominciare d'accapo, perché diceva che lui/noi avevamo fatto troppi errori in passato, non dovevamo perseverare. Un precursore che poi ha preso una strada solitaria, limitando la propria attività ad Attac, abbandonando la militanza politica in senso stretto, preso anche dalle sue difficoltà personali e di salute. Ma un precursore nel suo ripartire dall'insoddisfazione.
Ciò che mi piace ricordare, però, è il suo rigore intellettuale coniugato con la sua grande capacità divulgativa. Era un insegnante di economia della scuola e si vedeva. Era bravo a spiegare e semplificare l'economia. Tutti lo capivamo. Tanti sono stati i seminari e gli incontri che gli abbiamo chiesto di organizzare negli anni per spiegarci una legge finanziaria oppure le fondamenta dell'economia politica. La sua capacità di semplificare però non implicava semplificazione. Qualche mese fa mi aveva scritto una mail per criticare il mio uso di una definizione: “keynesismo finanziario”. Mi aveva scritto ben quattro lunghe pagine per spiegarmi l'imprecisione di una tale definizione. Per parlarmi di ciò che aveva rappresentato il keynesismo e anche dei suoi limiti. Lucidissimo. Della definizione che giudicava ambigua ne aveva capito il senso, ma non la condivideva comunque. Lo avevo ringraziato per la critica, gli avevo detto che era una definizione di Bellofiore, avevo riconosciuto che era una definizione che andava spiegata e precisata meglio, ma che coglieva un aspetto delle novità del momento. Insomma avevamo fatto una piacevole chiacchierata sulla scienza triste senza rattristarci. Io poi avevo imparato qualcos'altro su Keynes e il keynesismo. Questo era Sergio. Così mi piace ricordarlo.