Catalunya, 27S: un terremoto che non si fermerà

Tue, 29/09/2015 - 19:13
di
Josep Maria Antentas

Il 27S conferma il terremoto al rallentatore che ha colpito la società catalana negli ultimi quattro anni, scossa dalle politiche di austerità e dall'esplosione del 15M prima, e dal movimento indipendentista poi. Il sistema dei partiti tradizionali è esploso e dalle urne si affaccia una tabella di marcia che mostra che quanto ci aspetta sarà simile o ancora più profondo di quanto è accaduto in questi anni.

Junts pel sì, rifondazione di Convergencia e le sue aspirazioni
Junts pel Sì ottiene un buon risultato, 1.616.962 voti (39,6%) e 62 eletti (anche se al di sotto della somma di CiU e ERC nel 2012: 1.614.383, 44,4% e 72 deputati), sufficiente per affermarsi chiaramente come forza dominante nel panorama politico catalano. In termini percentuali, il risultato è leggermente superiore a quello ottenuto da Artur Mas nel 2010 (38,47%) e inferiore a quelli ottenuti dalla CiU nel 1984 (46,8%), 1988 (45,7%), 1992 (46,1%), 1995 (40,95%), anche se in termini di voti, è il più alto di sempre per una forza vincente (1.346.729 nel 1984, 1.232.514 nel 1988, 1.221.233 nel 1992, 1.198.010 nel 2010).

Junts è un'alleanza non paritaria tra CiU e ERC, egemonizzata dalla prima e sostenuta dalle organizzazioni sociali che hanno dato vita al processo indipendentista, ANC (assemblea nazionale catalana) e Omnium. La sua creazione ha segnato il culmine degli sforzi di Mas per forzare la formazione di una lista "unitaria" con ERC e garantirsi la propria continuità alla presidenza della Generalitat. E' il risultato diretto dell’irrequietezza dell’indipendentismo dopo le difficoltà seguenti il 9N e, soprattutto, dello spettro di una possibile vittoria di Catalunya en comù sulla scia di Barcellona en comú, il cui trionfo aveva distrutto la narrazione ufficiale della politica catalana.

All’interno di Junts convivono due progetti in tensione tra loro. Da una parte la pretesa della destra catalanista di rifondare il suo spazio politico cavalcando il processo indipendendista, una volta storicamente esaurito lo strumento di CiU, per costruire un nuovo partito "nazionale" trasversale che possa diventare il perno della politica catalana. Dall'altra parte, il tentativo di ERC e Omnium di mettere in campo una lista unitaria che garantisse una maggioranza indipendentista per andare avanti con il processo di rottura con lo Stato spagnolo. Sono due obiettivi diversi ma non contrapposti, dove il primo tende a vampirizzare il secondo.

Per quanto Junts sia lo strumento che assicura la continuità di Mas alla direzione della Generalitat e del processo indipendentista (senza controllarlo completamente, come un surfista senza il quale la tavola cadrebbe ma che non può controllare le onde che la spingono) esprime allo stesso tempo le sincere aspirazioni unitarie di molta gente che cercava una traduzione unitaria politico-elettorale del clamore espresso nelle quattro grandi mobilitazioni dall'11 settembre 2012 in poi. Junts pel Sì raccoglie la spinta del movimento civico per l’indipendenza e offre una tabella di marcia che appare verosimile al grosso della base sociale maggioritaria dell’indipendentismo. Esiste, certamente, una contraddizione lacerante tra le speranze della base popolare e cittadina di Junts pel Sì e la subordinazione del suo progetto strategico ad un rigoroso programma neoliberale. In questo modo apre un vuoto dove infilare la punta dello scalpello per portare alla luce l’inconsistenza del suo approccio.

