Conciliazione o conflitto? Alcune note sul femminismo della FIOM

Wed, 30/01/2019 - 19:34
di
Lidia Cirillo e Tatiana Montella

In occasione del 27° congresso della FIOM-CGIL è stato pubblicato un testo (Metalmeccaniche) costituito da 15 interviste a delegate e funzionarie del sindacato. Nelle interviste si dà spazio esclusivamente a quadri sindacali e delegate, con il risultato che viene a mancare il punto di vista delle iscritte di base e delle lavoratrici non iscritte al sindacato. L’introduzione spiega che il testo nasce da un incontro con il movimento delle donne.

Una prima precisazione necessaria è che nessun incontro c’è stato con qualcosa che possa chiamarsi movimento nel senso proprio del termine. Esiste oggi in Italia un solo grande movimento Non Una Di Meno (NUDM), con cui non c’è stato alcun incontro finalizzato alla stesura di questo documento.
NUDM lotta e manifesta ininterrottamente da quasi tre anni e il 24 novembre 2018 ha portato in piazza tra le centomila e le duecentomila persone (secondo le diverse fonti d’informazione), in grande maggioranza giovani donne.

Questo movimento è l’articolazione nazionale, sia pure con alcune differenze di pratiche e contenuti, di un movimento assai più ampio, che va dal Kerala all’Argentina, dalla Spagna all’Islanda. Il tema più visibile è quello delle violenze e delle molestie ma molti altri hanno avuto spazio, per esempio l’aborto, il gap salariale, il lavoro, il reddito di esistenza, la salute, il razzismo e lo sfruttamento delle donne migranti…

NUDM, come tutto il movimento transnazionale, ha indetto uno sciopero per l’8 marzo e ha chiesto alla FIOM di partecipare. Il sindacato ha negato la partecipazione con un argomento legittimo, ma a nostro avviso miope. L’argomento è che la categoria non si mobiliterebbe a sufficienza e questo sarebbe per il sindacato una sconfitta. Chiediamo al sindacato, e in modo particolare alle lavoratrici, un supplemento di riflessione, e non solo perché oggi, di fronte al decreto Pillon e all’attacco diretto ai diritti e alle libertà delle donne e delle persone queer, è più che mai urgente una risposta conflittuale che mobiliti insieme produzione e riproduzione. Nei paesi in cui i sindacati maggiori hanno scelto di dare agli scioperi dell’8 marzo il loro appoggio, le donne hanno risposto massicciamente.

Nel testo Metalmeccaniche ci sono numerosi riferimenti alle difficoltà del momento e spesso la soluzione sembra l’esigenza di mediare, di essere realiste, di abbassare il livello delle pretese ecc. Senza negare l’esigenza di mediazioni, noi pensiamo tuttavia che esista un’alternativa: cercare di cambiare i rapporti di forza. È ciò che la nuova ondata femminista transnazionale sta facendo, soprattutto attraverso lo strumento dello sciopero femminista: scioperare insieme può costituire un’occasione per il sindacato stesso, oltre che per il movimento femminista.

Noi non crediamo di essere le sole femministe esistenti in Italia, pensiamo, però, di essere le sole femministe in movimento. Bizzarramente un sindacato che dovrebbe essere attento ai movimenti e alle lotte mostra, invece, una forte presenza di un femminismo poco idoneo all’una e all’altra cosa. La decisione della direzione della FIOM di avere la Libreria delle donne di Milano e l’associazione di donne manager Donne senza guscio come principali, se non le sole, interlocutrici femministe ha conseguenze politiche rilevanti, in particolare su due versanti: interclassismo e binarismo di genere.

L’orientamento differenzialista della Libreria delle donne, con la conseguente riproposizione di una concezione binaria dei generi – maschile e femminile – è in netta controtendenza rispetto al femminismo della nuova ondata transnazionale, che – al contrario – contesta il binarismo, promuove la visibilità e il protagonismo di una molteplicità di identità di genere, vede la partecipazione da protagoniste delle donne trans e delle lavoratrici del sesso e rigetta ogni definizione cristallizzata e astratta di cosa voglia dire essere “donna”. Purtroppo, niente di tutto questo emerge in Metalmeccaniche, che al contrario, ripropone – a volte implicitamente, altre in modo più aperto – l’idea di una differenza essenziale tra i generi e dunque che le donne (cis, si presume) costituiscano un soggetto sociale omogeneo e dotato di caratteristiche ben definibili.

