Il #14N si allarga. Bloccare il Jobs act si può

Wed, 05/11/2014 - 12:06
di
Big Bill Haywood

Fino a qualche settimana fa lo sciopero sociale del 14N era solo una delle tante iniziative dell’autunno. Oggi è diventato il percorso di lotta più inclusivo ed originale per opporsi fino in fondo al Jobs Act.
Se ne è accorta la stessa Fiom di Landini che ha convocato lo sciopero generale dei metalmeccanici del centro nord proprio quel giorno, e ha deciso di usare la stessa grafica della campagna virale del social strike che in queste settimane ha invitato precari di tutti i tipi a incrociare le braccia.

E come si è visto domenica 2 novembre nella fabbrica autogestita OfficineZero di Roma, ad incrociare le braccia in vari modi non saranno solo i metalmeccanici (come per qualcuno sembra suggerire il manifesto della Fiom). Più di 250 persone provenienti da molti territori della penisola e rappresentativi di collettivi, sindacati conflittuali, centri sociali e realtà studentesche, si sono incontrati per una seconda volta dopo l’appuntamento di settembre, per mettere a punto le tappe e definire le modalità verso lo sciopero sociale. Roma, Napoli, Milano, Padova, Firenze, Bari, Pisa, Bologna, Torino, Genova, ma anche Abruzzo, Marche Umbria. Città dove si stanno costruendo nuove relazioni sociali tra mondi diversi del lavoro e del non lavoro. Laboratori che vogliono funzionare da incubatori di quello che sarà nelle sue molteplici articolazioni il social strike anche oltre il 14N.

La principale convinzione di tutti è infatti che il 14N non sia la data d’arrivo ma solo l’inizio di un difficile cammino che ha l’ambizione di far emergere dall’anonimato milioni di “invisibili”, costretti dalla crisi del neoliberismo a rimanere ai margini della storia.

Per i precari di tutti i tipi, per i Neet, per i migranti e per gli studenti, lo sciopero per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi non è uno strumento efficace. Non basta più. Un migrante che lavora in condizioni semiservili per 2,5 euro l’ora nei campi del foggiano non esiste né per lo Stato né per le forme del lavoro tradizionale organizzato. Un giovane grafico con partita IVA se inserito in un contesto aziendale, vede scioperare (nel migliore dei casi) i suoi colleghi con contratto a tempo indeterminato senza poter aderire, perché il suo “contratto” non glielo permette. Un giovane tirocinante aderente al programma Garanzia Giovani potrà sostituire con il suo lavoro semi-gratuito un lavoratore licenziato, alimentando la guerra tra poveri che tanto piace a Lega, governo, Europa e Confindustria. Per non parlare di chi il lavoro lo ha perso, come le migliaia di disoccupati di tutte le età espulsi dai processi produttivi o i giovani laureati mai entrati nel mercato del lavoro e spesso totalmente esclusi dagli ammortizzatori sociali.

Non solo articolo 18 quindi. L’assemblea ha ribadito la necessità di ampliare la sfera dei diritti fuori e dentro il lavoro tradizionalmente inteso: estensione dell’art.18; abolizione delle 46 forme contrattuali introdotte con le varie riforme del lavoro (da Treu a Biagi) che non si risolverà con l’abolizione del solo “co.co.pro.” annunciata da Renzi; un salario minimo europeo (in Italia a 10 euro l’ora) ed un reddito di base universale che garantisca una vita dignitosa a chi un lavoro non ce l’ha.

Non la solita assemblea dei precari non rappresentati, insomma. Nessuna ritualità da “militanza antagonista”. Domenica si è toccata con mano la voglia di percorsi efficaci, concreti, inclusivi, strumento per i “non organizzati” come per chi anima un sindacalismo di base, conflittuale o di opposizione interna alle burocrazie concertative. Un’assemblea determinata ad agire una comunicazione virale e provocatoria, mettere in atto blocchi dei flussi produttivi, organizzare scioperi dei migranti contro il lavoro nero ed il caporalato, mobilitare gli studenti a cui viene scippato il futuro, sperimentare forme di mutuo soccorso tra precari e disoccupati per resistere alla crisi, e un nuovo cooperativismo per il recupero delle fabbriche abbandonate dai padroni per l’affermazione di un’economia ecologica a sfruttamento zero. E ancora una assemblea pronta a contestare i dispositivi della precarietà come la Garanzia Giovani o la nuova Aspi che impongono la partecipazione a corsi di formazione spesso inutili che regalano milioni di euro alle imprese che poi non assumono, e il lavoro gratuito dell’alternanza scuola/università-lavoro. E pronta a solidarizzare con i lavoratori delle aziende simbolo della narrazione tossica di Renzi, come quelli di Eataly, così come con i metalmeccanici.

Renzi teorizza l’esistenza di un complotto che vuole dividere il paese tra lavoratori e padroni, ma la divisione è quanto mai chiara leggendo i suoi provvedimenti legislativi così generosi nel dare nuove libertà (di licenziamento e non solo) agli imprenditori e così feroci nel togliere diritti a chi lavora in qualsiasi forma. La Garanzia Giovani (Jobs Act atto I) sostituisce al concetto di occupazione quello di occupabilità, mettendo in discussione lo stesso vincolo di scambio tra prestazione e salario; il DDl Poletti (Jobs Act atto II) con i suoi contratti a termine prorogabili a “tempo indeterminato” e la legge delega in discussione alla Camera (Jobs Act atto III) che introduce il contratto a tutele crescenti (senza indicare quali tutele e quanto crescenti), rendono la precarietà l’unica forma possibile di lavoro. Si torna indietro di almeno un secolo: altro che gettone nell’iPhone e selfie… si ritorna al telegrafo e al grammofono.

Oltre al sindacalismo di base c’era dunque anche la Fiom all’assemblea di domenica, dove ha confermato la proclamazione dello sciopero generale il 14N per il centro-nord con corteo a Milano ed il 21N per il centro-sud con corteo a Napoli. Per chi ha costruito il percorso dello sciopero sociale in queste settimane è una bella notizia e un allargamento fondamentale per l’efficacia reale della mobilitazione. A condizione però che il sindacato dei metalmeccanici sia disposto anche ad intercettare le forme del lavoro precario e a radicalizzare la sua opposizione al Jobs Act. Fino al suo ritiro.

La manifestazione della CGIL del 25 ottobre ha rappresentato senza dubbio una grande dimostrazione di disponibilità al conflitto di chi vi ha partecipato. Ma il conflitto poi va fatto realmente. La Camusso invece punta ancora ad un ruolo di concertazione con il governo, che pure non le lesina porte in faccia e insulti.

In realtà il giovane presidente del Consiglio ha ben delineato la linea tra “noi” e “loro”, come dimostrano anche le manganellate agli operai di Terni e le cariche fuori dalla Palazzoli di Brescia. In gioco non c’è l’ottenimento di una virgola cambiata nel decreto del Governo o un semplice riconoscimento politico, ma il cambiamento radicale delle politiche di precarizzazione degli ultimi vent’anni di cui subiamo le pesanti conseguenze.

Di fronte alla mobilitazione sociale il Governo Renzi per la prima volta sembra avere qualche difficoltà. Ma per essere veramente efficace, chi incrocerà le braccia il 14 novembre dovrà farlo pensando già al 15 e oltre.