I balli del PSC
Il 27S conferma la perdita di centralità del PSC (Partito Socialista Catalano), il cui declino storico è una tendenza di fondo risultato della sua mancanza di credibilità a livello nazionale e in campo sociale, dopo i due mandati del governo Tripartit in Catalogna (2003-2010) e dei due governi di Zapatero (2004-2011). Tuttavia è riuscito a stabilizzare la sua caduta e risalire dal possibile baratro di una "pasokizazione" irreversibile e di una drammatica caduta a causa del 15M e del processo indipendentista, sotto la inconsistente "direzione" di Pere Navarro (novembre 2011- Giugno 2014). I suoi 520.000 voti (12,7%) e 16 seggi, pur essendo il peggiore risultato della sua storia, inferiore a quello del 2012 (523.333 voti, pari al 14,6%, e 20 deputati) indicano però che sembra aver toccato il fondo e che conserva risorse per rialzarsi.
Il suo risultato è un successo viste le previsioni iniziali e mette il PSOE di fronte alle proprie responsabilità in vista delle imminenti elezioni generali. Ancora più importante per Iceta: aver battuto Catalunya sì que es Pot. Un elemento decisivo per garantirsi un ruolo visibile nella prossima legislatura. Anche in questo caso, come in tutte le comunità autonome lo scorso 24 maggio, Podemos arriva dietro il PSOE. Un siluro contro la sua ipotesi di rapida vittoria elettorale di fronte alle ceneri dei partiti di regime.

Indubbiamente, il PSC ha approfittato della perdita della spinta di Podemos a livello statale dal gennaio di quest'anno e dell'incapacità di Podem di contrastare tale situazione in chiave catalana e di cavalcare la vittoria di Barcelona en Comú del 24 maggio, così come l'abilità del candidato Iceta di inserirsi nella competizione combinando balli (populisti?) e buone risorse oratorie. Da grigio burocrate a simpatico John Travolta, Iceta si è guadagnato durante la campagna il posto al sole che altri non sono riusciti a ottenere vendendo una febbre del sabato sera abbastanza vivace per entusiasmare i suoi e sufficiente ad attirare una parte dell'elettorato non polarizzato dal dibattito sull'indipendenza.

Il fiasco di Catalunya sì que es Pot
Non c'è niente da dire: Catalunya sì que es Pot (CSQP) è stata la grande sconfitta in queste elezioni. Tra le aspettative iniziali di ripetere il successo di Barcelona en Comú e il risultato ottenuto - 364.823 voti (8,9%) e 11 deputati - il contrasto è evidente. E, simbolicamente, la sua sconfitta di fronte ad un PSC affondato pochi mesi prima è decisiva. La riduzione permanente di orizzonti che ha mostrato la sua campagna ha pochi precedenti. Se la mappa disegnata dopo le elezioni comunali poteva far pensare che il 27S si sarebbe trasformato in un "Nightmare on Mas street" alla fine abbiamo trovato un "si se puede" "Missing in Action" (ricordate Chuck Norris nel suo ruolo da rambo di serie B?). Ci sono molte ragioni per questo collasso completo e non si intersecano in modo coerente.

In primo luogo, CSQP è stato vittima del suo stesso fantasma e la minaccia che stesse prendendo forma una candidatura sulla scia di Barcellona enComú ha accelerato la formazione di Junts pel Sì. Questo ha modificato completamente il panorama politico, rendendo impensabile l'idea di una possibile vittoria del "sì se puede" che ha perso automaticamente la capacità di diventare una calamita ''prenditutto" dove si concentrassero le speranze di cambiamento di fronte alla Catalunya di Mas. Si è prodotto un effetto a cascata di smobilitazione e una fuga di voti potenziali verso Ciutadanos e PSC da una parte e verso CUP e Junts pel Sì dall'altra. Da "nucleo irradiante" (per utilizzare un termine di Iñigo Errejón) di un progetto egemonico è diventato un colabrodo che perde pezzi in direzioni opposte. E ha perso un passo decisivo nei confronti del PSC.