Quest’approccio è connesso anche all’altro limite fondamentale del documento, un limite ancora più sorprendente se si considera che si tratta del documento di una grande organizzazione sindacale: l’interclassismo.

Sia nelle interviste alle funzionarie e delegate che negli articoli finali del testo viene articolata l’idea che esista una sorta di fondamentale comunanza di interessi e di prospettive tra donne manager e lavoratrici. Dal momento che – si sostiene – le donne manager del settore metalmeccanico sono vittime dello stesso sessismo di cui sono vittime le lavoratrici e, inoltre, hanno una medesima esperienza corporea e un simile sguardo sul mondo, avere un maggior numero di donne manager è o dovrebbe essere un obiettivo comune sia alle donne in carriera sia alle lavoratrici. In altri termini, attraverso una maggiore presenza di donne manager, le operaie avrebbero la possibilità di avere una controparte “amica” e naturalmente più sensibile alle esigenze delle lavoratrici.

Questa prospettiva porta Luisa Pogliana dell’associazione Donne senza guscio a scrivere che “si può entrare nei luoghi del ‘potere’ e usarli diversamente”, “prendere il governo delle aziende, per farlo a modo nostro”. Che non ci si faccia illusioni: quello di cui parla Luisa Pogliana non è certo una presa del potere dal basso, da parte della lavoratrici, ma del vecchio e ormai screditato obiettivo dello sfondamento del tetto di cristallo, che– per magia – dovrebbe beneficiare non solo chi riesce a sfondarlo, ma anche chi rimane al piano terra a raccogliere i pezzi di vetro.

Qui, ancora una volta, Metalmeccaniche mostra di essere non solo distante, ma addirittura in contraddizione con il movimento femminista transnazionale, il quale denuncia da due anni l’ipocrisia del femminismo liberale e dell’ideologia del farsi avanti e dello sfondamento del tetto di cristallo, ha ereditato le lezioni fondamentali del femminismo nero e intersezionale sul ruolo che classe, razza, sessualità e cittadinanza giocano nel determinare esperienze, bisogni e interessi radicalmente differenti tra le donne, e ha messo l’accento sui limiti fondamentali posti dal neoliberismo rispetto a qualsiasi possibilità di liberazione delle donne, cis e trans.

La distanza siderale tra queste prospettive e l’orientamento di fondo di Metalmeccaniche emerge con chiarezza da quest’osservazione di Lola Santos Fernandez, che scrive in coda al documento che la divisione tra le donne è una strategia del patriarcato: “Appena hanno occasione ti parlano male delle donne di potere o di quelle che lo ambiscono, di destra, delle belline che fanno carriera grazie al loro corpo, di quelle che della parità fanno un mestiere, di quelle ricche, di quelle imprudenti ecc., di tutte quelle che intuiscono che tu non sei, che sei stata ma non più o non sempre, che avresti volute essere, che hai smesso di essere dopo un processo di presa di coscienza e tanta sofferenza. E tu ci caschi ancora”.Insomma, le operaie della FIOM farebbero bene a rigettare queste strategie patriarcali e andare a braccetto con le donne in carriera dei consigli di amministrazione delle loro aziende, perché l’unità fa la forza. La forza di chi e per fare cosa, però? Questo non è molto chiaro, soprattutto quando di mezzo ci sono interessi e bisogni oggettivamente incompatibili tra loro, come quelli di chi vive dello sfruttamento altrui e di chi non può che farsi sfruttare per poter vivere.

Infine, quando affronta questioni concrete, come i cambiamenti che sarebbero necessari per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle metalmeccaniche, il documento ha ben poco di femminista – e di operaio – da offrire. Si ritiene infatti che i problemi di doppio lavoro delle donne vadano risolti con il part-time e con un “doppio sì” solo femminile. Certo un part-time volontario e reversibile può essere nell’immediato una soluzione utile per molte donne. Non può essere tuttavia la prospettiva, se è vero che da sempre il femminismo lotta perché il lavoro di riproduzione sia condiviso. Questo significa che la prospettiva non può essere che: più tempo di vita, più salario, reddito e un autentico welfare per donne e per uomini. Il che si traduce in minore sfruttamento e in una maggiore distribuzione verso il basso della ricchezza prodotta: obiettivi che fanno a pugni con l’idea che l’unione di operaie e manager faccia la forza e che, invece, richiederebbero un’alleanza e una lotta comune tra le operaie della FIOM e il movimento femminista. In una parola: il conflitto.

Foto di Laura Sergiampietri