Le fabbriche recuperate dopo due anni di nuovo neoliberismo

Mon, 12/03/2018 - 11:53
di
Andrés Ruggeri*

Anche per le imprese recuperate dai lavoratori (ERT), come per quelle degli altri settori dell'economia produttiva di mercato, dal dicembre 2015 le cose non stanno andando bene. Come rivelano i dati elaborati dal programma Facoltà Aperta dell'Università di Buenos Aires, dall'insediamento dell'attuale governo le circa 370 ERT del paese sono state profondamente colpite tanto dalle conseguenze della politica macroeconomica adottata, quanto dalle singole decisioni del governo, che le considera dei bersagli.

Non è facile elencare le misure impopolari di un governo come quello di Mauricio Macri. Sono tante e tali che sembra impossibile numerarle tutte. Infatti l'indebolimento della classe lavoratrice è un obiettivo centrale dell'operato governo, che non solo persegue lo scopo di “diminuire il costo del lavoro”, ma anche quello di evitare che si organizzi una resistenza contro l'insieme delle misure previste dal programma neoliberista.
La riforma del lavoro persegue la precarizzazione e la “flessibilità” tramite la complicità del sindacato CGT e l’azione del Ministero del Lavoro che cerca ridurre il potere di rappresentanza e contrattazione dei sindacati, con la scusa che di sindacati “ce n’è in abbondanza”. Queste politiche colpiscono anche le esperienze di autogestione perché l’abbassamento delle condizioni di vita e la precarizzazione dei salariati colpiscono tutti i settori e influiscono anche sull’attività produttiva delle cooperative di lavoratori.
A questo quadro si aggiunge l’impatto diretto della caduta della domanda, l’apertura delle importazioni (in uno scenario molto simile a quello degli anni ’90), l’indebolimento del tasso di cambio che rende più cara la produzione nazionale e la penalizza rispetto alle importazioni, il tutto coniugato con un brutale aumento delle tariffe (tarifazo) che moltiplica i costi di produzione e rende quasi impossibile potersi confrontare con le nuove condizioni macroeconomiche.
Sebbene le imprese recuperate nascano per preservare il lavoro in condizioni critiche, la situazione attuale le pone davanti ad un contesto generale simile a quello che avevano superato durante la fase economica espansiva nel periodo precedente.

Le conseguenze della politica economica di Cambiemos

L’impatto dell’aumento delle tariffe è enorme perché sottrae gran parte o la quasi totalità delle entrate delle cooperative, proprio nel momento di contrazione del mercato interno e di rafforzata concorrenza delle importazioni. Tale andamento è visibile nei numeri: su 73 ERT, l’80% ha sofferto una diminuzione della produzione, mentre un 12% ha direttamente bloccato l’attività. Evidentemente non è stato solo il tarifazo ad aver provocato tale situazione. L’apertura indiscriminata delle importazioni ha colpito tutti i settori produttivi, specialmente quelli industriali come il settore tessile, quello della ceramica, il metallurgico, quello delle concerie, quello grafico, quello del vetro, etc… La diminuzione dei consumi ha colpito invece tutti gli altri settori.
Tutto ciò ha un impatto diretto sulle entrate economiche e le condizioni di vita dei lavoratori e quindi anche sull’esistenza stessa delle ERT. La ragione d’essere delle imprese recuperate è il lavoro (sebbene il quotidiano La Nacion creda che l’obiettivo sia quello di spaventare gli investitori ed espropriare la proprietà privata [1]) e il minimo che si può fare per sostenere l’intera esperienza dell’autogestione economica e lavorativa è renderlo sicuro. Su 73 ERT monitorate, l’ammontare degli stipendi è diminuito nel 42% dei casi, si è mantenuto uguale nel 32% delle imprese ed è aumentato solo in un 15% di esse. Si tratta di valori nominali, il che implica, in realtà, che in tutti i casi (compresi quelli nei quali si è verificato un aumento, che comunque non compensa l’inflazione) si registra una riduzione del potere d’acquisto. La maggior pare delle ERT attribuisce la colpa alle condizioni macroeconomiche e alla politica del governo, mentre solo una piccola parte di esse ritiene si tratti di problemi relazionati a questioni interne all’impresa.