In secondo luogo, CSQP si è configurata come accordo dall'alto tra partiti (uno nuovo ma in una fase declinante e senza una struttura consolidata; e uno vecchio, ICV, con un forte apparato ma quasi senza peso elettorale), con la fotografia letale di Pablo Iglesias e Joan Herrera come evento fondativo, senza generare alcun tipo di dinamica popolare. Esattamente il contrario di quello che era stato Barcelona en Comù (anche se si deve riconoscere che la sua campagna ha mobilitato un settore importante della società, come si può vedere dal successo numerico di molte sue iniziative). Il distacco dal Proces constituent e il non coinvolgimento di Barcelona en Comù hanno rappresentato un freno per un processo nascente. Naturalmente i limiti di entrambi gli attori (la scarsa coesione interna del processo costituente e la stanchezza dopo la sbornia delle amministrative e l'assunzione del governo municipale per quanto riguarda Barcelona en Comù) possono parzialmente spiegare la loro assenza dal tentativo di costruire una candidatura del "si se puede" per il 27S. Ma la responsabilità fondamentale ricade sullo stile burocratico della proposta portata avanti da Podemos e ICV che ha spinto fuori i due attori che avrebbero potuto dare un cambio qualitativo al progetto.
Entrambi i partiti hanno sopravvalutato la propria forza e si sono rifiutati di aprire il processo per permettere il coinvolgimento di Proces constituent e Barcelona en Comù. In definitiva, quello che a fine luglio è diventata Catalunya si que es Pot aveva già poco a che vedere con quel fantasma, visto con speranza da alcuni e come minaccia da altri, di Catalunya en Comù che percorreva la politica catalana dopo il 24 maggio. Proseguire la dinamica di cambiamento elettorale senza coinvolgere Barcelona en Comù? Essere credibili sul terreno sovranista senza l'appoggio di Procès Costituent? Mission impossible. E se Tom Cruise è stato il protagonista di successo delle cinque stagioni della saga, Catalunya si que es Pot si è fermata alla prima. Non conviene quindi andare avanti su questa strada - perché solo nei film di Hollywood tutto è possibile: lì "si se puede" sempre..., anche nei contesti più improbabili.

In terzo luogo, la polarizzazione intorno al dibattito sull'indipendenza è stata letale per CSQP, favorendo J<em>unts pel Sì, CUP e Ciutadans. CSQP appariva come in una terra di nessuno in questo dibattito, con una posizione non sempre distinguibile da quella del PSC (malgrado fosse molto differente). I tentativi iniziali di Podemos di andare oltre il quadro del dibattito sull'indipendenza non solo non si sono compiuti, ma Podemos è stata travolta da quello stesso quadro. Da voler rovesciare il tavolo a esserne rovesciato. La spirale in negativo è stata drammatica per CSQP. Non avendo un discorso serio riguardo al processo indipendentista le impedisce di discutere con la base sociale di sinistra legata a CUP e ERC; carente di un chiaro discorso "spagnolista" impedisce di competere con Ciutadans. E non potendo generare una dinamica vincente, una parte del suo voto torna al PSC. Si spalanca la base sociale ai suoi piedi.

Queste difficoltà avrebbero potuto essere superate solamente mettendo in campo un altro asse di dibattito nel quale CSQP facesse da polo di attrazione, al tempo stesso offrire una proposta solida rispetto alla questione nazionale, come una ferma difesa di un processo costituente catalano non subalterno a dinamiche statali, che raccogliesse una buona parte delle aspirazioni della base sociale indipendentista. Per quanto nel suo manifesto fondativo CSQP rivendicasse un processo costituente catalano non subordinato e l'orizzonte di una repubblica catalana i cui vincoli finali con lo stato spagnolo restavano ancora aperti, il suo discorso elettorale ha completamente dimenticato questo programma, centrandosi sulla lotta per una referendum vincolante. Una proposta senza credibilità e che viene percepita come un freno impotente a qualsiasi processo di rottura istituzionale e non come una riformulazione originale, più amplia, del processo di rottura che propone l'indipendentismo.

