Costruire istituzioni alternative in Grecia: Solidarity for All

Wed, 23/03/2016 - 17:25
di
Intervista di Alexander Kolokotronis a Christos Giovanopoulos

La rete Solidarity for All è stata costituita da militanti di Siryza negli anni antecedenti la crisi e ha conosciuto un forte sviluppo dopo i durissimi attacchi sociali inflitti dalle politiche di austerità della Troika, contribuendo insieme ai vari movimenti di lotta alla caduta da sinistra dei governi fotocopia degli ultimi anni.
Christos Giovanopoulos è uno dei promotori della rete, molto conosciuto nelle realtà di movimento in Europa, e ha partecipato – tra l’altro – alle iniziative di Blockupy.
Dopo i primi sei mesi di governo di sinistra, la capitolazione di Tsipras nei confronti dei diktat dell’Unione Europea e della BCE a metà dello scorso anno ha rimesso in discussione il rapporto con Siryza da parte di diverse realtà sociali, utilizzate spesso strumentalmente in senso puramente elettoralistico.

È in questa direzione che va l’intervista di Giovanopoulos, che pure tenta – erroneamente a nostro avviso – di accreditare un possibile ruolo del movimento sociale come puntello del governo amico nel negoziato con l’UE, senza individuare il limite strutturale di Siryza (e in generale dei partiti della Sinistra Europea) in tutta la cosiddetta trattativa.
Questo limite che si coglie in alcuni passaggi dell’intervista non offusca tuttavia l’importanza delle pratiche sociali messe in atto in Grecia – e non solo da
Solidarity for All – che nelle migliori esperienze hanno saputo combinare la lotta politica contro il debito con la mobilitazione sindacale e le concrete iniziative di soddisfazione immediata dei bisogni sociali basilari, come alimentazione, salute e reddito.
Interessante anche l’evoluzione di alcune realtà nate in solidarietà con resistenze nel mondo (ad esempio con gli zapatisti) trasformatesi con la crisi in strumenti per la produzione di reddito.

Ci paiono condivisibili in particolare alcune indicazioni sui compiti di una rete sociale di mutuo soccorso, su cui anche noi ci stiamo cimentando, quali:
- Il differenziarsi dalle logiche caritatevoli e di sostituzione del welfare per rafforzare invece il conflitto sociale e le resistenze, anche puntando a riqualificare lo stesso welfare
- La rivendicazione nei confronti dello Stato e delle istituzioni di garanzie legislative per ciò che deve essere la società stessa ad autogestire
- L’autorganizzazione come strumento di costruzione di potere popolare dal basso e di reti economiche alternative indipendenti dalle istituzioni

La lezione della Grecia è anche questa: il consenso elettorale che non si fonda su basi sociali solide e su un potere indipendente ha il destino segnato. La rete di resistenze operanti in Grecia, con l’ostilità dell’attuale governo pro-austerità presieduto da Tsipras, è capace oggi di continuare a dare risposte solidali dal basso nei confronti di amplissimi settori sociali e anche di costruire accoglienza e sostegno ai rifugiati, che le istituzioni nazionali e l’UE non sono in grado e soprattutto non vogliono affrontare. (Gigi Malabarba)
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Sin dall’inizio della crisi finanziaria greca sia la destra che la sinistra hanno portato avanti solo un ristretto insieme di narrazioni, ipotesi politiche, e perfino attori politici. Un movimento che è rimasto molto al di fuori del dibattito politico è quello dell’economia solidale. Un’organizzazione chiave all’interno di questo movimento è Solidarity for All (trad. "Solidarietà per tutti/e"). Solidarity for All è un’organizzazione che offre supporto tecnico, rafforzamento organizzativo e messa in rete alle varie iniziative di base, in Grecia.

In un report del 2014/15 intitolato “Costruendo la speranza: contro paura e devastazione”, Solidarity for All richiama l'attenzione su “gli effetti devastanti del radicale esperimento neoliberista sulla società greca”. Il report vuole anche sottolineare “un altro esperimento: quello della società greca che agisce attraverso l’autorganizzazione e la solidarietà, della gente che alza la testa e resiste ai propri 'salvatori' economici e politici”.

