Ancora una volta... sappiamo chi è Stato

Wed, 13/07/2016 - 18:48
di
Thomas Müntzer

Farebbero quasi sorridere le prime dichiarazioni da film poliziesco di Matteo Renzi dopo l’incidente ferroviario in provincia di Bari, se non fosse che si tratta di una tragedia nella quale, per il momento, hanno perso la vita 26 persone.
“Troveremo il responsabile”, come se le politiche sul trasporto pubblico non fossero competenza delle istituzioni, o se davvero criminalizzare l’eventuale errore umano alla base della strage, decontestualizzandolo dallo stato ignobile in cui versano le ferrovie nel Meridione, potesse bastare ad archiviare quanto avvenuto.

Se da un lato è vero che Ferrotramviaria Spa è una società a totale capitale privato (la proprietà è della famiglia romana Pasquini), dall’altro bisogna evidenziare che gode di un accordo di servizio stipulato con la regione Puglia che prevede lo sviluppo di una rete ferroviaria che si estende per 83 km, di cui ben 43 ad unico binario. Eppure è l’unico collegamento ferroviario che unisce il capoluogo di regione ad importanti centri abitati molto popolosi, quali Bitonto, Terlizzi, Corato, Ruvo, Grumo Appula, Andria e Barletta (quest’ultima raggiungibile anche attraverso le RFI), per un’utenza complessiva di 700.000 utenti, a cui si aggiungono i turisti ed i viaggiatori che usufruiscono della fermata dell’aeroporto di Palese.
Da ricordare un secondo contratto stipulato con il Comune di Bari per il servizio metro che unisce il centro cittadino al quartiere periferico “San Paolo”.

Rispetto al famigerato binario unico, esiste un progetto di raddoppio, peraltro inizialmente finanziato per 180 milioni di euro, di cui 48 da fondi FESR 2007-2013, che inciderebbe proprio sul tratto della tragedia, ma tutto è praticamente fermo da 8 anni. Solo recentemente erano partite le gare d’appalto per i lavori.
Al binario unico, che in Puglia e nel resto d’Italia è un marchio di fabbrica che non riguarda solo le Ferrovie Bari-Nord, si aggiunge il fatto che sulla tratta dell’incidente non vi sia alcun sistema di automazione, ragion per cui tocca ai capistazione dover comunicare via telefono l’arrivo e la partenza dei treni più o meno tempestivamente. E’ assente ogni meccanismo di sicurezza o controllo. Tutto ciò, piuttosto che istigare alla ricerca spietata del capro espiatorio tra i dipendenti, dovrebbe farci ringraziare chi, in deroga alle normative di sicurezza basilari, ogni giorno per un salario base garantisce la sicurezza di migliaia di passeggeri.

Le immagini dei due treni squartati tra gli ulivi hanno rapidamente fatto il giro del mondo. Le operazioni di soccorso sono state rese sicuramente difficili dalla fitta presenza degli alberi in quel punto, ma anche dall’estrema difficoltà nel raggiungere dei centri ospedalieri adeguati. Non è un caso che anche il servizio sanitario attraverso i cosiddetti ‘Piani di riordino’ subisca un progressivo smantellamento della sua funzione pubblica e universale (in Puglia tra quelli più vicini alla strage è rimasto disponibile solo l’ospedale di Andria, invece sono stati chiusi quello di Trani e di Canosa).
In queste ore si sono susseguite sui social network tante riflessioni, più o meno condivisibili. C’è chi mette in evidenza come da un lato assistiamo allo spreco faraonico di soldi pubblici per grandi opere inutili, come la Tav, Expo, il Mose o il ponte sullo Stretto, volte a favorire le lobby e negli appalti delle quali si inserisce agevolmente anche la malavita, mentre dall’altro i servizi pubblici basilari restano fatiscenti.

Sicuramente, come conferma Pendolaria 2015 , il rapporto di Legambiente sullo stato del trasporto ferroviario pendolare nel nostro paese, l’Italia viaggia a due velocità diverse: da una parte treni ad Alta velocità sempre più moderni e veloci, in costante aumento a causa dell’aumento progressivo degli investimenti (+7% nel 2015), dall’altra una diminuzione degli Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-22,7% dal 2010 al 2014).
Dal rapporto emerge come vi sia un grande divario tra il nord e sud Italia, dove i treni regionali sono vecchi, lenti e dove, ogni giorno, tra Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna ne transitino meno rispetto alla sola Lombardia.
Questo è il dogma che purtroppo si ripete ogni volta che un servizio pubblico viene lasciato gestire ad un privato: per massimizzare i profitti si risparmia su tutte le spese ritenute “superflue”, e cioè sicurezza, controlli e lavoratori.

Il dramma di queste ore fa tornare alla mente il recente scandalo che ha investito le Ferrovie Sud-Est, società pubblica, ma amministrata secondo il diritto privato, che ha portato alla luce una gestione criminale di un servizio pubblico, che anche in questo caso, tra tangenti, truffe, e sprechi, ha potuto rafforzarsi grazie alla logica del profitto, principio alla base proprio di ogni azienda privata.
Questa strage per mancanza di sicurezza, per l’attenzione e la solidarietà che ha suscitato, per le ipocrisie e le solite lacrime di coccodrillo istituzionali che si susseguono, somiglia un po’ alle tante altre stragi della ‘mobilità’, da Viareggio a Crevalcore, a quelle che colpiscono chi si affida al mare (sempre al sud) alla ricerca di una vita migliore.
Questa strage per noi è figlia di una politica istituzionale ormai al servizio della sicurezza del profitto e della finanza; è figlia di una politica che ha tralasciato il senso delle vite e della cura delle persone per dare spazio alle leggi di stabilità, ai fiscal compact, all’austerità, i cui effetti si abbattono sulla nostra pelle, sulla nostra esistenza. Per giustificare guerre e militarizzazione dei territori la sicurezza si fa paladina della propaganda dei governi e delle istituzioni, legittima l’aumento delle spese militari, mentre poi la sicurezza dei pendolari diventa un optional. Anzi diventa un costo insostenibile economicamente per gli interessi dei privati.

Di fronte all’uso privatistico dei servizi pubblici, che sia il servizio sanitario, il trasporto o l’istruzione pubblica, è ormai noto quanto le istituzioni attuali siano governate e modellate non per soddisfare i nostri bisogni quotidiani. Noi i responsabili già li conosciamo. Non ci interessano i loro nomi, ci interessano le funzioni istituzionali di cui sono investiti. Questo ci deve essere di aiuto per denunciarli senza remore, per rovesciare la narrazione tossica del capro espiratorio di turno, per definire senza remore cosa significa per noi oggi ‘vivere in sicurezza’.
Per dimostrare a loro, ma soprattutto a noi stessi che anteporre le nostre vite agli interessi del business si può. Attraverso la solidarietà invece della competizione, attraverso la redistribuzione delle ricchezze invece dell’accumulazione dei profitti, attraverso la gestione e il controllo collettivo dei servizi pubblici e non la loro privatizzazione, attraverso la voglia di circolare liberamente e viaggiare serenamente invece di continuare a piangere la morte dei nostri cari in mare o sulla terra ferma, ovunque sia!