Dall’occupazione all’occupabilità. Le politiche europee e l'idraulico

Wed, 19/02/2014 - 01:48
di
Big Bill Haywood

Il processo di integrazione europea sulle politiche del lavoro trova una prima importante regolamentazione con il Trattato di Amsterdam del 1997 e con la “Strategia europea per l'occupazione” (SEO) avviata nel novembre dello stesso anno per attuare quanto disposto dal nuovo Trattato. Così si inserisce formalmente il “lavoro” nel cammino verso gli “Stati Uniti d’Europa” tanto in voga negli anni dell’ottimismo europeista dove la crisi sembrava parlasse solamente lingue asiatiche. La SEO impegna UE e Paesi membri a definire e raggiungere quattro obiettivi dai nomi carichi di enfasi e buoni propositi:

imprenditorialià: sviluppare lo spirito imprenditoriale

adattabilità: favorire l'adeguamento ai mutamenti del mercato del lavoro

pari opportunità: rafforzare le politiche di uguaglianza delle opportunità per tutti

occupabilità: accrescere le capacità di trovare lavoro

In seguito ad un bilancio poco roseo dei suoi primi cinque anni, nel 2003 la SEO è stata riformata. I quattro pilastri iniziali sono stati integrati con tre nuovi grandi obiettivi:

raggiungere la piena occupazione

migliorare la qualità e la produttività del lavoro

rinforzare la coesione e l'inclusione sociale

Da Lisbona 2000 a UE 20-20

Nel frattempo nel marzo 2000 il famiggerato consiglio europeo di lisbona 2000 ha enunciato per il decennio 2000-2010 un nuovo obiettivo al fine di sostenere l'occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale: “diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

Ma come già successo precedentemente anche questa volta gli intenti si sono scontrati con la realtà. Infatti già nel 2005, nel pieno della grande illusione della società della conoscenza che ha incantato una buona fetta della sinistra e dei movimenti, la governance europea si era accorta che gli obiettivi prefissati erano ben lungi dall’essere stati raggiunti. Preso atto, gli Stati membri hanno deciso di rilanciare la strategia di Lisbona rimodulando i termini, ma lasciando invariata la sostanza. I due macro-obiettivi sono diventati crescita economica ed occupazione. Punto!

Ma nel 2010 si è dovuto ripensare la strategia a causa dei grossi limiti occupazionali raggiunti e della scarsa crescita registrata. E' stato annunciato così il programma "UE 20-20" che non fa altro che rappresentare da un lato la prosecuzione della strategia di Lisbona, dall'altro vorrebbe essere uno strumento per attraversare quasi indenni la tempesta della crisi. Ed ecco che la Commissione Europea, forse senza rendersi conto che nel frattempo in Europa vige la politica di austerità, indica i fattori di stimolo tematici imperniati sulle seguenti tre priorità: una crescita basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza, coinvolgimento dei cittadini in una società partecipativa, un’economia competitiva interconnessa e più verde. Be', non c’è che dire, decisamente innovativa!

Le fondamenta dell'ideologia liberista rimangono intatte. La direzione di marcia deve continuare a basarsi sulla grande illusione della società della conoscenza in grado di generare occupazione, benessere e ricchezza utilizzando la competitività e la meritocrazia. La realtà dice il contrario, ma non importa: precarizzazione del mercato del lavoro, diminuzione del salario, avvento dei cosiddetti working poors, continua e crescente domanda di manodopera a basso costo per lavori “sporchi, pericolosi, pesanti”: dagli addetti alle vendite ai camerieri, dagli addetti alle pulizie ai lavori di cura, dal magazzinaggio all'agricoltura intensa, presentati sotto le spoglie incoraggianti di 'occupazione in servizi e terziario'.

Dalla piena occupazione alla disoccupazione strutturale

Se è evidente il fallimento del “raggiungimento della società della conoscenza di massa” propagandata a Lisbona, altrettanto disastrosa (ma conveniente per il capitalismo europeo) è stata l’implementazione dell’altro principio cardine della SEO, cioè la piena occupazione.

Ormai la disoccupazione, specie quella giovanile, è oggetto di cronaca quotidiana, così come lo sono le risposte della politica impegnata a cercare quel coniglio nel cappello ormai fuggito da tempo. Prima con i troppo ruvidi tecnici guidati dalla poco choosy Elsa Fornero, ora con i più accattivanti e smart “nuovi profeti” yuppie del jobs act, il tentativo è sempre lo stesso: eseguire alla lettera i dettami della UE incardinati nella SEO che ci vuole tutti più disponibili, adattabili, produttivi, occupabili. Precari!