Nel report Solidarity for All cita statistiche che spesso non si vedono nei rapporti sulla Grecia. Ad esempio l’organizzazione spiega che “se si tiene conto della popolazione economicamente inattiva [...] il 56,3% della popolazione è esclusa dal lavoro”. Indubbiamente questa percentuale è ulteriormente cresciuta, dal momento che è ricavata da dati del 2014. Tra il 2008 e il 2013 il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato dal 21% al 59%. Insieme alla crescita del tasso di disoccupazione c’è stato un drammatico abbassamento dei sussidi di disoccupazione, sia in termini dell’ammontare del sostegno ricevuto, sia in termini del totale relativo di disoccupati che ricevono qualche tipo di sussidio. Mentre nel 2008 il 58% dei disoccupati registrati percepiva un sussidio, nel 2014 solo il 14% ne ha ricevuti. Con il servizio sanitario legato alla condizione di occupazione, almeno 2.5 milioni di persone hanno perso il loro “status di detentori di previdenza sociale”.

Il report prosegue citando l’esorbitante aumento del numero di persone che non riescono a pagare i propri mutui, le tasse o le bollette arretrate. Con la revoca del divieto di pignoramento avvenuta nel bel mezzo della crisi, le banche hanno avuto la possibilità di sequestrare o confiscare proprietà e case. Tutte queste statistiche, insieme a molte altre, restituiscono il quadro allarmante di un paese che ora vede la maggior parte della sua popolazione vivere sotto la soglia di povertà. È per questa ragione che un report dell’UNICEF ha fatto riferimento a questa crisi come a un “grande balzo indietro”. Il costo economico è chiaro, ma l’impatto psicologico e sociale non è misurabile.

Ciononostante, come il report sottolinea, ci sono alternative che stanno germogliando in tutto il paese. Tra queste ci sono le cliniche solidali, strutture di solidarietà alimentare e cucine solidali, reti senza “intermediari”, reti di solidarietà di migranti, e cooperative.
Mentre la crisi pone dei dubbi sul modello di produzione capitalista, queste forme organizzative democratiche sono cercate e continuano a nascere. Come fa notare nell'intervista Christos Giovanopoulos – membro di Solidarity for All – queste istituzioni alternative non funzionano solo rispondendo a una necessità immediata, ma lavorano per la costruzione di capacità d'azione e il coinvolgimento di tutti i partecipanti che fruiscono delle attività all’interno di queste stesse istituzioni alternative.

Quindi, si può trovare un ventaglio di strutture e modelli organizzativi anche all’interno di un solo tipo di istituzione alternativa. Come afferma Solidarity for All, “non c’è un solo modello di clinica solidale, ognuna è unica, e lo stesso vale per tutte le strutture di solidarietà. Mentre alcuni centri di salute solidali sono auto-organizzati, altri sono legati ad associazioni locali di medici e sindacati, alcuni a gruppi politici locali o a centri culturali”. Le cliniche solidali sono collegate a livello nazionale nel Coordinamento delle Cliniche e Farmacie Solidali. Essendo la zona dell’Attica la sede principale della costruzione di istituzioni alternative, questa regione possiede un Coordinamento delle Cliniche e Farmacie Solidali dell’Attica. Come esposto dal report stesso, l’obiettivo di queste cliniche non è quello di sostituire lo stato, ma di rispondere a una necessità materiale e lavorare congiuntamente ai sindacati dei lavoratori della sanità esistenti.

Anche la distribuzione del cibo ha assunto differenti forme grazie alle varie strutture di solidarietà alimentare, alle cucine solidali e alle reti “senza intermediari”. Le reti senza intermediari collegano direttamente i produttori di alimenti ai consumatori attraverso meccanismi come le pre-ordinazioni. Il risultato è un prezzo del cibo ridotto e la sicurezza di entrate migliori per i produttori. Queste reti offrono anche una cornice all’interno della quale si possono stabilmente costruire e allargare la socializzazione della produzione, della distribuzione e perfino del consumo. Un esempio a riguardo è che ogni produttore di un certo mercato dona dal due al cinque percento dei propri prodotti, che sono poi distribuiti tra le famiglie che non possono sostenere le spese alimentari.

