Riappropriazione / Autogestione / Nuovo Mutualismo

Sun, 19/01/2014 - 20:52

COMMUNIA FEST

Roma, 20-21-22 settembre 2013

Nell’ultimo anno stiamo praticando esperienze di occupazione, riappropriazione, mutualismo, recupero e gestione conflittuale diretta di spazi, che possono essere di proprietà pubblica o privata.

1)Queste pratiche vivono all’interno di processi di autorganizzazione di un proletariato etereogeneo, attraverso i quali la pratica dell'autorganizzazione si consolida ma soprattutto si riproduce socialmente, e col tempo crea soggettività di classe ed anche relazioni economiche e sociali differenti a quelle dominanti.

2) Una contraddizione irrisolta del marxismo sta nella dialettica tra l’approccio statalista-centralista e un approccio autogestionario. Queste tesi, tra loro all’apparenza inconciliabili, possono convivere insieme all’interno di processi sinergici da provare ad articolare gli uni con gli altri. In Marx non c’era il rigetto delle esperienze sociali (cooperative, principio collettivista) come dimostrano i documenti e le corrispondenze redatte durante la I^ Internazionale. Piuttosto si scagliava contro la falsa illusione di poter abbattere il capitalismo attraverso una loro graduale e spontanea estensione, surclassano così la questione fondamentale della presenza dello Stato. Il primo quesito che dobbiamo porci è: come conciliare le esperienze di autogestione, mutualismo e riappropriazione a livello locale con la necessità di deperire lo Stato attuale (al servizio degli interessi del capitalismo), momento decisivo del processo di emancipazione sociale, e dall’altro ridurre, corrodere i diritti del capitale?

3) Ineludibile si inserisce la questione spinosa della proprietà. La transizione da un economia capitalistica ad una realmente solidale non può che passare da una spietata lotta politica. Ciascuna esperienza locale deve essere portatrice di un potere di negoziazione con lo Stato e le istituzioni collegate, da una parte (presente in Communia con la fortissima denuncia sulle speculazioni a San Lorenzo, al Socrate occupato di Bari, alla Ri-maflow a Milano). I momenti di rottura (seppur parziali), di lotta e di incursioni anche dispotiche (ossia “illegali” secondo le normative attuali) nel dominio della proprietà privata possono assumere anche e soprattutto la capacità di creare intorno a sé consenso e solidarietà, cuscinetti indispensabili e ruote motrici di qualcosa che vada al di là delle pratiche stesse che si stanno portando avanti.

4) Un'altra questione fondamentale riguarda il processo di individuazione dei “veri nemici”. Insieme al progressivo rosicchiamento dei diritti del capitale, l'intento di queste pratiche deve consistere nel corrodere quella credibilità e sfera nebulosa che la classe dominante è riuscita a costruire intorno alla propria identità, da far venire allo scoperto attraverso gli stessi conflitti sociali che si danno. Gli interessi di parte dei Caltagirone di turno, delle banche e multinazionali prendono pian piano fisionomia nel momento in cui si rivendica la riappropriazione del loro diritto di proprietà, si denunciano e si combatte il furto compiuto. Come? Anche attraverso le occupazioni, i processi di autorganizzazione ed autogestione. Uno snodo strategico che crea soggettività e compattezza della classe, un graduale percorso (non lineare, ma reale) di presa di coscienza, quella di classe!

5) Queste pratiche tuttavia non sono sufficienti; c’è bisogno di organizzazione, di una visione globale: questo insieme di sperimentazioni va vissuto come un processo ed una costruzione in cui ciò che tiene unito il tutto è la capacità di mantenere un coordinamento e connessione democratica della pluralità sperimentale delle resistenze e delle esperienze maturate. Un progetto politico dal pensiero forte ed in continua costruzione. Un cantiere permanente.

6) Se cominciamo a delineare un network o area politica organizzata, per evitare di riprodurre errori del passato, senza sciogliersi nell'ansia del contingente, dobbiamo pensare ad un’organizzazione che porti con sé tratti sindacali, sociali...politici. Una rete organizzata nella quale il mezzo non è la rappresentazione tout court della classe, ma una coopartecipazione attiva che parta dai bisogni di sé e i cui protagonisti siano i nuovi e vecchi soggetti del lavoro precario e salariato, dei soggetti lgbt, delle donne e dei soggetti oppressi in lotta.

7) In cosa possono consistere questi tratti sociali, sindacali...politici di una rete organizzata?

Il tratto sociale. Il recupero di una fabbrica, i presidi permanenti di lavoratori in lotta davanti ai cancelli e agli uffici del proprio posto di lavoro sono lotte esemplari. La riappropriazione di una fabbrica, il suo spazio antistante, di un’ex-scuola, di un cinema, delle fonderie abbandonate, pur riguardando la messa in moto di una parte della classe lavoratrice può essere portata avanti secondo la nostra idea di progettualità politica solo se facente parte anche di una lotta di classe generale.

