Omnia Sunt Communia
Omnia Sunt Communia!
Questa è Communia Roma che si racconta in rete e sui social. Autorganizzazione e nuovo mutualismo dal 2013 ad oggi, la solidarietà non si sgombera
Il cancello rosso di via dello Scalo San Lorenzo 33 è a pochi passi da Porta Maggiore, un crocevia di macchine e asfalto nel ventre di Roma.
Dentro ad attendervi, oltre al faccione di Thomas Muntzer sbombolettato su una saracinesca, c'è lo spazio di Mutuo Soccorso Communia.
Siamo a ridosso della stazione Termini e della più grande università d'Europa, La Sapienza, nel quartiere degli studenti e della gentrification.
Siamo a San Lorenzo, nel punto esatto dove l'ammasso di capannoni e lamiere delle ex officine Piaggio è stato trasformato in un centro polifunzionale per la collettività.
“Omnia Sunt Communia!” fu il grido di liberazione che il 7 settembre 2013 rimbombò negli androni della neonata occupazione, “Tutto è di tutti” come nella Germania del 1500, quando i contadini insorsero contro i soprusi dei principi.
Stavolta ad insorgere fu un gruppo di studenti e precari, desiderosi di riprendersi ciò che gli era stato rubato.
“Ci ritroviamo con un calo drastico di iscritti all’università (-50.000 nel 2012); con una disoccupazione giovanile vicina al 40%; con i pochi occupati costretti alla precarietà; con un numero crescente di licenziamenti e cassa integrazione; con i servizi sociali sempre più ridotti o privatizzati; e con l’assenza di un diritto fondamentale come quello alla casa. Tutto questo senza poter condividere un luogo sociale con chi subisce la nostra stessa condizione: molti lavori oggi non hanno un luogo di lavoro fisso o, ancora più spesso, durano troppo poco per permettere di capire quali sono i compagni di lavoro con cui organizzarsi per rivendicare diritti. Vogliono che ognuno di noi rimanga solo. Ma nessuno può farcela da solo”.
Mutuo soccorso, parola in voga nei movimenti dei lavoratori di fine Ottocento, pratica delle prime lotte contro sfruttamento, soprusi padronali, ricatti, salari sotto la soglia di sussistenza. Primissimo esperimento sindacale di soggetti precari che adottano ognuno la lotta dell’altro, sostengono materialmente la stessa possibilità di lottare, e iniziano a strappare i primi diritti dando inizio al grande Movimento operaio del Novecento.
Per molti aspetti in effetti il ventunesimo secolo somiglia più al XIX che al XX secolo. Un ventennio di politiche di precarizzazione del lavoro e privatizzazioni, e un quinquennio di politiche di austerity come risposta alla crisi, hanno distrutto molto dei diritti conquistati riportando indietro le lancette dell’orologio. E le sconfitte politiche della sinistra pongono la necessità di ricostruire un pensiero della trasformazione sociale, ridando dignità all'idea della politica come pratica collettiva di emancipazione.
Un viaggio che non promettiamo breve
Communia nasce il 7 aprile 2013 in via dei Peligni, alle porte di San Lorenzo.
Dopo aver recuperato la vecchia rimessa, il collettivo occupa le ex fonderie Bastianelli in via dei Sabelli.
Lo sgombero arriva il 16 agosto con le camionette quasi accatastate una sopra l'altra e un esercito di polizia pronto ad assediare l'intero quartiere alle prime luci dell'alba.
Il 7 settembre la risposta: una manifestazione imponente entra nelle ex officine Piaggio, centinaia di persone in corteo, San Lorenzo tagliata in due.
Lo scopo è creare uno spazio in cui poter realizzare progetti di mutuo soccorso tra studenti, precari di ogni genere, lavoratori, abitanti del quartiere, uomini e donne, ripartendo da bisogni basilari in un contesto sociale martoriato dalla crisi economica. Analizzando le trasformazioni in atto della società, la frammentazione delle diverse soggettività sociali, l'obiettivo è ricostruire una rete di rapporti di solidarietà e confronto con cui gettare le basi per una ricomposizione di classe.
25.000 euro spesi, 2500 ore di lavoro per riqualificare un non luogo della speculazione.
Le fogne erano al collasso, le sale strabordavano di liquami e rifiuti, un odore nauseante ristagnava nei locali delle ex officine Piaggio.
Le pareti imputridivano per le infiltrazioni d’acqua, le travi del soffitto sfondate, penzolavano in un mare di macerie e calcinacci.