Per quanto riguarda le cooperative, lo stato applica una legge per le imprese sociali cooperative. Quando sono stato in Grecia in agosto mi è stato detto che circa 700 imprese sono registrate con questa designazione, tuttavia molte di queste imprese non sono realmente cooperative, ma ONG. Il numero reale, secondo il report e secondo un volontario di Economia Sociale e Solidale in Solidarity for All, si aggira attorno alle 300-400 cooperative. Tra queste la nota fabbrica autogestita dai lavoratori VIOME, un’impresa recuperata che ha resistito a frequenti tentativi da parte delle autorità di liquidarla e svenderne i beni.

Inoltre sono in espansione le reti e le strutture di solidarietà verso i migranti, anche per via dell’ingente flusso migratorio e di rifugiati. Queste strutture hanno ricevuto una crescente attenzione da parte dei maggiori organi di stampa, ed è stata fatta notare l’inclusione attiva dei migranti e dei rifugiati nei processi decisionali e negli apparati di tali organizzazioni.

In questa intervista con Christos Giovanopoulos è fornita una maggiore contestualizzazione e maggiori dettagli riguardo questa serie di eventi. Giovanopoulos non pretende di parlare a nome di Solidarity for All o per l'intero movimento, ma come attore impegnato nelle attività di base. Giovanopoulos ci fornisce una visione strategica e una filosofia volte non solo a rispondere al discorso neoliberista, ma a costruire un’alternativa ad esso.

1. Come è iniziato il movimento di solidarietà in Grecia?

Il movimento di solidarietà dal basso in Grecia è il frutto del movimento di occupazione delle piazza dell’estate del 2011. Il movimento di occupazione delle piazze ha avuto un effetto di trasformazione in Grecia dal momento che ha reso popolari l’idea e la pratica dell’autorganizzazione e della democrazia diretta. Tutto ciò era di fatto una novità per la grande maggioranza dei partecipanti. Diverse migliaia di persone sono venute a contatto con esperienze anticapitaliste dal basso e forme di organizzazione alternative alla logica neoliberista. Secondo un sondaggio condotto da Kathimerini, il maggiore quotidiano di destra, il 28% della popolazione greca (circa tre milioni di persone) ha partecipato in qualche modo al movimento. Da questo dato ci si può immaginare il livello di contaminazione reciproca che è avvenuto in quel periodo di intensa battaglia politica e innovazione sociale.

La radicalizzazione popolare e la resistenza politica allo “stato di eccezione” dettato dalla Troika e al sistema politico greco, hanno preso la forma concreta di un movimento di solidarietà dal basso. Questo processo è iniziato dopo che il parlamento greco ha accettato il programma di salvataggio a medio termine (2011/16), verso la fine di giugno del 2011. Il movimento popolare ha risposto tentando di bloccarne la messa in atto. Ci sono stati scioperi e occupazioni di palazzi di governo, soprattutto nel settore pubblico, ma cosa più importante è che c’è stata una campagna per il "non pagamento" contro la nuova tassa sulla casa. La tassa era inclusa nelle bollette dell’elettricità. Il rifiuto di pagare significava rischiare di vedersi staccare la corrente. L’ultima assemblea popolare di Piazza Syntagma (fine settembre) ha lanciato la campagna “non pago”. L’assemblea ha affermato “non lasceremo nessuno da solo contro la crisi”. Questo è diventato il manifesto del movimento di solidarietà. La campagna è stata costruita su di una varietà di tattiche, dagli appelli contro il governo alla corte suprema, fino ai riallacci (illegali) della rete elettrica. Nel tardo ottobre si era diffusa in tutto il Paese, essenzialmente includendo diversi attori: da sindaci di sinistra e progressisti, sindacalisti e avvocati, a dozzine di assemblee e comitati di quartiere, che decidevano collettivamente di non pagare.

Questo movimento ha rappresentato un ponte tra l’occupazione delle piazze e la comparsa delle strutture solidali autorganizzate. La rivendicazione di non pagare il debito si è mescolata nell’atto tangibile del “non pagare” la tassa extra sulla casa. Nei mesi successivi le proteste militanti e di massa del 28 ottobre 2011 – la giornata nazionale dell’OXI (NO) ai fascisti nel 1940, che oggi acquista un nuovo significato – hanno fatto cadere il governo Papandreou. Il 12 febbraio 2012 hanno anche buttato giù il governo tecnocratico di coalizione di Papadimou. Nel frattempo era emersa un'intera rete di strutture di solidarietà e iniziative di economie alternative: cliniche solidali, scuole gratuite solidali, monete alternative, gruppi di baratto, cooperative autogestite e reti di distribuzione di beni di prima necessità senza intermediari.

