Una grande piazza, ma ancora senza conflitto sociale

Mon, 27/10/2014 - 11:56
di
Thomas Müntzer

Il 23 Marzo del 2002 la CGIL di Cofferati portava in piazza 3 milioni di persone in difesa dell’Art. 18 e contro la riforma del lavoro di allora, la famigerata Legge 30 che avrebbe introdotto i co.co.pro, le agenzie interinali ed esteso la precarietà a moltissimi lavoratori e lavoratrici. Dodici anni dopo la CGIL della Camusso e la FIOM di Landini hanno portato in piazza 1 milione di persone in difesa dell’Art. 18 e contro l’attuale riforma del lavoro di Renzi e Poletti. In questi anni l’Art. 18 è stato modificato e depotenziato dalla legge Fornero (accettata dalla CGIL), la precarietà è diventata la “normalità” per i nuovi assunti (ed anche per i vecchi) e la disoccupazione è arrivata quasi al 13% e quella giovanile al 44%.

Prima di procedere a qualsiasi tipo di analisi su quanto avvenuto sabato è necessario ricordare questa amara evoluzione, in cui la CGIL ha svolto un ruolo subordinato e accondiscendente nei confronti delle politiche del lavoro prodotte dai vari Governi negli ultimi vent'anni, cercando sempre una sterile concertazione, sia a livello generale che nei singoli luoghi di lavoro. Il Jobs Act è anche il frutto di questa politica miope e controproducente.

Detto questo, il colpo d’occhio di Piazza San Giovanni è stato impressionante, forse non saranno stati un milione come dichiarato ma era tanto che non si vedeva una manifestazione così partecipata. L’impressione è che la composizione della manifestazione fosse mista, da una parte è stata certamente una sorta di "CGIL Pride", in cui il sindacato ha voluto dimostrare tutta la sua forza organizzativa e simbolica al governo Renzi, rinchiuso alla Leopolda a discutere con finanzieri ed imprenditori; dall’altra molte persone hanno partecipato semplicemente perchè avevano finalmente un luogo dove poter esprimere il proprio dissenso e la propria sfiducia nei confronti del governo e delle sue politiche. Le speculazioni politiche della “sinistra“ PD hanno avuto un peso quasi inesistente, nessuno è sceso in piazza per Civati e Cuperlo.

Di fronte a questa potenzialità però Susanna Camusso ha scelto ancora una volta di tendere una mano al governo in carica. L’aveva già fatto con Berlusconi all’indomani della radicale manifestazione del 14 dicembre 2010 terminata con un vero e proprio assedio al parlamento in cui il segretario da poco eletto dichiarò che “non c’erano le condizioni per procedere con lo sciopero generale”, e anche con la Fornero e la sua riforma lacrime e sangue aveva scelto la linea dell’accordo. Oggi, in una piazza gremita che aspettava solo l’annuncio dello sciopero, ha scelto di nominarlo vagamente, come possibile opzione, mantenendo di facciata un atteggiamento aggressivo verso il governo ma non producendo nessuna proposta concreta su come sviluppare un possibile conflitto. Renzi ha avuto quindi gioco facile nel non attaccare direttamente la piazza ma rimarcare la differenza tra “nuovo” e “vecchio”, tra “macchina digitale” e “rullino” nel suo discorso conclusivo delle Leopolda.

Ma il nodo centrale va al di là della convocazione o meno dello sciopero generale (altre volte è stato proclamato ma non ha prodotto risultati). Il punto è se il sindacato maggioritario vuole passare o meno all’offensiva, se vuole opporsi alle politiche padronali non solo nel palcoscenico della sua piazza ma anche in ogni singolo luogo di lavoro dove sono presenti precarietà e sfruttamento, se vuole mettersi in connessione o meno con le vertenze in corso sulla stabilizzazione dei precari e contro i licenziamenti previsti nelle fabbriche in crisi, se vuole realmente intrecciarsi anche con percorsi che provano a smuovere e riunificare il frastagliato mondo del lavoro come quello vero lo sciopero sociale del 14 Novembre.

Ci sembra purtroppo che tutto questo non stia avvenendo. La CGIL ha dato una dimostrazione di forza simbolica e, nonostante una piazza gremita e partecipata sia sicuramente una buona notizia, non si può dire che la Camusso abbia invertito la rotta. Non ci si può porre come principale oppositrice alle politiche del lavoro renziane e continuare a firmare accordi capestro in molti posti di lavoro a partire, ad esempio, dal protocollo firmato per Expo 2015, emblema di lavoro gratuito, sottopagato e precarietà.

Ma al di là di quello che vorranno fare CGIL e FIOM, bisogna continuare a costruire, passo dopo passo, una risposta alternativa al modello di lavoro che il governo vuole imporre, a partire dallo sciopero sociale del 14 Novembre, consapevoli che un tale processo passa anche e soprattutto da un lavoro di ricostruzione di un orizzonte alternativo e di lotta in ogni singolo luogo sociale e di lavoro.