Al tratto sociale s’intersecano nuove forme di Mutualismo. Un progetto che parte e si inserisce dal sociale deve far comprendere e incorporare questa componente politica nel suo percorso. Si devono tenere strettamente legati due aspetti dell’azione conflittuale, che possono anche rientrare in contraddizione l’uno con l’altro: da una parte la messa in discussione e lo scontro con il sistema e le sue istituzioni (una lotta di lunga lena), dall’altra parte la costruzione di un’alternativa di vita nell’immediato, che è la condizione di sopravvivenza per milioni di persone, condizione fondamentale affinché alcuni percorsi di lotta possano continuare e risultare efficaci. Ecco che l'intervento sociale assume anche tratti sindacali, perché oggi a differenza dei decenni passati, all’interno della crisi, il proletariato e i soggetti sociali che tendono sempre più a proletarizzarsi si trovano a difendere i propri interessi diretti e immediati. Non è un caso che scoppino lotte per soddisfare le esigenze e i bisogni primari, che riguardano le condizioni economiche quotidiane, la mancanza di reddito e di welfare. Le continue privatizzazioni dei servizi pubblici ne sono una causa ben evidente. All’interno dei percorsi di riappropriazione, mutualismo, di autogestione non possiamo eludere le mobilitazioni, le rivendicazioni per la difesa della sanità, dell’istruzione e dei trasporti pubblici che si intersecano con i processi di precarizzazione e svalorizzazione del lavoro, di deindustrializzazione. Per questo la costruzione di campagne come quella per “Una nuova finanza pubblica e sociale” rientrano nel progetto complessivo.

Rispetto all’autogestione, l’idea di fondo è quella dell’esercizio della gestione e del controllo orizzontale del potere. Iniziamo facendo dei brevi cenni storici sull’autogestione. E’ fondamentale sottolineare l’importanza che Rosa Luxemberg abbia avuto agli inizi del ‘900 con ”Riforma sociale o rivoluzione?” in cui ribadisce, in contrasto con le illusioni riformiste, come nel dominio dello scambio nell’economia capitalistica il sistema cooperativistico non faccia che accrescere lo sfruttamento dei lavoratori a causa dei meccanismi di concorrenza. Ernest Mandel afferma come sia impossibile una democrazia economica senza rovesciare lo Stato borghese, invece l’autogestione può essere importante solo in una fase di crisi rivoluzionaria. Non a caso lo stesso Mandel facendo riferimento ad una situazione di crisi rivoluzionaria, come l’occupazione delle fabbriche nel ’17, in cui un primo inizio di gestione operaia faccia accelerare i tempi di maturazione della crisi ed agevola e comprima sempre più i tempi della lotta per la presa del potere.

Rispetto ad una riflessione sicuramente più recente di Autogestione come pratica per allargare le contraddizioni del mercato, e che si pone di frenare la dispersione dei lavoratori e la disoccupazione di massa, è quella delle “FABRICAS RECUPERADAS ARGENTINE”, le quali dalla crisi del 2001 in avanti, e poi sviluppatasi a macchia d’olio in molti paesi latino-americani (Brasile,Venezuela..) e di recente anche in Europa, non sono altro che esempi di autogestione come alternativa anticapitalistica al sistema! Significativa è la vicenda del “MOVIMENTO SEM TERRA” in Brasile. Ci sono state e ci sono tuttora delle classiche organizzazioni sindacali nei vari stati brasiliani. Ma il MST con l’occupazione delle terre e delle abitazioni e la produzione/distribuzione, il tutto attraverso un sistema di cooperative, risulta essere un passo importante per questa lotta, che viene esercitata in prima persona senza delega ai vari partiti, anche a quelli più vicini al movimento stesso. Si tratta di uno dei movimenti sociali e politici più importante ed influente oggi in America latina. Senza incorrere nell’errore di prendere queste esperienze come modelli standardizzati e da esportare, bisogna ragionare su come le pratiche di autogestione ed autorganizzazione assumano il ruolo di contrasto a burocrazie ed apparati. Possono essere usati come degli strumenti di “contropotere”. Nelle esperienze che pratichiamo il processo di autogestione (dinamico,non statico) si dà ed autoalimenta anche attraverso assemblee, l’elezione di coordinamenti, l’individuazione di responsabilità a rotazione e revocabili, tenendo conto delle proprie e personali predisposizioni e attitudini.

Nell’esercizio dell’autogestione urge entrare nel merito anche e soprattutto del chi produce, cosa produrre e come produrre. Domande legate da un filo conduttore ben preciso:
- il soddisfacimento dei bisogni delle persone, quindi la produzione e l’erogazione di servizi tenendo conto del valore d’uso e non quello di scambio fondato sulle esigenze e leggi di mercato;
- quali criteri utilizzare per la pianificazione-programmazione dei beni, dei servizi da produrre e da erogare;
- infine, tutto questo e le nostre attuali e future sperimentazioni devono rientrare in una visione di eco-sostenibilità (si veda la relazione su “crisi ambientale” a cura del collettivo di Rivolta il debito Bologna).

Tutto questo crediamo debba connettersi ed inserirsi all'interno della costruzione di un immaginario alternativo rispetto a quello che quotidianamente viene creato e curato dai poteri dominanti. Un progetto politico, rivoluzionario con queste basi deve portare con sé la capacità di riuscire a raccontare un insieme coerente di immagini, storie e narrazioni provenienti dalle esperienze maturate, dalle energie e forze accumulate, dalle poche ma importanti vittorie raggiunte. Che abbiano l’ambizione di spostare il proprio sguardo ai e nei movimenti, alle resistenze e lotte simili e affini nel mondo. Un pensiero forte, coerente e pregnante insieme a quello che stiamo con fatica costruendo può (e forse lo sta già diventando) una scuola di vita individuale e collettiva. Un processo di trasformazione che rompe nella pratica con tutti gli schemi dell’ideologia dominante: la passività dell’operaio,l’incapacità del povero,la necessità di un leader, il machismo, l’individualismo, la superiorità e la delega ai politici e agli intellettuali (che siano di regime o meno), l’obbedienza alle forze dell’ordine, l’infallibilità della legge e del diritto.