Il dato più preoccupante è la perdita dei posti di lavoro. Fino al dicembre 2015, il panorama economico era espansivo, sia per quanto concerneva le imprese sia per quanto riguardava le prospettive di lavoro. Nel 2017 abbiamo iniziato a constatare la riduzione del numero complessivo di lavoratori occupati nelle ERT: dei quasi 16000 lavoratori presenti all’inizio del 2016, oltre 500 hanno perso il posto, nonostante siano state recuperate nuove imprese. Se si guarda al 2015 la perdita ammonta a 1400 posti.
La ex Zanon, Fasinpat, che ha visto una diminuzione di quasi il 50% dei suoi lavoratori, ne è un esempio, prodotto di una combinazione di fattori scoppiati definitivamente con l’enorme tarifazo e che riguardano la paralisi del settore edilizio nonché i problemi di obsolescenza tecnologica che si trascinavano da tempo e non si è riusciti a risolvere per la mancanza di credito e di appoggi da parte dello stato.

La forte diminuzione del tasso di occupati nelle ERT non è però da considerare nello stesso modo di quella delle imprese private, perché in nessun caso si può parlare di “un’ondata di licenziamenti”. Nelle imprese autogestite la maniera di affrontare queste situazioni di crisi non è il licenziamento ma la riduzione collettiva del salario. Così si da priorità al mantenimento del posto di lavoro più che al guadagno, anche se in alcuni casi la situazione prodotta dalla brutale caduta della produzione, ha provocato un tale abbassamento degli stipendi che molti lavoratori hanno deciso di abbandonare la ERT per cercare altrove maggiori guadagni. Le ERT possono dunque sopravvivere, ma la riduzione dell’attività provoca comunque un’emorragia di posti di lavoro che si va via via aggravando.

La repressione è all’ordine del giorno

Ci sono stati alcuni episodi di repressione contro i lavoratori che hanno avuto una grande eco. È il caso dello sgombero dello stabilimento di Pepsico, che era stato chiuso unilateralmente dal padrone e che i lavoratori hanno occupato. Si è trattato di un’operazione repressiva che ha visto coinvolti numerosi agenti e ingenti mezzi, ad uso e consumo delle televisioni. Un paio di mesi prima era stata sgomberata anche la Artes Graficas Rioplatense, appartenente al gruppo Clarin.
Stiamo parlando di due grandi società con potenti capacità di influenzare lo Stato e subordinarlo ai loro interessi. In entrambi i casi si è potuto vedere un dispiegamento dell’apparato repressivo come da tempo non si vedeva nel paese.
Nella provincia del Neuquen, dopo cinque mesi di occupazione, è stata brutalmente sgomberata la fabbrica MAM: nell’operazione sono stati feriti numerosi operai tra i quali il dirigente storico della ex Zanon e deputato provinciale del Frente de Izquierda de los Trabajadores, Raul Godoy
In altri casi, come per lo stabilimento di Atanor nella zona nord di Gran Buenos Aires, sono stati schierati con successo vari cordoni di polizia per impedire l’occupazione della fabbrica. Ricordiamo anche il dispiegamento di forze in un esercizio gastronomico situato in una zona più centrale della città, che ha messo quasi in stato d’assedio i lavoratori che ne avevano occupato il bar: nessuno poteva entrare od uscire.
Numerosi agenti si sono visti anche nel caso dell’azienda tessile Globito, ma in questa occasione i lavoratori sono stati rapidi e sono riusciti a forzare i negoziati che alla fine hanno portato a recuperare l’impresa.
È chiaro che il governo cerca di prevenire le occupazioni o sgomberarle rapidamente per evitare che i lavoratori possano avviare il percorso di recupero dell’impresa partendo dalla posizione di forza che l’occupazione dello stabilimento aziendale conferisce loro.
Il caso più clamoroso di repressione si è registrato nel marzo 2017, nel caso della cooperativa Acoplados del Oeste, ex Petinari, i cui lavoratori, dopo il veto posto dalla governatrice della provincia di Buenos Aires, María Eugenia Vidal alla legge sulle espropriazioni (votata fra l’altro dal suo proprio partito) furono violentemente sgomberati da un enorme e sproporzionato dispiegamento di oltre 600 poliziotti. I lavoratori che erano accampati all’entrata della fabbrica, da allora sono sottomessi a tutti i tipi di pressione possibile: dalle minacce esplicite fino a un’insolita perquisizione in casa di quattro dei cinque membri del consiglio della cooperativa, avvenuta di notte alla ricerca di macchinari pesanti ipoteticamente rubati mentre i lavoratori avevano occupato lo stabilimento.
Questo caso mostra una nuova variante nella repressione, che porta l’aggressione da parte dello Stato fin dentro le case dei lavoratori e delle loro famiglie.
L’inchiesta sulle ERT evidenzia un aumento delle operazioni della magistratura: 7 imprese su 73 hanno ricevuto un ordine di sgombero e in 17 altri casi diversi tipi di denunce, in gran parte penali, cioè non connesse né all’ambito lavorativo né a quello commerciale, che sono gli ambiti nei quali si dovrebbero risolvere i conflitti. Nella metà dei casi le denunce sono per usurpazione, altre sono invece per una varietà di motivi tra i quali minacce, furto, danneggiamenti, etc. Quasi il 60% delle denunce sono contro membri delle cooperative e sono individuali, al fine di esercitare la pressione sul singolo lavoratore.