2. Qual è il ruolo e l’obiettivo delle strutture solidali? Sono semplicemente una risposta all’austerità? O qualcosa di più?

La tua domanda tocca alcune questioni fondamentali. C’è un certo tipo di approccio che legge la crisi attuale da un punto di vista prevalentemente economico. Questa lettura oscura però altri aspetti della crisi, focalizzandosi solamente sul discorso (anti-)austerità. Questa visione, a mio parere, fallisce nel rompere con il concetto neoliberista (e la sua agenda dominante) di politica, che significa la riduzione di quest’ultima alla pura logica economica. La mia critica non implica la “necessità di abbandonare” il materialismo, la lotta di classe o il marxismo come strumenti analitici e pratici. Al contrario rifiuta di ridurli a rivendicazioni o questioni meramente economiche (incluso il dibattito sulla moneta). Questo significa rifiutare le rivendicazioni più difensive che non implicano tentativi di creare le condizioni materiali per costruire potere (o poteri) che possano permettere a movimenti o persone di applicare le loro proprie politiche e produrre cambiamenti.
Un discorso anti-austerità di questo tipo di solito considera il movimento di solidarietà dal basso solo come una risposta al collasso del welfare state, non vedendo il differente modo di fare politica e resistenza praticato dal movimento di solidarietà. Alcuni lo vedono come manifestazione di una “società civile” (o settore ONG) attiva e compassionevole, che ha bisogno di espandersi, mentre altri – che provengono dalla “sinistra moderna tradizionale” – lo considerano un sostituto (e quindi una minaccia) al ruolo che dovrebbe essere ricoperto dai servizi pubblici offerti dallo Stato.

Il movimento di solidarietà va oltre queste posizioni. Innanzitutto la pratica delle strutture di solidarietà ha la potenzialità di condensare la partecipazione attiva popolare – come risposta ai bisogni immediati di una popolazione minacciata da una crisi umanitaria – mentre rende possibile a quella stessa popolazione una capacità di ripresa per rialzarsi e continuare a resistere. Oltre a dare un sostegno a coloro che soffrono, ha l’obiettivo di coinvolgerli nelle lotta per cambiare sia delle abitudini profondamente radicate all'interno di “incarichi” politici, che le condizioni che causano la propria povertà. Perciò sviluppa spazi e pratiche che possono formare un nuovo paradigma. In particolare un paradigma di “istituzioni” gestite dal popolo.

Questo implica ruoli e pratiche differenti dal dare mero sostegno a una società in difficoltà. Questo modus operandi – basato su assemblee e autorganizzazione – può favorire la nascita di nuovi modelli di relazioni sociali, spingendo contro la disintegrazione del tessuto sociale. Inoltre le pratiche delle strutture di solidarietà sviluppano un terreno favorevole per rompere la divisione tra “beneficiari” e “benefattori”. In questo senso la pratica della medicina da parte di un medico in una clinica solidale è differente dalla pratica della medicina dello stesso medico in una clinica professionale. Il contesto politico all’interno di cui è emerso questo movimento ha legato bisogni, desideri ed emozioni con la volontà di resistere e cambiare le cose attivandosi e creando. È esattamente il punto dove l'ingiusto sistema dominante è venuto meno. Ed è questo il potenziale di trasformazione del movimento di solidarietà dal basso, che è attivo ben oltre i limiti dell’essere una mera rete di strutture di sostegno. Questo è il punto in cui differisce dalle organizzazioni di beneficenza, dalle ONG, e dalla cosiddetta “società civile”, che solitamente reclamano il loro ruolo apolitico o non-governativo (presumibilmente indipendente). In realtà sono strumentali al modello sociale neoliberista, dove la “società civile” – chiamata anche “grande società” (Regno Unito) o “società partecipativa” (Paesi Bassi) – di fatto sostituisce il welfare state. Al contrario, il movimento di solidarietà non nasconde il proprio lato politico e ciò a cui mira, compreso l'obiettivo di produrre un cambiamento sociale e politico e creare le condizioni materiali che permettano l’emergere di un diverso paradigma democratico, al fine di riorganizzare il sistema clientelare esistente (compreso il welfare). Quindi la sua differenza dalla cultura politica della “sinistra moderna tradizionale” non è tanto negli obiettivi a lungo termine, quanto piuttosto nel fatto che va oltre la sola pratica del rivendicare e votare. Difende i diritti sociali in una maniera davvero tangibile, tentando di sviluppare strumenti e stando dalla parte delle persone e dei loro bisogni. Questo significa favorire relazioni sociali durature al fine di mostrare che c’è un’alternativa basata su un insieme diverso di principi, idee (come ad esempio uguaglianza, diritti universali) e modelli di organizzazione della società.