Va segnalato, comunque, che i limiti di Catalunya sì que es Pot riguardo il discorso sovranista, anche se sono in primo luogo il risultato delle decisioni programmatiche assunte dalle forze che componevano questa lista, esprimono ciò che pensa una grande parte della sua base sociale ed elettorale. E questo è, a sua volta, il tallone d'Achille dell'indipendentismo e dell'insieme dalla sinistra catalana: è un problema per il primo perché senza il sostegno della base sociale del "sì se puede", la sua maggioranza sarà sempre stretta; e lo è per la seconda perché rimanendo divisa tra l'essere minoranza all'interno del movimento indipendentista e una posizione di minoranza al di fuori dello stesso, non riesce ad articolare uno spazio che possa configurarsi in maniera credibile come alternativa con vocazione maggioritaria. Non preoccuparsi di questo scenario e tirare avanti dimenticando la base sociale del "si se puede" è un errore simmetrico a quello di adattarsi senza complessi a questa situazione, annacquando il profilo nazionale fino a ridurlo alla difesa di un diritto a decidere astratto e senza contenuto sostanziale. Il pessimo approccio di CSQP riguardo il rapporto con il processo indipendentista non deve mettere in ombra la complessità strategica della questione.

La combinazione della dipendenza da Pablo Iglesias nella mobilitazione dell'elettorato e l'assenza di una candidatura catalana forte di per sé, ha impedito a CSQP la sintesi necessaria da articolare alla sua base sociale sociale eterogenea per quanto riguarda il processo di indipendenza. Iglesias, anche se riesce a mobilitare un vasto pubblico fedele, in questa campagna è apparso "Lost in Translation", con scivoloni da manuale come l'appello al voto ai "catalani che non si vergognano di avere genitori andalusi o nonni dell'Estremadura". Sono stati troppi gli inciampi di Iglesias nella stessa pietra, il processo indipendentista, e hanno prodotto una visibile e crescente erosione della sua immagine. Il paradosso della politica catalana è che in essa mancano chiare voci di rifiuto di Mas da sinistra, come quella dello stesso Iglesias. Quello che proprio il leader di Podemos non sembra capire è che la credibilità del suo violento discorso contro Mas è reso inefficace esattamente dalla sua mancanza di credibilità nella difesa dei diritti nazionali dei catalani.

Dalla sua irruzione nella politica, Iglesias è diventato una delle bestie nere per l'establishment catalano. E non per il fatto di non essere indipendentista, visto che nemmeno Rajoy e Sanchez lo sono ma suscitano, più che timori, disprezzo e sarcasmo. Iglesias genera inquietudine perché propone un progetto di cambiamento politico che non passa per l'indipendenza e questo ha messo sul tavolo domande scomode alle quali il grosso del movimento indipendentista non ha saputo o voluto rispondere. Per questo, da parte di chi viene ogni volta messo sotto esame, le reiterate dimostrazioni di non conoscere la realtà catalana e le sue complessità costituiscono un errore difficile da comprendere. Iglesias esce dalla Catalunya impantanato nel suo cammino verso le elezioni generali, nelle quali è obbligato a generare un cambiamento per riprendere il volo a scala statale.

Successi elettorali e limiti strategici della CUP
In termini elettorali, la CUP è una delle forze vincenti della notte elettorale, con 335.520 voti (8.21%) e 10 seggi (126.435, 3,48% e 3 posti nel 2012), aumentando i voti tra la base elettorale della ERC che non voleva votare una lista con Mas, tra nuovi elettori e tra coloro che si sentivano insoddisfatti delle debolezze del discorso, della radicalità e dello stile di CSQP.