Mancavano tutte le finestre, in alcune stanze anche gli infissi e le porte.
Olio di gomito e tanta voglia di cambiare il mondo, indossando tute bianche scalcagnate, pala e piccozza tra le mani, le prime ore di occupazione furono sconvolgenti. “Abbiamo eliminato e smaltito in maniera ecologicamente ed igienicamente corretta qualsiasi ingombro per poi procedere, tramite ditte specializzate, alla disinfestazione dei locali, eliminando i rischi infettivi dovuti alla sporcizia”.
Mattoni, calce, stucchi, vernici, silicone, chiodi, viti, assi e travi di legno, tubi, cavi, solventi e isolanti.
Adesso esiste un nuovo impianto idraulico, tre bagni con sanitari scintillanti, pronti per l’uso, lavandini con acqua corrente e uno spogliatoio con quattro docce. “Abbiamo eliminato le infiltrazioni, rasato, stuccato, imbiancato e decorato le pareti, messo in sicurezza i punti pericolanti, isolato termicamente le sale, montato porte e infissi”.
In soli quattro anni, sono state organizzate 250 assemblee pubbliche, ospitati 150 eventi culturali, tra cui decine di concerti e di spettacoli teatrali, proiezioni di film, presentazioni e reading di libri.
Aperitivi in lingua, laboratori di videomaking e teatro, corsi di ripetizione, formazioni e dibattiti.
Quattro edizioni del Festival di letteratura sociale “Letteraria”, con ospiti d'eccezione, da Zerocalcare a Goffredo Fofi, da Daniele Vicari a Erri de Luca, passando per il collettivo di scrittori Wu Ming e l’europarlamentare di Podemos Miguel Urbàn.
Lo spazio di Mutuo Soccorso capitolino è promotore del network CommuniaNet.org, una rete nazionale per lo sviluppo di idee e pratiche politiche “rivoluzionarie”, collaborando con altre esperienze come la fabbrica occupata RiMaflow e lo spazio sociale RiMake di Milano, Terranostra di Casoria o il Bread and Roses di Bari.
Inoltre Communia è parte attiva della Libera Repubblica di San Lorenzo, il comitato di quartiere che da anni si batte contro il cemento dei palazzinari e il profitto degli affaristi in giacca e cravatta; costruisce DecideRoma, un coordinamento di realtà sociali e associazioni che dal “basso” intende sovvertire il concetto di diritto alla città, rilanciando sui principi dell’autogoverno e del potere popolare. Senza contare infine la partecipazione alle manifestazioni, ai cortei e alle assemblee di “Non una di Meno”, movimento femminista contro la violenza maschile e patriarcale sulle donne, che lo scorso 26 novembre ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone.
Costruire Comunità, Fuorimercato
La prospettiva politica che il collettivo romano di Communia si è dato negli ultimi mesi, è quella di contribuire al rafforzamento e alla strutturazione della rete nazionale Fuorimercato.
Nata tre anni fa dall’incontro tra la fabbrica recuperata RiMaflow di Trezzano s/N (Milano) e SOS Rosarno per la distribuzione diretta dei prodotti agricoli, Fuorimercato ha man mano dato vita a un collegamento tra diverse realtà urbane e rurali in nome dello scambio e del mutuo soccorso.
Tra le realtà aderenti che ne condividono il progetto politico anticapitalista e che hanno in corso una comune attività economica ci sono: La Sobilla e Gasp di Verona, La Boje di Mantova, Mondeggi Bene Comune di Firenze, Netzanet-Solidaria di Bari, Diritti a Sud di Nardò (Lecce), Funky Tomato di Venosa (Potenza), Terranostra di Casoria (Napoli), Riff Raff e Gas Cipollotti di Salerno, Cooperativa Mani e terra e SOS Rosarno (Reggio C.), Terre di Palike di Paternò (Catania), ContadinAzioni di Palermo-Trapani.
Per fornire strumenti sindacali adeguati alla complessa fase che il mondo del lavoro e del precariato sta vivendo da anni, partendo dalla rete nazionale descritta, le varie realtà hanno costituito l’associazione sindacale “Fuorimercato, autogestione in movimento”.