Questa pratica politica diventa sempre più importante in condizioni di emergenza, devastazione e crisi di riproduzione sociale, prodotte dal regime di “stato di eccezione” e dall’agenda neoliberista ancora attiva in Grecia. Inoltre modifica il concetto di politica (e politiche sociali), evidenziando l’importanza della partecipazione popolare e (e per) un ruolo differente dello stato. Per uno stato che non si sostituisca alle azioni sociali attraverso le sue strutture rappresentative (politiche o tecnocratiche), ma che sia una garanzia legislativa di ciò che la società può autogestire. Da un punto di vista sociale trovo tutto questo tonificante ed emancipatorio. È un processo che evidenzia l’importanza di costruire capacità materiali. Affinché un qualsiasi tipo di emancipazione politica e (ed esercizio di potere per il) cambiamento abbia successo, non deve limitarsi a un referente sociale retorico e astratto. L’emancipazione politica e il cambiamento devono anche essere orientati verso la reale partecipazione popolare e l’autosuggestione sociale. In altre parole, una concezione della politica che permetta e sviluppi processi democratici e responsabilità di potere in ogni aspetto dell’azione economica e sociale, come prerequisito per costruire dinamiche e infrastrutture sociali che consentano non solo di prendere il potere, ma che rendano le persone in grado di avere il potere di esercitare la propria volontà. Detto ciò, devo precisare che questa lotta non esclude la necessità di prendere il potere. Piuttosto evidenzia qualcosa di ovvio per tutti dopo il tragico rovesciamento del plebiscito del NO (OXI) della scorsa estate: che non puoi avere potere politico senza avere fissato delle basi di organizzazione sociale, potere popolare e reti economiche alternative indipendenti dallo stato.

Sfortunatamente questo potenziale di trasformazione proprio del movimento di solidarietà dal basso è stato schiacciata dal combattere le “grandi battaglie” su un livello prettamente rappresentativo (nel senso letterale del termine). In altre parole, sono state combattute come mere rappresentazioni simboliche delle “battaglie reali”, come simulacri, in termini Baudrillardiani. E all’origine di questo c'è la visione di politica, e di dove stia il potere politico, della sinistra (e non mi riferisco solo a SYRIZA).

Perciò se da un lato il campo all’interno del quale il movimento di solidarietà opera è stato definito, di fatto, dallo smantellamento del welfare state, dall’altro il suo radicamento nelle lotte politiche contro il regime della Troika è stato fondamentale per la formazione e le pratiche del movimento. Questo avviene sotto forma di lotta per la democrazia e per la sovranità popolare. Un imperativo politico che ha funzionato come collante immaginoso tra tentativi eterogenei che si sono solidificati in un fronte comune allargato. Ciò ha permesso l’incontro tra la politica di ogni giorno e la lotta per conquistare il potere politico, anche se questa è stata espressa attraverso SYRIZA. Tuttavia, ha sperimentato processi collettivi e forme decentralizzate, aperte e partecipative di infrastrutture democratiche dal basso di resistenza (oggi) e potere (in futuro).

In breve, penso che il movimento di solidarietà sia stato più che una mera risposta all’austerità.

3. Ci sono stati in passato sperimentazioni e tentativi di costruire strutture di solidarietà in Grecia? Per esempio, qual è l’eredità delle cooperative in Grecia? Se la risposta è sì, puoi dire brevemente qualcosa riguardo questi elementi? E in che modo il movimento attuale è diverso da queste esperienze passate?