Il suo ingresso in Parlamento nel 2012 è stato uno dei primi segnali che si stava aprendo un nuovo ciclo politico, dopo le mobilitazioni del 15M e il processo indipendentista, nel quale trovavano spazio i partiti che giocavano al di fuori delle norme. Il parlamentarismo di rottura praticato in questi tre anni da David Fernandez ha reso visibile un altro stile e pratica. In termini strategici la CUP presentava tuttavia tre limiti: primo la politica della mano tesa a livello nazionale e del pugno chiuso in ambito sociale ha separato in maniera evidente questi due ambiti, rinunciando a lottare realmente per introdurre nel discorso e nella strategia del grosso del movimento indipendentista l'idea che un processo di indipendenza richieda, per articolare una solida maggioranza possibile, l'introduzione di un programma di emergenza anti-crisi e di lotta alla corruzione. In secondo luogo, è stato troppo intrappolato nel quadro discorsivo del processo di indipendenza e della sua messa in scena politica (accordo per le richieste del 9N, firma della sua convocazione, celebrazione del 9N...). Se questo è stato paradossalmente decisivo per l'aumento delle sue aspettative elettorali dopo il 9N, ai danni soprattutto di ERC, d'altra parte ha allontanato una parte della base potenziale di Podemos non indipendentista, rispetto alla quale non aveva un'offensiva politica chiara.
In terzo luogo ha mantenuto un concetto lineare e autoreferenziale nella costruzione dell'"unità popolare", essendo molto refrattaria a qualsiasi politica di alleanze nella quale non avesse un ruolo egemonico, e a proporre una strategia di convergenza, sulla base di una rottura, al resto delle forze di sinistra, imprescindibile per articolare maggioranze per il cambiamento.

E' necessario intrecciare le politiche di CSQP e della CUP e i loro limiti strategici perché, per quanto la prima esca sconfitta dalle elezioni e la seconda rinforzata, è nelle insufficienze programmatiche di entrambe che si rivelano le responsabilità in base alle quali il terremoto che ha scosso la Catalunya negli ultimi anni non abbia permesso la cristallizzazione di un polo "rotturista" con un'incidenza decisiva nella vita politica catalana.Gli approcci di rottura hanno senza dubbio guadagnato posizioni, a partire dal 2012, ma non quanto sarebbe stato possibile e necessario.

Il no apocalittico del PP e lo "spagnolismo" neloliberista stile Ciutadans
Il No, che venisse dalla bocca del PP, di Ciutadans, di Felipe Gonzalez, o del potere finanziario, ha solamente venduto paura, reificazione dell'ordine istituzionale e accettazione dei dettami imperiali della geopolitica globale. La sua combinazione di un improvvisato discorso apocalittico e delle goffe contraddizioni dei suoi portavoce (corralito sì, corralito no) serve a mobilitare una parte dell'elettorato e mantenere la tensione. Ma non è in grado di offrire alcun orizzonte alternativo credibile.

Garcia Albiol, nonostante sia convincente nel suo ruolo di autoritario cavaliere dell'apocalisse, ha potuto fare poco per contenere l'emorragia di voti del suo partito, associato allo stesso tempo alla corruzione e ai tagli così come alla difesa dell'unità della Spagna. Il PP non può competere con Ciutadans, che è in grado di presentare il suo spagnolismo neoliberista come un progetto di rinnovo e difendere l'"unità della patria" senza apparire apertamente reazionario. Per quanto prevedibile, il cattivo risultato del PP - 347.758 voti (8,5%) e 11 deputati (rispetto a 471.681, 12,98% e 19 seggi nel 2012) - deve ugualmente essere segnalato. Rajoy, ancora una volta, esce indebolito dalle urne e dall'impeto catalano.

Spesso in Catalunya di Ciutadans si percepisce solamente il suo spagnolismo. Non va invece dimenticato il suo carattere di partito neoliberista, pro-business e fedele amico del Ibex 35 [Il codice di borsa spagnolo, NdR]. La sua ascesa e l'ascendenza in un settore della classe lavoratrice è il segno di un'involuzione della coscienza politica di quest'ultima in un duplice senso, sul terreno dell'identità nazionale e sul terreno del modello sociale.
Con il suo eccezionale secondo posto, 732.147 voti (17,9%) e 25 deputati (275.007, 7,57% e 9 seggi nel 2012), Ciutadans esce dal 27S proiettato verso le elezioni generali, nelle quali potrà presentarsi come principale avversario dell'indipendentismo in Catalunya e dopo aver conseguito un'importante vittoria simbolica su Podemos.

