Pubblichiamo di seguito questa testimonianza di Francesco, tra coloro che prima a Lesbo e poi a Idomeni hanno portato una solidarietà attiva alle frontiere, costruendo un vero e proprio forno per distribuzione di pane e pizza. È proprio di oggi la notizia di un morto nel campo di Idomeni, un uomo di 39 anni investito da una camionetta della polizia.
Idomeni, confine tra Grecia e Macedonia, Una delle tante spine nel fianco dell'Unione Europea, la più vergognosa forse. Quella che prima era solo una frontiera dove passavano i treni merci, è diventata poi un varco per i migliaia di rifugiati che da ormai un anno cercano di raggiungere i paesi del nord Europa percorrendo la fatidica Rotta Balcanica. Da circa due mesi la frontiera è stata chiusa: il filo spinato ai bordi e all'estremità della doppia recinzione, i mezzi blindati e l'esercito macedone sono li a ricordarcelo ogni secondo e ad impedire che qualcuno oltrepassi il confine.
Per chi ci prova la punizione è esemplare: pestaggi e umiliazione verbale, ferite causate dai cani dell'esercito lasciati liberi di aggredirli, il tutto sotto l'occhio vigile e attento dei soldati di Frontex che nel frattempo filmano il tutto con dei cellulari. Alla fine di questo trattamento usano uno dei tanti buchi nella recinzione per rimandarli in Grecia, e domani si ricomincia.
A Idomeni vivono circa 10.000 persone, stipate nei grandi tendoni di "Medici Senza Frontiere" o nelle piccole tende da campeggio frutto di varie donazioni. Ormai è diventato un piccolo villaggio, quasi ogni famiglia ha circa 2-3 tende, una struttura che funziona da doccia\bagno, una dispensa, un fuoco dove cucinare. Nelle varie stradine si possono trovare barbieri, commercianti di cibo, sigarette, utensili da cucina, vestiti e accessori per il cellulare. La puzza dei bagni chimici è nauseante, la diossina creata dalla plastica bruciata ovunque penetra nei polmoni in maniera insistente, a ricordarti che non siamo in un villaggio normale.
Ogni giorno centinaia di volontari cercano di rendere la vita di queste persone più dignitosa attraverso la distribuzione di cibo, vestiti e beni di prima necessità o la costruzione di consultori medici, docce per i bambini, scuole, infotent: è incredibile come il fallimento delle politiche Europee Migratorie di fronte a questa crisi abbiano creato una "chiamata alle armi" che ha trovato un riscontro positivo nella partecipazione di tantissimi volontari indipendenti che cercano in ogni modo di supportare i migranti, troppe volte con un'ottica puramente assistenzialista.
In questo momento la Grecia è rimasta sola, vittima e complice di queste politiche europee che impongono regole che sembrano un bluff, un esempio è il caso del Recollocation Program, il programma di ricollocamento dei migranti nei vari paesi Europei: per entrare a far parte di questo programma bisogna sostenere un'intervista attraverso un (unico) account Skype, disponibile 4 ore alla settimana, e limitato solo ai rifugiati appartenenti ad alcune nazionalità. Un tentativo di temporeggiare in attesa di trovare un'altra soluzione, una presa in giro secondo i Migranti stessi che si trovano così costretti a chiedere asilo in Grecia (pochi quelli che prendono in considerazione questa ipotesi), cercare di oltrepassare il confine di nascosto o pagare migliaia di euro ai trafficanti per portarli in Italia, Germania o Austria.
Molti di loro invece continuano ad aspettare, perchè rimasti senza soldi, perchè con bambini piccoli o genitori anziani o perchè sperano che qualcosa cambi: pochi di loro riescono a credere che dopo essere scappati da guerre e rappresaglie dell'ISIS ora si trovano ostaggio di politiche di quelli che dovrebbero essere dei paesi aperti, solidali.
E allo stesso tempo l'Europa continua a finanziare la Grecia per la costruzione di campi di accoglienza gestiti dal ministero dell'interno: la quasi totalità assomigliano a dei campi di concentramento, centinaia di tende senza pavimento, pasti insufficienti e uguali ogni giorno (anche pranzo e cena), docce fredde, servizi igienici inadeguati, presenza di serpenti nelle tende, presenza di medici, traduttori o volontari quasi assente.
La gente è sempre più esasperata, la tensione si percepisce nell'aria nonostante i migliaia di bambini che ogni giorno giocano e corrono per le strade.
Domenica 10 aprile questa esasperazione si è trasformata in rabbia, quando circa 500 persone hanno tagliato le recinzioni e si sono scontrate con l'esercito macedone provando a superare un confine ingiusto: alle loro spalle migliaia di persone aspettavano con lo zaino in spalla e i bambini per mano convinti che questa sarebbe stata la volta buona.
La risposta dell'esercito Macedone è stata disumana, sparando centinaia di gas lacrimogeni che hanno colpito gran parte del campo e bruciato tende (con dentro tutti gli effetti personali dei malcapitati) e ovviamente causato problemi respiratori alla quasi totalità delle persone. Non contenti hanno lanciato bombe assordanti e sparato proiettili di gomma ad "altezza bambino", nuovo termine inventato per l'occasione.
I giorni successivi il lancio di lacrimogeni è stato quasi quotidiano, sebbene molto minore rispetto alla Domenica. La polizia greca ha condannato i metodi dell'esercito Macedone ma allo stesso tempo ha azionato la macchina della repressione nei confronti dei volontari, colpevoli secondo loro di aver organizzato la rivolta: il risultato sono circa 40 fermati (tutti rilasciati) all'entrata del campo con diversi capi di imputazione spesso banali.
Per completare questo puzzle del terrore, giovedì Mattina è andata in onda l'azione più meschina di tutte: in tarda mattinata è iniziata un'esercitazione militare che prevedeva l'utilizzo di elicotteri, caccia da guerre, mezzi e Truppe da terra. Esattamente su un campo rifugiati, che conoscono benissimo il rumore dei caccia bombardieri che hanno distrutto le loro vite: più forte del frastuono degli aerei era solo il pianto dei bambini, andato avanti per ore.
Mi sembra strano parlare di coincidenze contando che questi episodi sono avvenuti a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, sembra chiaro invece l'intenzione di spaventare la gente e mettere pressione per fare in modo che il campo sia evaquato "pacificamente" il prima possibile.