Ambizione primaria è quella di coinvolgere nell’associazione tutte quelle tipologie di lavoratori e lavoratrici del circuito economico formale e informale, precari e disoccupati, senza distinzioni di categorie, genere, provenienza e contratto di lavoro. Il progetto si ispira alle società operaie di mutuo soccorso, combinando conflitto e solidarietà sociale; promuove vertenze per la tutela delle condizioni di vita e di lavoro di tutti i settori sfruttati e oppressi della società, nelle metropoli come nel mondo rurale; promuove e organizza forme societarie di produzione (comunitaria, cooperativistica o aziendale) basate sui principi dell'autogestione, come forma di resistenza alla privazione dei diritti, ai tagli al welfare, alle privatizzazioni e soprattutto per tutelare reddito e dignità; promuove e organizza forme di riappropriazione sociale dei mezzi di produzione, delle terre e degli spazi abbandonati che siano pubblici o privati .
La sartoria Karalò - Cucire legami solidali contro razzismo e business dell’accoglienza
Gli aghi della cucitrice trotterellano sulla stoffa.
Ibrahima è ricurvo sulla seggiola e accompagna lo strascico del tessuto tra le fauci della macchina. Attorno a lui, la sartoria è un turbinio di colori, con i vestiti appesi, le borse, le gonne e i portatabacco esposti su un tavolino.
Siamo sempre a via dello Scalo San Lorenzo 33 e da due anni il laboratorio di sartoria migrante Karalò, oltre a sfornare coccarde e portafogli, è il punto di riferimento di un'intera comunità.
Richiedenti asilo provenienti dal Mali e dal Senegal, alcuni operatori sociali e Communia Roma: un mix perfetto di buona volontà e tanta fatica con cui ristrutturare uno dei locali diroccati delle ex officine Piaggio e trasformare un rudere di mattoni e immondizia in un'esperienza FuoriMercato.
Il rifacimento del tetto, l'impianto elettrico montato e collaudato, le pareti scartavetrate e imbiancate, era il 17 dicembre 2015 quando la sartoria veniva inaugurata per “costruire insieme un esperimento di lavoro senza sfruttamento e alla pari”.
Ipotizzare un progetto di vita autonomo, senza la presenza criminale dei professionisti dell'accoglienza e dell'integrazione di Mafia Capitale.
Creare un luogo di produzione completamente autogestito che “stimoli processi di autorganizzazione” per mettere in discussione il sistema economico e immaginare nuove pratiche di lotta.
Karalò è tutto questo, ma anche altro. È un centro di aggregazione e socialità per i molti richiedenti asilo della città, un punto di ritrovo dove imparare un mestiere, condividere capacità.
Lamin infatti si è scoperto cuoco e con quintali di burro d'arachidi e cipolle, verdura e carne speziata, mette su cene di autofinanziamento per il progetto, Mamadou è un mediatore culturale, ma quando serve, indossa i vestiti della sartoria per le sfilate che la Roma solidale organizza.
Karalò è soprattutto uno spazio dove tutti collaborano, valorizzando ognuno le proprie competenze. Un esempio? La scuola d'italiano, dove studenti e studentesse che frequentano l'aula studio Sharewood insegnano la lingua nostrana ai ragazzi e alle ragazze migranti, “in un'ottica di partecipazione mutualistica alla progettualità politica dello spazio”.
Fuori Karalò, viale di Communia
La progettualità di Karalò oggi si è rafforzata anche grazie allo scambio di idee con esperienze simili presenti nel territorio romano: Lys sartoria artigianale di Lucha y Siesta, dove lavorano molte donne migranti, e la serigrafia migrante Ja di Genzano, con entrambe c’è affiatamento e collaborazione; la cooperativa Barikama con i suoi ottimi yogurt autoprodotti, spesso vicini di banchetto nei mercati ed ospiti in diverse iniziative di autofinanziamento; Makì, il gruppo di cucina autogestito dai richiedenti asilo e dai rifugiati dell’associazione Laboratorio 53; RefugeeScart, idea creativa di riciclo e di riuso che coinvolge diversi rifugiati. Tutti progetti di autorganizzazione che puntano all’autonomia dal sistema di accoglienza ormai al collasso, sempre più concepito come dispositivo di controllo sociale e fonte di profitto per le cooperative. Mafia Capitale ne è l'esempio.
Foto prima e dopo della sartoria Karalò
L’accoglienza a Roma nell’era Raggi: 5 secoli di condanne nel processo per Mafia Capitale, ma si è veramente superata la malagestione?
Il karaoke della corruzione. Lo scorso 26 aprile, durante la requisitoria del maxi processo, il PM Paolo Ielo ha definito così quel sistema di corruttela diffusa, tra cooperative sociali, criminalità e politica, ormai noto come Mafia Capitale.
