Necessità di dare una buona accoglienza alle donne straniere (Flora Tristan, 1835)

Wed, 13/12/2017 - 16:44
di
Flora Tristan*

Era il 1835 quando Flora Tristan pubblicò il suo primo saggio, “Necessità di dare una buona accoglienza alle donne straniere”. Francese di madre e peruviana di padre, Flora visse la migrazione, la povertà e la violenza di genere.
La madre rimase vedova quando Flora era adolescente e mandò la figlia a lavorare come operaia in un laboratorio di litografia a Parigi. Sposatasi con il proprietario dell’impresa per sfuggire alla povertà, Flora se ne separò (non potendo divorziare) pochi anni dopo, a causa delle violenze subite. Ma per sfuggire alle sue persecuzioni, Flora dovette scappare in Perù. Ritornò in Francia due anni dopo. Fu allora che iniziò a frequentare gli ambienti socialisti e a dedicarsi alla scrittura del testo di cui qui proponiamo una traduzione parziale.
Questo testo ha anticipato di quasi un decennio le teorie marxiane, di quasi un secolo il femminismo del "partire da sé" e le teorie intersezionali, e propone delle riflessioni ancora attuali sul fenomeno migratorio, con un’esplicita prospettiva di genere e di classe, ancora oggi, troppo spesso assente.
Il contesto storico in cui scrive Flora Tristan è l’alba del capitalismo e in esso l’autrice non solo individua il ruolo di riproduzione sociale a cui vengono relegate le donne, ma vi scorge con grande anticipo la specificità dei fenomeni migratori, in particolare di quelli femminili.
Le sofferenze delle donne migranti di cui Flora racconta fanno ancora oggi, due secoli dopo, da didascalia a immagini come quella del barcone arrivato a Salerno il mese scorso con i cadaveri martoriati di 26 donne.
Il respingimento delle comunità autoctone nei confronti delle donne straniere, evoca le “barricate” di Goro e Gorino dell’anno scorso contro l’arrivo in paese di tre donne richiedenti asilo in stato di gravidanza.
L’impossibilità di divorziare opprime ancora oggi le donne che migrano, benchè i presupposti giuridici siano mutuati: se ieri era l’illegalità del divorzio, oggi è il permesso di soggiorno vincolato all’attività economica del nucleo familiare che costringe migliaia di donne straniere che lavorano in nero o non hanno lavoro a dipendere dal marito e a tacere le situazioni di violenza.
E’ ancora attuale anche l’isolamento e la segregazione vissuta dai/dalle migranti nei luoghi preposti all’accoglienza, le cui porte danno accesso esclusivo alla marginalità sociale.
Ma ad essere attuale in modo impressionante è anche la proposta politica di Flora Tristan: relazioni di solidarietà per rompere le frontiere dell’indifferenza e progetti di mutuo soccorso, per dare una risposta immediata e concreta ai bisogni sociali.
In avvicinamento alla manifestazione del prossimo 16 dicembre, rileggere Flora Tristan è uno stimolo ad un approccio femminista, anticapitalista e “fuori mercato” all’immigrazione. (Marie Moise)

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Le basi sulle quali riposava l'antica Società del Medioevo sono crollate, crollate per sempre, e una nuova società cerca di elevarsi sulle sue macerie. In ogni dove si sente risuonare una voce unanime, che reclama delle istituzioni nuove che possano adattarsi ai nuovi bisogni, una voce che esorta ad associarsi, ad unirsi per lavorare di comune accordo ad alleviare le masse che soffrono e che languono senza riuscire a rialzarsi; poiché, divise, le masse sono deboli, incapaci anche di lottare contro gli ultimi tentativi di una civiltà decrepita che va spegnendosi. Un'intera classe, pari a metà del genere umano, è formata da questi esseri infelici che la nostra società condanna a vivere nella sofferenza; e gli esseri umani che non hanno soffocato la voce del loro cuore sentono che è necessario migliorare la sorte delle donne.[...]

Il mio scopo, qui, non è di fare della brillante utopia, descrivendo il mondo come dovrebbe essere, senza indicare la strada che ci potrà condurre a realizzare il sogno di un paradiso universale. Io voglio dei miglioramenti graduali, ed è in quest'ottica che mi rivolgo solamente a una parte dell'umanità e dei suoi problemi. [...]

Voglio semplicemente occuparmi della sorte delle donne straniere, e non perdere mai di vista questa specificità. E mi rivolgo alle donne che non conoscono, nella loro esperienza, la sofferenza di questa condizione; e agli uomini che, malgrado tutti gli sforzi che potranno fare, non possono comprendere quanto sia terribile trovarsi ad essere donna sola e straniera; è a tutti che rivolgo queste mie parole e questo appello.[...]

Sono stata in viaggio per molto tempo, sola e straniera. Perciò conosco tutta la sofferenza di questa condizione spietata. Mi sono trovata straniera a Parigi, in piccole città di provincia, nei villaggi e per mare. Ho attraversato le contrade dell’Inghilterra e la sua capitale immensa. Ho visto una gran parte dell’America e le mie parole corrisponderanno soltanto al mio sentire, perché so parlare solo di ciò che ho provato io stessa.[...]

