Le politiche del Jobs act e le alternative da sperimentare

Wed, 11/02/2015 - 10:29
di
Big Bill Haywood

La disarticolazione delle forme classiche del lavoro è stata possibile negli anni grazie ad una serie di cambiamenti strutturali della legislazione sul lavoro, di politiche europee e di misure che hanno profondamente cambiato le relazioni industriali e produttive, esaurito il sistema della concertazione tra politica e parti sociali e superato di fatto il ruolo della contrattazione collettiva nazionale verso quella aziendale (con la grossa responsabilità dei sindacati confederali, vedi Testo Unico sulla rappresentanza del 2014). Se il precariato è frutto della divisione del lavoro nel sistema di produzione globale, dei cambiamenti produttivi e della concorrenza internazionale, i dispositivi di comando e controllo della precarietà sono una serie di leggi, di interventi economici, di direttive europee, di raccomandazioni della commissione europea, di leggi regionali e di termini statistici che possiamo sintetizzare in politiche del lavoro. Per contrastare tali politiche governative bisogna comprenderne l‘essenza e seguirne la continua evoluzione che trova nel Jobs Act solo la sua ultima versione. Il Governo Renzi infatti con il tentativo di annichilire i sindacati confederali, vuole in realtà superare il sistema delle relazioni industriali fino ad oggi conosciuto, in senso autoritario.
Superare la mediazione sociale con un rapporto diretto leader-cittadino, Governo-lavoratore, Padrone-operaio, Azienda-precario è l‘obiettivo dell‘attuale direzione del PD, di Confindustria e della Troika. L‘idea alla base è il superamento delle forme del lavoro organizzato oggettivamente non più riformabili, verso un neo-autoritarsimo che pone il lavoratore isolato davanti al datore o al capo ufficio. La cancellazione dell‘articolo 18 rappresenta proprio questo cambio. Dare lo shock per passare definitivamente dal paradigma concertativo fino ad oggi conosciuto ad uno nuovo dove, tra un tweet ed una apparizione televisiva, si costruisce un rinnovato ordine del consenso leader/massa senza mediazioni possibili. Niente di nuovo per il nostro Paese, lo abbiamo visto anche con Berlusconi, solo che all‘epoca le posizioni erano più chiare, più nitide e qualcuno reagiva. Oggi la narrazione tossica di Renzi appanna la vista degli sfruttati e dei subalterni con una coltre di fumo zeppa di retorica che spetta a noi disperdere. Cancellare l’art. 18, oltre a mettere a rischio milioni di lavoratori, segna un nuovo orizzonte simbolico. Offre un segnale forte, ideologico agli imprenditori che si sentono finalmente rappresentati da chi li vuole liberare dall’“oppressione” dello Stato, e dà un segnale altrettanto forte al mondo del lavoro, ossia che va distrutto tutto ciò che c'è tra il potere dell‘impresa ed il lavoratore, apartire dal sindacato. Potremmo dilungarci su quanto sono stati inadeguati, corporativi e disonesti i sindacati (ed è il punto forte della retorica renziana ed il “peccato originale” dei sindacati confederali), ma l‘idea di fondo non è eliminare il sindacato X o Y, ma proprio lo spazio tra la decisione autoritaria del capo e l‘esecuzione dell‘ordine che nel tempo hanno ricoperto le organizzazioni dei lavoratori tramite il dissenso, il sostegno reciproco e la mutua solidarietà.
Le politiche del lavoro in questo nuovo panorama svolgono il ruolo di sostituzione parziale delle funzioni sindacali ma con un obiettivo opposto a quello d’origine. Se nel movimento sindacale nella sua versione migliore il mutuo aiuto, il cooperativismo e l‘autorganizzazione servivano a sostenere il lavoratore dentro e fuori il luogo di lavoro in un‘ottica di trasformazione sociale, in questa fase le politiche del lavoro offrono meccanismi di sostegno al reddito e di ricerca attiva di lavoro (tirocini, autoimprenditorialità, apprendistato) ma con la funzione di disciplinamento sociale, per controllare ed annientare il conflitto di classe. Ecco perché è oggi così importante ed urgente rompere questo schema ripartendo da nuovi legami solidali, da rinnovate forme di mutualismo avendo ben presente quali sono gli strumenti utilizzati dal Governo e dalle imprese. Lo stesso “slittamento” del sindacato dall‘altro lato della barricata, con totali compromissioni con la gestione delle politiche del lavoro (dalla cassa integrazione in deroga ai licenziamenti collettivi, dagli enti di formazione ai fondi inter-professionali, per arrivare ai continui accordi a ribasso firmati nelle aziende e allo scempio del TU sulla rappresentanza del 2014) lascia uno spazio vuoto che nessuna delle organizzazioni tradizionali del lavoro riesce a riempire completamente (la stessa Fiom, se da un lato è parzialmente capace di canalizzare il dissenso operario, dall’altro firma accordi a ribasso in molte aziende).
