Odio, disperazione, morte

Thu, 20/12/2018 - 13:41
di
Sos Rosarno, ARI, FuoriMercato (Autogestione in Movimento), Cooperativa Mani e Terra SCS Onlus*

Sono passati 18 giorni dall'ultimo rogo nel ghetto di San Ferdinando, ed è tornato il silenzio. Suruwa Jaiteh è morto non per un incidente o una causalità, ma per le condizioni di strutturale esclusione e sfruttamento causate dalle politiche emergenziali istituzionali e dalle loro logiche razziste. Il comunicato congiunto di SOS Rosarno, ARI (Associazione Rurale Italiana, componente del Coordinamento Europeo della Via Campesina), FuoriMercato (Autogestione in Movimento); Cooperativa Mani e Terra SCS ONLUS, scritto a ridosso del rogo, illumina ciò che già si è spento e ha lasciato solo detriti e cenere, e ripropone soluzioni concrete che da anni sono inascoltate. Rogo dopo rogo, cadavere dopo cadavere.

Suruwa Jaiteh è morto, viva Suruwa Jaiteh! Sì, perché un ragazzo nel fiore degli anni aveva tutto il diritto di vivere la sua vita che, invece, è stata spezzata dal clima di odio e di tensione ultimamente aumentati a dismisura.

Ecco la realtà, purtroppo, raffigurata dagli scheletri anneriti dei tuguri di lamiere immersi nella fanghiglia e nell’immondizia e, quel che è atroce e irreparabile, dal corpo carbonizzato di Suruwa.

E noi? ancora una volta, costretti dagli eventi, rendiamo pubblica la nostra rabbia. Ancora, dopo l’ennesima morte violenta che poteva essere evitata. Suruwa Jaiteh aveva solo diciotto anni ed è morto carbonizzato nel ghetto di San Ferdinando; veniva dallo SPRAR di Gioiosa Jonica, era un bravo ragazzo e, dicono, anche un bravo calciatore, tant’è che il sindaco della cittadina jonica l’aveva anche premiato pubblicamente. Chissà quanti sogni e progetti per il futuro s’era immaginato approdando sulla nostra terra…chissà com’era arrivato sulle nostre coste, forse, passando per l’inferno della Libia, sottaciuto ed avallato da ministri ed ex ministri? Siamo sicuri, in ogni caso, che Suruwa aveva voglia di vivere e di costruirsi un futuro, come qualsiasi altro ragazzo della sua età. Ma si è scontrato con qualcosa che mai avrebbe immaginato: un non luogo, un ghetto, dov’è di stanza la disperazione, dove il vissuto quotidiano è immerso nella solitudine di migliaia di esseri umani il cui unico fine è quello di sopravvivere. Ecco il baratro, la non essenza, la morte.

Non siamo i soli a dire che quest’ennesima tragedia poteva essere evitata, sono in tanti, ormai, ad aver capito che il clima di odio e di tensione messo in atto, soprattutto, attraverso una campagna elettorale perenne fondata sulla paura per il nemico che viene dall’esterno porta, da una parte, all’esasperazione e alla violenza e, dall’altra, alla crescita esponenziale dell’illegalità che produce ricattabilità, degrado, sfruttamento…

Facciamo due esempi pratici:

1) dal punto di vista lavorativo, l’individuo privato di qualunque protezione legale è più ricattabile; infatti, al di là delle rassicuranti enunciazioni governative, il lavoro sommerso cresce a dismisura.

2) La questione abitativa viene sempre affrontata (e mai risolta) dal punto di vista emergenziale. Ieri, dopo la tragedia, gli organi preposti alla sicurezza hanno promesso l’installazione di cinque nuove tende in sostituzione delle baracche bruciate e la futura costruzione di un campo containers, ovviamente fuori dal centro abitato: un nuovo ghetto.

A questa riunione prefettizia, che si è tenuta nel comune di San Ferdinando, e si svolge ogni volta che c’è un morto ammazzato, a noi è stato impedito l’accesso. Forse perché rappresentiamo realtà associative e cooperative che operano sul territorio assieme agli immigrati, alcuni dei quali provenienti dalla tendopoli o, molto più probabilmente, perché da sempre prospettiamo una soluzione dignitosa ed economicamente sostenibile: il graduale inserimento dei migranti nel tessuto sociale della Piana, cioè nei suoi 34.000 alloggi sfitti e censiti. Perché non si vuole capire che questa semplice soluzione sarebbe la più vantaggiosa per tutti, migranti e autoctoni?

Forse, per lo stesso motivo per cui non si vuole capire che, dal punto di vista economico, lo sfruttamento è causato dall’imposizione di prezzi risibili riguardanti i prodotti della nostra agricoltura, da parte dei grandi potentati economici (Grande Distribuzione Organizzata).

Certo è, che non viviamo un periodo storico in cui la verità trionfa, anzi! e pure altri valori e sentimenti non abitano più il cuore; oggi sembra vincere chi parla alla cosiddetta pancia della gente, chi non possiede nemmeno la pietà e il rispetto per la morte.

Noi vogliamo parlare alla mente e al cuore e, anche in questa realtà, con sempre maggiore determinazione, non arretreremo di un solo passo; lo dobbiamo anche a queste giovani e innocenti vite spezzate.

Per una vera umanità e giustizia sociale!!!

SOS Rosarno; ARI (Associazione Rurale Italiana, componente del Coordinamento Europeo della Via Campesina); FUORIMERCATO (Autogestione in Movimento); Cooperativa Mani e Terra SCS ONLUS.

*Fonte: http://www.sosrosarno.org/news/item/242-odio-disperazione-morte.html