Ci sono stati diversi momenti nella storia greca in cui sono apparsi cooperative sociali e movimenti di solidarietà. Vanno dalla storia delle battaglie per l’indipendenza nazionale al movimento comunista in Grecia. È indicativa a tal proposito la risposta di Makis, della fabbrica recuperata e autogestita dai lavoratori VIOME, a un giovane attivista tedesco in un incontro di solidarietà a Berlino. A Makis era stato chiesto se la VIOME si fosse ispirata alla ZANON, in Argentina. Makis rispose che l’unico esempio cooperativo che loro conoscevano era quello di Ampelakia, nella Grecia del tardo 18esimo secolo. Ampelakia è stata canonizzata nella narrativa nazionale greca come la forma organizzativa delle comunità greche sotto la dominazione dell’Impero Ottomano. Questa forma di organizzazione ha forgiato le fondamenta del moderno stato-nazione greco. Successivamente Makis ha proseguito raccontando di come hanno scoperto con entusiasmo la ZANON, sentendo che le due esperienze erano in risonanza.

Io penso che la più grande eredità che esista siano il ricordo ancora presente, e le pratiche, di una cultura greca fortemente basata sull’idea di comunità. Questi elementi sono stati tramandati di generazione in generazione, includendo anche la memoria della produzione collettiva comunitaria (o almeno, la ri-produzione), soprattutto in campagna. Questo background è stato sottovalutato nei dibattiti politici principali, inclusi quelli dei movimenti politici radicali. Eppure tiene insieme alcuni dei riferimenti principali per le persone comuni e lo sviluppo dei movimenti attuali, specialmente tra i “meno politicizzati”.

Riguardo le esperienze organizzate del passato, la più conosciuta è sicuramente il movimento delle cooperative di contadini. Questo movimento apparve nella fase post-dittatoriale ed è finito per degenerare, diventando parte integrale dell’apparato di stato del PASOK e perciò sinonimo di clientelismo, corruzione e inefficienza. È un peccato che questa recente esperienza abbia portato cattiva fama al cooperativismo.

Un’esperienza positiva seppur marginale e di breve durata è stata quella delle cooperative di lavoratori verso la tarda metà degli anni ’70, che hanno fatto parte delle lotte di una giovane e radicale generazione di lavoratori. Tuttavia verso la fine della decade questi tentativi andarono declinando e passarono inosservati. A questi esempi potremmo anche aggiungere le cooperative di donne sovvenzionate da stato e UE, specialmente in campagna, come sbocchi per prodotti locali e domestici. Più una sorta di imprese sociali che di cooperative autogestite.

Questa eredità non implica una continuità con le attuali cooperative autogestite. La differenza più considerevole di questa nuova ondata è l’importanza che si dà ai processi decisionali orizzontali, all’autogestione economica e alla paga uguale per tutti. Ciò è dovuto ai moventi ideologici e politici delle prime cooperative, appena precedenti la crisi, come forme di solidarietà al movimento zapatista. Il loro obiettivo era sperimentare un modello di lavoro differente e lo scambio solidale come tentativo di creare e sviluppare modelli collettivi di economia. L’avvento della crisi ha aggiunto l’obiettivo di soddisfare il bisogno di lavoro e reddito.

Ma non tutte le nuove cooperative appartengono a questo modello, dal momento che l’idea di cooperativa si diffonde rapidamente all’interno dello sviluppo del cosiddetto terzo settore (incluse start-up, imprese sociali, ecc.). La legislazione vigente (ma che sta cambiando) riguardo le cooperative era stata disegnata come espediente per esternalizzare servizi del settore pubblico, specialmente da enti locali verso cooperative fondate da ex-dipendenti degli enti locali. Molti hanno visto questo processo (e quindi le cooperative) come un cavallo di Troia per la privatizzazione di servizi sociali vitali per la comunità (come biblioteche, asili nido, case di riposo, ecc.). Perciò il campo delle cooperative è anche oggetto di controversia, su cui il movimento delle cooperative autogestite si sta battendo per definirne il terreno. Questa battaglia è di cruciale importanza. Può determinare il modello economico e istituzionale del movimento delle cooperative verso una forma di socializzazione (con un potenziale di trasformazione economica) piuttosto che una forma (“socio-”)imprenditoriale, in un paese dove 1 persona su 4 non ha un lavoro e più del 50% dei giovani è disoccupato.

Le cooperative, tuttavia, sono solo una parte del movimento di solidarietà, con il quale compongono l’ecosistema dell’economia solidale. Non è una coincidenza che uno dei focolai del movimento di solidarietà, nell’inverno 2011/12, sia stato la gigantesca ondata di solidarietà tra i lavoratori delle acciaierie della compagnia Elliniki Chalivourgia: occuparono la propria fabbrica al fine di far ritirare i licenziamenti di dozzine di colleghi. O, in maniera analoga, il movimento di solidarietà con la fabbrica autogestita VIOME, che ha preso forma attiva nella distribuzione di saponi prodotti nella fabbrica recuperata.