La straniera che sale su un mezzo alla frontiera, durante i tre o quattro giorni che impiegherà a percorrere lo spazio che la separa dalla capitale avrà già dovuto soffrire mille avversioni, mille rifiuti di accoglienza e di gentilezza. Invece di trovare nei compagni di viaggio o nei diversi luoghi di accoglienza in cui avrà dovuto fermarsi le premure e le cure che si dovrebbero dare ad ogni occasione alle straniere, ella avrà incontrato ovunque soltanto egoismo e curiosità da una parte e indifferenza completa dall'altra. [...]

Ma [le sofferenze comuni a tutte le donne che emigrano da sole] vanno suddivise in classi
per poter comprendere meglio la loro rispettiva condizione benché sempre di difficoltà.[...]

Analizziamo la classe più numerosa, la più interessante, sulla quale sembrano concentrarsi tutti i dolori. Cercherò di rendere degna la più profonda solidarietà.[...]

Si parla sempre male delle grandi città, dicendo che è lì che proliferano i vizi e gli orrori, e che tutti vi si recano per nascondersi, confondersi ed esserne inghiottiti. Tutto questo non è del tutto vero, perchè è sempre lì che si trova la virtù che piange e muore ignorata, la disperazione che geme e si torce le mani in silenzio, e la sofferenza e l’atteggiamento silenzioso e rassegnato.
Io so bene che se una giovane ragazza, di una piccola città di provincia, viene sedotta e poi abbandonata nel dolore, la sola risorsa di questa sfortunata sarà di andare a nascondere la propria disgrazia, confondendosi in questo immenso abisso in cui tutto si frammenta in forme uguali e prende lo stesso colore. E’ sempre nella grande città che viene a cercare rifugio la donna sfortunatamente sposata che le nostre istituzioni lasciano vivere separata dal marito senza consentirle il divorzio di cui avrebbe bisogno.[...]

E’ lì che viene a cercare rifugio la straniera che la sventura, o la calunnia che ne consegue, ha costretto ad abbandonare la sua terra natale. [...]

Si comprenderà facilmente che le straniere che si trovano nelle condizioni appena descritte sono quasi sempre in difficoltà economica: la giovane ingannata non sarebbe stata abbandonata se fosse stata ricca, la straniera calunniata non sarebbe stata costretta ad abbandonare il suo paese se fosse stata ricca: si ingannano e attaccano soltanto le più deboli e sfortunate. [...]

Sono questi esseri sofferenti che avrebbero bisogno più di ogni altro di una mano in soccorso che venga ad offrire loro un sostegno.
Quante giovani donne vivono nell’abbandono, e logorano la loro vita nell’isolamento, in una piccola stanza cupa, ghiacciata e muoiono alla primavera della loro esistenza. Non un filo di speranza brilla per loro all’orizzonte e schiacciate dal peso del loro dolore finiscono per contrarre questa sensibilità patologica questa estrema irritabilità che alla lunga distrugge anche la salute più robusta.[...]

Ebbene, io mi immagino che dopo mille paure e le mille ansie più terribili, queste straniere hanno avuto abbastanza coraggio per rischiare tutto il loro avvenire. [...]

Cari cittadini, voi che abitate nella casa costruita dai vostri padri, o che godete di tutti gli agi della vita, voi che avete i vostri cari attorno a voi, i vostri amici, i vostri piaceri, in una parola tutto ciò che può dare la felicità nella vita, rivolgete di grazia un gesto di solidarietà e di pietà sugli esseri che respirano come voi, che sentono come voi, ma che soffrono mille volte di più. Voi che non sapete cosa voglia dire dover abbandonare la propria terra natale, che non sapete cosa voglia dire trovarsi soli in una terra lontana, in un clima che vi fa ammalare, con delle abitudini che vi sono estranee, con una lingua sconosciuta privi di ogni risorsa e di ogni consolazione.[...]

Molte non osano parlarvi, evitano la socialità e non è per orgoglio, ma per timore. la sofferenza rende timorosi. [...]
Esse vorrebbero soltanto fare del bene, ma questa società che le respinge, che le guarda con disprezzo, questa stessa società invece di venir loro in soccorso come sorelle, ha aperto dei precipizi sotto i loro piedi, invece di aiutarle, ha mostrato loro il sentiero del vizio come unico cammino a loro accessibile.[...]
Ma ora basta parlare al cuore: chi è sensibile mi ha già capita.[...]
Bisogna ora rivolgersi all’intelligenza.[...]

Seguiamo Innanzitutto la storia, e vedremo che ogni epoca in cui una parte della società soffriva e sentiva il bisogno di un cambiamento, delle associazioni hanno anticipato le riforme. queste associazioni avevano come obiettivo di aiutarsi tra di loro, mutualmente, di soccorrere i fratelli afflitti e perseguitati, perché, deboli come siamo noi, considerati individualmente, non è che nell'Unione che possiamo riporre la forza, La potenza è la possibilità di fare del bene.[...]

Cominciamo allora con mano ferma a sollevare la bandiera del mutuo soccorso, costruiamo un’intera società [...] ospitale, e solleviamo una parte di questi esseri che soffrono e che ci benediranno per averli sollevati dalla sofferenza. Il nostro esempio sarà seguito, la nostra voce avrà un'eco in tutte le anime generose. Non ne dubito. [...] Allora andiamo a esporre le basi sulle quali si basa sulla nostra società e gli statuti che pensiamo di doverle assegnare.

*Traduzione di Marie Moise dall'edizione dell'Harmattan di Nécessité de faire un bon accueil aux femmes étrangères. Qui è consultabile il testo originale.