Comunque si continua a recuperare

Gli sforzi del governo per distruggere le ERT usando, a seconda dei casi, la leva economica, quella politica o la forza, sono tesi a porre freno ad un fenomeno che è, in larga misura, proprio una conseguenza della sua politica.
Non è facile provocare la chiusura di migliaia di aziende e al tempo stesso evitare che, almeno una parte, diventino imprese recuperate. Infatti, sebbene per molte delle imprese che chiudono il recupero da parte dei lavoratori non è stato possibile, i lavoratori argentini continuano a recuperare imprese.
Lo studio che abbiamo realizzato conta 25 nuove ERT da quando si è insediato il governo di Macri. In vari casi si è trattato di occupazioni che sono andate a buon fine, in altri di negoziazioni dirette con il padrone o i creditori che hanno consentito di evitare le contromisure adottate dal governo e che abbiamo descritto. I settori più interessati sono quello tessile, quello della ristorazione, quello mass-mediatico, quello grafico e quello alimentare e il fenomeno riguarda imprese di medie e piccole dimensioni. Si tratta di casi nei quali la lotta per occupare la sede aziendale non è determinante e quindi si è potuto evitare il conflitto più duro con la proprietà, potendo invece recuperare macchinari, affittare altri capannoni o semplicemente, come nel caso dei mezzi di comunicazione, non dipendendo da un luogo fisico.
All’interno del paese ci sono varie situazioni che sono impegnate nel processo di recupero con l’appoggio di alcuni governi provinciali, come nel caso di San Luis e La Rioja.
Per le ERT già esistenti le politiche attive di appoggio statale si sono ridotte di fatto a politiche attive da parte di qualche governo provinciale. Oltre alle due provincie sopra menzionati, dove comunque non si contano molti casi, si può annoverare anche il governo di Santa Fe. In cambio il governo nazionale ha revocato praticamente tutti i programmi ed i sussidi, lasciando in piedi solo una parte del “programma del Lavoro Autogestito” presso il Ministero del Lavoro, che riguarda circa un 60% di tali misure di sostegno e che è comunque in fase di smantellamento a favore di un’altra modalità di gestione che è il “salario sociale complementare”. Solo il 40% delle ERT consultate hanno affermato di aver ricevuto una qualche forma di aiuto statale (nel 2010 erano l’85%). Così come si mantengono i veti sistematici all’espropriazione.

In sintesi, lo scenario è complesso e certamente sfavorevole, ma le imprese autogestite mantengono la capacità di affrontare la crisi nonostante le enormi difficoltà. L’autogestione continua ad essere un’alternativa alla chiusura delle imprese e alla disoccupazione. Il governo lo sa e per questo attacca e cerca di impedire che sorgano e si sviluppino nuove ERT.

[1] Vedi l’editoriale del 6 di agosto del 2017, “Anticapitalismo hipócrita”:http://www.lanacion.com.ar/2050452-anticapitalismo-hipocrita

*Fonte articolo: http://autogestionrevista.com.ar/index.php/2018/01/31/las-empresas-recup...
Traduzione a cura di Marco Pettenella