Tuttavia, come dicevo prima, la sinistra e il movimento radicale hanno esitato quando sono emerse le strutture di solidarietà dal basso. La nascita del movimento di solidarietà guidato dai comunisti durante la guerra (con due gruppi: Workers Solidarity e Social Solidarity), ma soprattutto durante la resistenza partigiana contro i nazisti con National Solidarity, ha giocato un ruolo importante nella vittoria della resistenza. Questa eredità ha aiutato a legittimare l’attuale movimento di solidarietà. Questi movimenti storici, rimasti marginali nei racconti della resistenza, adesso riemergono sotto la luce delle esperienze attuali, rinfrescando la memoria, ma anche le concezioni di variegate maniere di organizzazione popolare e resistenza.

4. Quali sono le maggiori sfide per il movimento di solidarietà in Grecia? Per esempio, quali sono alcuni degli ostacoli per creare più strutture di solidarietà (come cliniche, cooperative, ecc.)? E quali problemi si trovano ad affrontare le strutture di solidarietà attualmente esistenti?

L’ulteriore crescita del movimento di solidarietà e delle cooperative non può essere ridotta a una mera questione logistica, ma deve piuttosto essere vista su due livelli. Primo, in relazione alle loro necessità immediate per il mantenimento della possibilità di andare incontro al bisogni crescenti di una società messa continuamente a dura prova o, nel caso delle cooperative, per essere economicamente sostenibili. Secondo, in relazione alla loro potenzialità politica come focolai di un paradigma differente di organizzazione sociale e partecipazione popolare. A mio avviso il secondo livello rappresenta la sfida più grande e più difficile e anche l’aspetto più critico del movimento di solidarietà, se vuole mantenere una certa vitalità. Tuttavia, il primo è il più pressante con le politiche di esclusione che sono portate avanti.

Dal 2014 il modello di crescita del movimento di solidarietà è entrato in una nuova fase. È diversa da quella del periodo 2012/13, quando le strutture di solidarietà spuntavano come funghi in ogni parte del Paese, abbracciando una serie di aspetti e bisogni della vita di ogni giorno (cibo, salute, economia contadina e solidale, formazione, cultura, supporto legale, diritto alla casa, solidarietà ai rifugiati, ecc.). Nonostante la frenata nella nascita di nuove strutture di solidarietà, il crescente numero di persone colpite dai memorandum ha spinto più gente a partecipare alle strutture di solidarietà esistenti. Ciò ha significato (a) il crescente e imminente bisogno di maggiori risorse, nel momento in cui le strutture di solidarietà spesso riescono a fare più di quello che le loro capacità potrebbero permettere, e (b) il moltiplicarsi delle attività delle strutture di solidarietà anche oltre il proprio campo iniziale. Quindi ad esempio le cliniche solidali sviluppano anche progetti di supporto alimentare, o le strutture di solidarietà alimentare provano a sviluppare la produzione cooperativa in modo da andare incontro ai propri bisogni e creare anche posti di lavoro.

In questo contesto la sfida maggiore per il movimento è come affrontare la questione delle risorse, al fine di fare i conti con la crescita esponenziale di bisogni, senza sacrificare le proprie caratteristiche politiche. Se lasciamo che queste pratiche di mutualismo e coinvolgimento tramontino, il risultato sarà una pratica limitata al mero fornire servizi sociali – una funzione non molto diversa da quella delle ONG o del settore del volontariato. La grandezza di questo movimento è che ha l’obiettivo di sviluppare le capacità delle persone stesse, attraverso una cultura di autorganizzazione e di resistenza, e non solo di sopravvivere e tirare avanti. Tuttavia, quest'ultimo aspetto assume un’importanza primaria in condizioni di violenta esclusione, proletarizzazione e crisi di riproduzione sociale, in quanto rappresenta un mezzo per mantenere la forza fisica e mentale delle persone e la loro capacità di resistere. Comunque, se le pratiche di un movimento non favoriscono un’impostazione mentale, delle relazioni e degli strumenti differenti, lontani dal modello “benefattore-beneficiario”, il suo scopo rischia di ridursi al contrastare gli aspetti più estremi della crisi umanitaria, invece di contribuire in maniera strutturale a costruire il potenziale per la sua fine.