46 imputati per oltre 5 secoli di carcere: questi i numeri che i giudici troveranno nei fascicoli dell’accusa.
Lasciamo a magistrati e giornalisti la querelle di nomi, di reati e di condanne dei protagonisti del “mondo di mezzo” e concentriamoci sulle macerie lasciate nelle casse capitoline dalle varie giunte di destra e di sinistra, provando ad evidenziare il sostanziale profilo di continuità che sta mantenendo l’amministrazione grillina nonostante le promesse elettorali.
In una recente analisi fatta dal Gruppo Servizi della coalizione cittadina Decide Roma sul bilancio di previsione approvato a fine gennaio 2017, si evidenzia come la spesa pubblica inizia a scendere durante la giunta Alemanno proseguendo senza discontinuità fino ad oggi. Gli investimenti sono così passati da 1,9 milioni di euro nel 2011 a poco più di 500 mila nel 2017. La spesa corrente inizia quasi sistematicamente a calare durante la giunta Marino e dal 2013 al 2017 è stata ridotta del 18%. Parte consistente di questo capitolo di bilancio riguarda i servizi sociali e alla persona, che attualmente versano in uno stato a dir poco preoccupante. Asili nido pubblici sempre più carenti a vantaggio dei privati, servizi di assistenza domiciliare insufficienti, case popolari con liste d’attesa infinite ed accoglienza dei migranti concepita come concentramento di persone in enormi centri situati in periferia. L’altra faccia del taglio alla spesa è sicuramente l’aumento del ricorso alle esternalizzazioni, dove anche nel nuovo bilancio 2017, la quota di acquisti di servizi da parte del Comune di Roma sul totale della spesa corrente supera il 60%.
Stesso sistema, quello di dare in appalto i servizi pubblici in maniera massiccia, che ha permesso per anni a Buzzi e Carminati di arricchirsi sulle spalle di utenti e lavoratori. Da questi numeri, risulta chiaro come la giunta Raggi stia perseguendo la stessa logica neoliberale di rigore e di taglio alla spesa sociale intrapresa dai precedenti governi della città.
Tornando a bomba sul vero “core business” di Mafia Capitale, quello dell’accoglienza dei migranti, notiamo come anche qui l’attuale amministrazione abbia deciso di mantenere lo stesso tipo di approccio dei suoi predecessori, cioè aprire grandi centri nelle periferie in mano a poche ma potenti cooperative, tendenzialmente sempre le stesse.
Per confermare questa tesi è interessante leggere i dati dell’infografica in calce dove vengono rielaborate graficamente le informazioni di openmigration.org sulle assegnazioni del bando Sprar 2014 - 2016 e le rispettive cooperative vincitrici, in relazione agli enti finalisti dell’ultimo bando Sprar 2017 (ricordiamo che la prima seduta della Giunta Raggi è del 7 luglio 2017).
Nell’articolo di Valerio Renzi uscito il 13 aprile scorso per romafanpage si legge che “il 12 aprile 2017 sono state aperte le buste contenenti la documentazione degli enti del terzo settore che si sono presentati al bando Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati): uno stanziamento fondi di 84 milioni di euro (84.028.868 per la precisione) per il triennio 2017-2019 per un totale di poco più di 2.700 posti - continua Renzi - In tutto 13 gli enti ammessi alla fase successiva della gara, quella che porterà alla definitiva assegnazione. Propongono progetti per ospitare poco meno di 2.300 richiedenti asilo. Ne rimarrebbero così fuori ben 445. Si può così ragionevolmente dedurre che i progetti presentati, a meno che non saranno riscontrate gravi irregolarità, saranno ammessi. A presentarsi CRS; Magliana 80; Idea Prisma; Centro Astalli; Pid; Tre Fontane; Fraterna Tau; Centro italiano solidarietà; Coop. San Filippo Neri; Eriches29 (ABC); Virtus Italia Onlus; Eta Beta e RTI Arci Roma – Arci Solidarietà Onlus”.
“Quello che salta immediatamente all'occhio, scorrendo i numeri degli ospiti dei vari progetti, è che il modello vincente non è certo quello dell'accoglienza diffusa (pilastro dei bandi Sprar). A fare la parte del leone sono infatti centri da 50 e i 100 posti, per lo più collocati in zone periferiche della città o nei paesi dell'hinterland romano. Tutto il contrario del modello d'integrazione e accoglienza che si potrebbe realizzare tramite gli Sprar, ospitalità in appartamenti con piccoli nuclei di migranti che possano essere immediatamente inseriti nel tessuto urbano e sociale. Il rischio è che centri di grandi dimensioni, non solo producano un modello d'accoglienza inefficace, permettendo però agli enti gestori di risparmiare, ma inneschino tensioni sociali cavalcate dall'estrema destra con alte probabilità di inficiare anche progetti di accoglienza potenzialmente virtuosi.”