Come riempire questo vuoto è la sperimentazione più difficile che abbiamo di fronte. Non abbiamo alcuna esaustiva “teoria del lavoro”, pensiamo piuttosto che si debba partire da piccole “scommesse”, investendo su alcune ipotesi a partire dalla propria condizione soggettiva.
E' fondamentale costruire e rafforzare vertenze “esemplari” capaci di mettere in discussione la nuova idea del lavoro. Contro la precarietà a tempo indeterminato prevista dal Jobs Act, è utile partire dalla sentenza della corte di giustizia europea, chiedendo l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari della P.A.; così come contro i meccanismi di workfare e della condizionalità, va costruita una campagna contro l’inefficacia del piano Garanzia Giovani. Abbiamo inoltre la necessità di dare “gambe” alle campagne su lavoro e non lavoro, dotandoci di strumenti organizzativi per andare oltre la mera propaganda e agire su un piano di lotta vero e proprio.
Un esempio sono gli sportelli del lavoro e dei diritti, se diventano in grado di essere sia strumento di supporto tecnico (consulenza legale, del lavoro, fiscale, commerciale, formazione ecc.), che punti di accoglienza territoriale e supporto informativo nei confronti di chi è interessato a partecipare ad una campagna o lotta eventualmente già in campo, oppure a proporne di nuove. Inoltre, il progressivo smantellamento del sistema del welfare e la privatizzazione di alcuni importanti servizi pubblici, ha generato un impoverimento massiccio di alcuni settori sociali rendendo fondamentali le esperienze di Mutuo Soccorso. Queste diventano veramente interessanti se capaci di non subordinare il conflitto al servizio: non è importante andare a sostituire l'intervento assistenziale, ma costruire delle reti/circuiti che possano, anche attraverso la riproduzione stessa del servizio venuto meno o carente, riproporre la questione in modo conflittuale supportando chi difende quanto ancora rimane dello Stato sociale. Un’esperienza interessante da monitorare è quella di ‘Solidarity for all’ in Grecia, una rete di ambulatori sociali, sportelli diritti sul lavoro e dei migranti, mense popolari, spazi sociali e fabbriche recuperate sostenuta da Siryza. Gli attivisti, oltre ad offrire il servizio, hanno come primo obiettivo quello di coinvolgere direttamente gli “utenti” nell’erogazione dei servizi o nell’organizzazione delle attività. La maggior parte degli operatori, sono stati costretti per la crisi a rivolgersi a Solidarity for all per poi diventarne ferventi attivisti. Esempio italiano è la Ri-Maflow, fabbrica recuperata in provincia di Milano, che oltre a porsi come obiettivo la salvaguardia dei posti di lavoro, sta sperimentando nuove forme lavorative a sfruttamento zero, affronta il tema della riconversione e della produzione (anche in chiave ecologica) e dell'autorganizzazione del lavoro. Le stesse istanze sono rintracciabili nel progetto Netzanet-Solidaria che alcuni attivisti nella città di Bari portano avanti da diversi mesi: partendo da un’esperienza conflittuale per il diritto alla casa, hanno lanciato le autoproduzioni di salsa nel contesto della campagna ‘sfrutta zero’ mettendo al centro lo sfruttamento e il lavoro sottopagato, la rivendicazione dei diritti di soggiorno e lavoro per i migranti, praticando embrionali forme alternative di filiera produttiva e di distribuzione fuori mercato.
Molte altre sperimentazioni sono necessarie per reagire alla crisi e costruire una alternativa dal basso. È urgente riconquistare quello spazio di resistenza che il neo-autoritarismo sta “occupando” a colpi di riforme e leggi finanziarie.