Karallà - antirazzismo a sfruttamento zero #2

Thu, 19/10/2017 - 11:44
di
A cura di Marie Moise

Proseguiamo il nostro ciclo di interviste ai progetti di mutuo soccorso tra native/i e migranti. L’attività di questi progetti risponde con la solidarietà reciproca all’aggravarsi delle politiche dell'immigrazione in Italia e al clima di xenofobia che queste stesse alimentano.
Ad accomunare le diverse esperienze è la pratica del lavoro in autogestione e senza sfruttamento. E’ così che questi progetti restituiscono ai loro partecipanti la forza di affermare che un’altra accoglienza è possibile, e necessaria.
La storia dell’associazione Karallà, come quella di Mshikamano, nasce dall’interno di un centro di accoglienza di Milano, dove i casi di malagestione sono all’ordine del giorno. Due giovani sarti di origine gambiana incontrano un gruppo di solidali e ne nasce l’idea di un progetto di sartoria migrante, che in una anno di percorso è cresciuto incredibilmente.
L’attesa del responso alla richiesta d’asilo dura anche degli anni interi, spesso passati nell’isolamento statico delle strutture di accoglienza. Davanti alle preoccupazioni che genera questa situazione, Karallà materializza una possibilità reale di tessere le fila di una vita dignitosa.

Come si chiama il vostro progetto, qual è il significato di questo nome?

KARALLA’, significa sartoria in lingua mandinka (una delle lingue parlate in Gambia).

Quando e come è nato il progetto e di cosa vi occupate?

Il progetto è nato nel giugno 2016, è una sartoria nata all’interno del centro di accoglienza di via balduccio da Pisa a Milano. Il centro poi è stato chiuso per irregolarità e il progetto è stato trasferito all’associazione Percorsi in via Kramer.

Chi fa parte del progetto?

Siamo due ragazzi richiedenti asilo provenienti dal Gambia, una volontaria dell’associazione che cura la formazione e la presidente dell’associazione che gestisce il progetto.

Dove vivono i migranti che partecipano al progetto?

Uno in un centro di accoglienza e uno in un appartamento.

I migranti hanno fatto altre esperienze di lavoro in italia? Che differenza c'è tra queste e il lavoro all'interno del progetto?

Hanno fatto parte di un progetto di formazione organizzato da una cooperativa per la realizzazione di camiceria da uomo. La differenza sostanziale è che nel nostro progetto abbiamo la possibilità di esprimere la propria creatività nella realizzazione dei manufatti e nella scelta del modello.

Quali sono i vostri obiettivi?

Valorizzare e migliorare le competenze professionali, ritrovare la dignità nel lavoro, creare una rete di persone che aiuti a sentirsi più partecipi della società.

Come lavorate per il sostentamento economico del progetto? Quali sono le difficoltà che incontrate e come le affrontate?

Reinvestiamo una parte dei guadagni per l’acquisto dei materiali e usufriamo del contributo dell’associazione. La difficoltà è trovare uno sbocco “regolare” per la vendita dei manufatti.

Ci sono gli altri soggetti con cui il progetto è in relazione?

Si, stiamo cominciando ad avere qualche piccola richiesta di collaborazione da parte di altre associazioni che sono venute a conoscenza del nostro progetto tramite conoscenze comuni.

La situazione politica in Italia condiziona il vostro lavoro? In che modo?

Molto penalizzante è la mancanza, per motivi vari, del permesso di soggiorno. Da qui la difficoltà che incontriamo, ossia il rischio di esporsi nella vendita dei prodotti.

Raccontateci un momento particolarmente importante per il vostro percorso.

Molto importante è diventare protagonisti in contesti sociali “diversi” da quelli a cui siamo abituati e veder riconosciuto il valore del nostro lavoro.