Sfide multiformi
Si apre uno scenario instabile. Le forze indipendentiste hanno ottenuto una significativa maggioranza di seggi (62 + 10 = 72), ma non di voti (47,8%). Il loro numero assoluto (1.952.482) è leggermente superiore a quello del SI nella consultazione del 9N (1.897.274) - anche se in quel caso potevano votare anche i sedicenni. Questo dimostra la forza del sentimento indipendentista, ma anche una certa stanchezza della sua base sociale, e i limiti della politica di "indipendenza prima e poi tutto il resto", che è stato il principale focus strategico dell'Assemblea nazionale catalana (ANC).
Le differenze tra Junts pel Si e CUP-Crida Costituent fanno prevedere una maggioranza instabile e piena di contraddizioni. La CUP dovrà affrontare la relazione con Junts pel Sì a partire da un rapporto di forze molto sfavorevole. La sua pretesa di non sostenere mas fatta durante la campagna elettorale sarà molto difficile da realizzare da un rapporto molto sfavorevole di forze. Le loro affermazioni di non investire Mas fatte durante la campagna sarà difficile da realizzare. Difficile anche immaginare una ribellione dei vari Romeva, Junqueras e Forcadell contro il confermato presidente. I precedenti nella politica catalana non invitano a pensarlo.

All'orizzonte immediato, si delinea uno scontro senza precedenti tra le istituzioni catalane e lo stato, dal quale non ci si può aspettare alcun comportamento democratico a breve termine. E nello scontro tra un movimento democratico (nonostante i suoi limiti) e uno Stato e un regime i cui deficit democratici sono evidenti, non c'è dubbio da quale parte stare nei momenti decisivi. Catalunya si que es Pot dovrebbe tenerlo ben presente. Dal fronte del NO arrivano solo paura, legge e ordine. Il blocco del SI apre possibilità e porta il seme della speranza, per quanto abbia un difetto di fabbrica, l'egemonia della destra neoliberista al suo interno, che minaccia permanentemente di spezzare tutti i sogni che in forma massiva molti catalani vedono nell'indipendenza e di ricondurli verso un progetto neoliberista autoctono che svuoterebbe la sovranità dall'interno. La CUP-Crida costituent non dovrebbe dimenticarlo.

Le forze rotturiste di sinistra avranno un numero importante di seggi, ma nel complesso sono ben al di sotto di quello che sarebbe stato possibile se si fossero tentate altre strade. C'erano altre possibilità. Altre deviazioni lungo il percorso. Forse più rischiose. Forse più complesse.
Una triplice sfida ci appare di fronte: sconfiggere lo stato nel suo scontro autoritario con il movimento indipendentista; andare oltre l'agenda di questo introducendo la proposta di un processo costituente popolare e partecipativo e un programma di emergenza sociale d fronte alla crisi che aiuti a riformulare i termini del dibattito e articolare un nuovo progetto, che sappia attrarre un amplio spettro sociale e articolare un blocco maggioritario, e che incarni un altro modello di Catalunya diverso da quello di Junts pel Si.

NOTE DELLA REDAZIONE

Risultati elettorali:
* JXSÌ - JUNTS PEL SÍ - 1.620.973 voti; 39,54%, 62 seggi
* CIUTADANS - 734.910 voti; 17,93%, 25 seggi
* PSC - PARTIT DELS SOCIALISTES DE CATALUNYA - 522.209 voti, 12,74%, 16 seggi
* CATALUNYA SÍ QUE ES POT - 366.494 voti, 8,94%, 11 seggi
* PP - PARTIT POPULAR - 348.444 voti, 8,50%, 11 seggi
* CUP - CANDIDATURA D'UNITAT POPULAR - 336.375 voti, 8,20%, 10 seggi
* UNIO - UNIÓ DEMOCRÀTICA DE CATALUNYA - 102.870 voti, 2,51%, nessun seggio

Junts pel sì è una lista composta da Convergencia Democrática de Cataluña e Esquerra Republicana de Catalunya

Il "9N" - 9 novembre 2014 - è la data del referendum consultivo che si è tenuto in Catalunya una volta vietato quello formale. Il SI ottenne 1.89700 voti, circa l'80% dei voti espressi,

Procès constituent è un'iniziativa di base per un processo costituente catalano dal basso e democratico, i cui esponenti principali sono Arcadi Oliveres eTeresa Forcades

trad. Piero Maestri da "Tiempo roto"