Al cospetto dei tanti fallimenti, la SEO sta riuscendo invece a far applicare il principio cardine dell'occupabilità su cui si sviluppano le riforme del lavoro negli Stati europei: dalle riforme Hartz del 2002 che in Germania introducono i sottopagati e molto diffusi minijobs, contratti da 400 euro mensili senza contributi e senza tasse per le imprese, alla più recente riforma spagnola che prevede una forte flessibilità in uscita, per arrivare alla proposta di Renzi, come ulteriore tassello delle riforme dei vecchi (si ricordi il PacchettoTreu del 1997) e nuovi 'Precarizzatori Democratici'. Le politiche europee e le sue diverse declinazione nazionali “vanno infatti considerate insieme alla tendenza generale a fare dell’occupabilità la misura sostitutiva dell’occupazione".

Da una gestione statica del mercato del lavoro si è passati ad una “idraulica” avendo sempre come riferimento la “pressione” che la crisi esercita sui flussi di lavoratori in uscita (da licenziare). Così si spiega l'idea di Renzi di compensare la definitiva 'stabilizzazione della precarietà a vita' con la concessione dell'assegno univesale. La mano sul rubinetto la tengono ben salda, aprono e chiudono secondo le esigenze del mercato.

Tuttavia l'utilizzo “idraulico” della forza-lavoro necessita della gentile concessione di tutele caritatevoli, tali da ammorbidire il ricatto permanente insito nell'occupabilità: sia sul posto di lavoro quando si è costretti ad accettare qualsiasi ritmo e/o mansione, sia da disoccupati quando si sarà costretti ad abdicare a qualsiasi proposta (formativa e lavorativa) previo ritiro dell'assegno universale, come anticipato dall'imminente jobs act. Visti i risultati della sperimentazione sui lavoratori migranti attraverso la Bossi-Fini, che lega l'ottenimento del permesso di soggiorno al contratto di lavoro, il disciplinamento sociale deve essere esteso il più possibile. Il lavoro e il welfare (quali casa, salute, trasporti) da concedere ad intermittenza diventano la nuova forma di governance non solo della forza-lavoro, ma anche del potenziale dissenso che questa porta con sè.

Come superare la crisi quindi secondo Europa 20-20? Nessuna novità: tagliare diritti e costo del lavoro per ottimizzare i profitti di banche, finanza speculativa e lobby. Il tutto tenendo però sempre ben viva la speranza di quella società tecnologica basata sulla conoscenza. Come si dice, cavallo vincente non si cambia!

Oltre al ricatto e all'eventuale assegno caritatevole, la speranza diventa un ulteriore ed efficace antidoto al dissenso e alla protesta. Ed ecco inventarsi per i giovani, che siano studenti, disoccupati o i cosiddetti NEET (chi non studia, non lavora e non ricerca un impiego) delle politiche di attivazione e stimolo, attraverso un massiccio finanziamento di tirocini e apprendistato per creare un'economia della speranza e della fiducia dei giovani nel futuro. Un futuro che, evidentemente, non dipende da loro, ma dalla durata degli incentivi che lo Stato regala alle imprese. Un'economia della speranza costruita ad arte per mantenere quei confini tra lavoro e non lavoro fluidi, “idraulici” appunto. Sfruttare l’entusiasmo, la disponibilità ed i desideri di chi esce dal mondo della formazione. Tirocinio gratuito dopo tirocinio, master dopo master per poi gettarli via dopo i trent’anni perché troppo vecchi e non più competitivi, pronti però ad alimentare il grande serbatoio della disoccupazione strutturale funzionale. Gli incentivi e sgravi fiscali alle imprese chiaramente rimangono! Anzi sono il motore ben oleato del meccanismo. In questo processo l’alternanza formazione-lavoro gioca il ruolo della palestra di precarietà che allena lo studente e il disoccupato per il reinserimento lavorativo ad una piena e costante occupabilità. “Gira tutto intorno a te” diceva una pubblicità di qualche anno fa. E poi alla fine di tutto, giusto per chiudere con le frasi famose, “uno su mille ce la fa”, solo che la dura salita è diventata uno steccato quasi invalicabile.

Per continuare a riacquisire credibilità, nei prossimi mesi è previsto un summit europeo per l'occupazione giovanile che si terrà probabilmente a Roma, finalizzato a lanciare un ennesimo programma: la Youth Guarantee. Una serie di misure per legittimare e rifinanziare la stessa ricetta degli ultimi 20 anni insaporita dall'economia della speranza. Un'occasione per far emergere una soggettività che attraverso il proprio dissenso inizi a dimostrare di essere difficilmente comprimibile e controllabile dall'ennesima strategia targata UE e avallata dagli Stati membri.