Ma è nelle conclusioni dell’articolo che il giornalista di romafanpage coglie il nesso tra le vecchie amministrazioni colluse con il “mondo di mezzo” e l’approccio politico della sindaca Raggi sull’accoglienza; “Quello che emerge in generale è la continuità con le passate esperienze di accoglienza, dal piano ‘emergenza Nord Africa' varato nel 2011 fino ad oggi. E non è un caso che i nomi che tornano sono spesso quelli già coinvolti nei vari filoni d'indagine di Mafia Capitale: il gruppo Cascina, Eta beta, Eriches. A prevalere spesso (ma non sempre vale la pena sottolineare per non fare di tutta l'erba un fascio) è la logica del profitto e dei grandi numeri, non della qualità del servizio.”
Se per Buzzi, Carminati, Odevaine e Gramazio quello della corruzione era un Karaoke, per la sindaca Raggi quello del mancato cambio di passo sulla gestione dell’accoglienza dei rifugiati rischia di diventare un harakiri, un muro dove si infrangono le speranze di cambiamento. Questa scelta politica non sembra attribuibile all’inesperienza della sindaca, quanto piuttosto ad una strategia nazionale del movimento 5 Stelle che ha deciso di giocarsi la campagna per le prossime elezioni politiche sulla pelle dei migranti e dei poveri. La violenza con cui il leader in pectore Luigi Di Maio in questi giorni si sta scagliando contro le Ong, dimostra la precisa intenzione di sottrarre terreno alla Lega di Salvini su razzismo e sicurezza. Per non parlare della luna di miele tra PD ed i pentastellati sui decreti Minniti-Orlando che comprimono all’osso i diritti dei migranti criminalizzando povertà e “comportamenti anti sociali”. La sindaca sembra allinearsi ai colonnelli del partito e prepara il nuovo regolamento della polizia urbana dichiarando guerra ai “rovistatori” e venditori ambulanti come dimostra il tragico evento del 3 maggio dove Nian Maquette ha perso la vita dopo una retata violenta dei vigili urbani.
Vorremmo chiudere questo articolo con una citazione del ”rapporto sul sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati a Roma” redatto da Lunaria nei primi mesi del 2017” sulla visione “emergenziale” dei flussi migratori, considerati a tutti i livelli amministrativi e politici fenomeno straordinario e non strutturale:
“La straordinarietà richiede procedure di emergenza, queste a loro volta favoriscono l’ingresso nella rete degli enti gestori di attori privi di esperienza, interessati più ai profitti che possono derivare dalla gestione dei servizi che alla loro qualità e ai diritti delle persone cui sono destinati. Lo spazio per la cattiva gestione e il cattivo trattamento delle persone si riproduce così all’infinito.”
La foresta di Sharewood
Stavolta il silenzio. Non un rumore, non un fiato, gli occhi fissi a pagina 77 mentre la matita scivola sul foglio bianco.
Una parola ogni tanto, una cicca di sigaretta nel posacenere e l'elenco dei turni appeso al muro.
Qualcuno ripete a bassa voce mordicchiandosi le labbra, c'è chi beve il caffè appena fatto e chi tamburella formule matematiche sulla tastiera del computer.
Una muraglia di libri, una cinquantina di persone appollaiate sulla sedia ed è domenica mattina.
Stavolta si studia, oltrepassato il solito cancello rosso di via dello Scalo San Lorenzo 33.
“Capita di ritrovarsi nella più grande università d'Europa e trovare una biblioteca aperta tutto il giorno sembra un'impresa dell'altro mondo. Ecco perché abbiamo voluto dar vita a Sharewood” era il volantino con cui il coordinamento dei collettivi della Sapienza annunciava la nascita dell'aula studio autogestita in uno dei capannoni delle ex officine Piaggio.
“Purtroppo, l’esperienza di Communia a via dei Sabelli è stata brutalmente interrotta dallo sgombero effettuato il 16 Agosto scorso, in totale continuità con gli interessi del proprietario dello stabile che intende ricostruire l’intero lotto, realizzando un condominio di mini-loft di lusso da affittare a caro prezzo. Dimostrando chiaramente che anche le esperienze socialmente valide, con una straordinaria validità pubblica, non hanno diritto di esistere di fronte alla rendita e alla speculazione del privato. Da allora non ci siamo arresi/e e siamo ripartiti da zero: il 7 settembre abbiamo sottratto al degrado e all’abbandono le vecchie officine in via Scalo San Lorenzo 33 e, un passo alla volta, le abbiamo rese di nuovo attraversabili e accoglienti”.
Un’aula studio autogestita, fornita di una biblioteca con 5400 tomi liberamente consultabili, manuali di anatomia e medicina, di giurisprudenza e ingegneria, con libri di letteratura italiana, francese, inglese e spagnola e i classici in bella vista.
Una sala con 3 stampanti funzionanti, 2 computer fissi e uno portatile, 2000 gb di file condivisi.
Gli studenti possono studiare, impartire ripetizioni, scambiare libri, condividere dispense e documenti in un quartiere attraversato da migliaia di studenti.
Sharewood è un luogo dove si collabora, invece che competere. Dove gli studenti non sono i semplici utenti di un servizio, ma una collettività che ragiona del proprio presente, del proprio futuro, di come costruire un modello diverso di formazione, che alluda ad una trasformazione più generale.
Il progetto Sharewood nasce nel 2013, sulla scia della stagione dei movimenti studenteschi contro la privatizzazione di scuole ed università. Configurandosi come aula studio autogestita aperta fino a tardi e nei weekend, come biblioteca autogestita, come luogo di condivisione di file e materiali per gli esami universitari, Sharewood rappresenta la risposta concreta di studenti e studentesse al cronico definanziamento della formazione e della spesa per il diritto allo studio, tagliati in nome della crisi e del ricatto del debito.
Mentre all'università le biblioteche vedono decurtato il proprio orario e il welfare studentesco riesce a garantire a un sempre minor numero di giovani il sostegno economico necessario ad affrontare le sin troppo gravose spese per tasse e libri per gli esami, a Sharewood gli studenti dei quartieri limitrofi l'università possno trovare un presidio a difesa dei diritti, un servizio garantito fuori da logiche di mercato e uno spazio di condivisione e socialità.
Infatti, all'entrata dell'aula studio uno striscione recita, “Scuola e università fuori dal mercato. La vostra meritocrazia è Austerity e precariato”
A quattro anni dalla nascita di Sharewood, lo stato dell'università italiana non è mutato. Nonostante i proclami altisonanti di uscita dalla crisi, la realtà materiale continua ad offrire un quadro disastroso. I parametri sempre più duri di assegnazione dei fondi stringono il cappio intorno al collo di atenei prossimi al collasso, fedeli ad un'impostazione aziendalistica e incapaci di garantire i servizi più basilari.
Valutazione, merito e competizione sono i tre paletti dell'università riformata che aderisce perfettamente alle logiche produttive del mercato del lavoro. Concetti come “meritocrazia” e “competizione” hanno mascherato lo smantellamento delle università pubbliche.
Contemporaneamente il sapere organizzato in crediti, settorializzato, supportato da stage e tirocini, promuove un'educazione alla precarietà. Ad esempio il fenomeno del "lavoro non pagato" si impone con prepotenza tramite gli stage ed i tirocini, veri e propri periodi di lavoro, spesso scarsamente qualificato, presentati come momenti di formazione.
Alla Sapienza, le risposte studentesche continuano ad essere le più efficaci: davanti al tentativo di ridurre ulteriormente gli orari della biblioteca di fisica, la mobilitazione dal basso è riuscita a condurre all'individuazione di soluzioni alternative e allo sblocco dei fondi necessari alla riapertura; animata da collettivi e studenti di diverse facoltà, la campagna Facciamoci Spazio ha posto al centro del discorso delle amministrazioni il tema degli spazi per lo studio, rivendicando sale lettura h12 e aule per la condivisione e il confronto collettivo e attivando commissioni partecipate che stanno iniziando a individuare risposte concrete ai bisogni di chi attraversa l'università quotidianamente. E nella perdurante carenza delle strutture dell'ateneo (la gran parte delle biblioteche non raggiunge né tantomeno supera le 50 ore di apertura settimanale), Sharewood continua ad essere un punto di riferimento, capace di garantire, con le sue 65 ore settimanali di apertura, un servizio ben più avanzato degli standard della città universitaria e delle sue sedi distaccate.