Perciò, nonostante la pressante e sempre presente sfida delle risorse, la prova più significativa per il movimento di solidarietà è mantenere il suo ruolo di energizzante politico e incubatore di trasformazione sociale. La nostra capacità di affrontarla deciderà il carattere futuro delle strutture di solidarietà come spazi di autorganizzazione sociale e partecipazione popolare. L’atmosfera politica in Grecia dopo gli scioccanti avvenimenti della scorsa estate, che hanno colpito il desiderio delle persone di mobilitarsi – dal momento che gli obiettivi (politici) del periodo precedente (ricordate l’OXI - NO) sono evaporati – rende questa sfida ancora più cruciale per il movimento di solidarietà.

Riguardo i lati positivi, la risposta del popolo greco alla “crisi dei rifugiati” rappresenta il più recente segno della capacità di ripresa e delle ancora disponibili risorse psicologiche, anche in tempi di frustrazione politica e battute di arresto. Oltretutto le azioni di solidarietà con i rifugiati in alcuni casi hanno indotto alla creazione di nuove strutture di solidarietà permanenti, che rispondono ai bisogni sia dei rifugiati che delle comunità locali. Un’indicazione ulteriore del fatto che le persone trovano la forza di mobilitarsi quando qualcosa li motiva profondamente, quando sentono che possono contribuire a, e diventare attori di, qualcosa di più grande del mero sopravvivere.

Riguardo la crescita delle cooperative, come detto prima, è legata agli sforzi delle persone per uscire dallo stato di disoccupazione e dalla mancanza di reddito, mentre il loro sviluppo inciampa su un contesto istituzionale ostile ed inadeguato. Il problema principale è la scarsità di opzioni di finanziamento, specialmente per far partire una cooperativa, dal momento che queste sono escluse dalle politiche statali di incentivi per la creazione di nuove imprese (a beneficio delle imprenditoria privata). Inoltre alcune professioni (ad es. avvocato, ingegnere civile) non si possono praticare in un contesto di cooperativa. Questo ha spinto molti a creare cooperative a basso livello di investimento nel settore dei servizi (caffè, taverne, assistenza tecnologica, alimentari). C’è anche la mancanza di qualsiasi provvedimento a fini sociali, o di socializzazione, di unità di produzione in disuso o abbandonate, sia nel settore privato che pubblico. Per esempio nel caso delle sedi delle vecchie cooperative di contadini, che ora rimangono inutilizzate e cadenti. Per questi motivi abbiamo avviato un processo di fondazione di un forum dell’economia cooperativa e solidale. Si tratterebbe di una realtà collettiva con l’obiettivo di facilitare (a) punti di informazione e supporto legale per chiunque voglia far partire una cooperativa, (b) sviluppo di strumenti e formazione, secondo bisogni e obiettivi – economici o politici – delle cooperative autogestite, (c) smuovere, intervenire e promuovere un’immagine positiva del concetto di autogestione dei lavoratori e dei cambiamenti nel suo contesto legislativo.

5. Qual è la relazione delle varie strutture di solidarietà con la più larga area della sinistra greca? Ci sono delle specifiche politiche statali che possano aiutare fortemente o aprire la strada per un rafforzamento del movimento di solidarietà greco?

Ci sono delle azioni che lo stato potrebbe intraprendere, non direttamente per il movimento di solidarietà, ma per coloro che sono colpiti dai memorandum, ma ahimè sono destinati a rimanere gesti più che “grandi aiuti”. Indicativo in tal senso è l’esempio del “programma parallelo” del governo. Doveva essere discusso appena prima di Natale ma il governo lo ha ritirato meno di 24 ore dopo averlo annunciato, sotto la pressione dei creditori e per sbloccare la rata di 1 miliardo di euro del piano di salvataggio. Il programma, che conteneva prestazioni sanitarie per persone senza assicurazione da parte di unità facenti parte del sistema pubblico di sanità, è tornato ed è stato approvato la scorsa settimana in parlamento, ma in forma ridotta. Questo dimostra come ci sia un margine di manovra davvero piccolo sotto il regime di supervisione dei creditori. Nel contesto del terzo memorandum tutto va approvato, o tollerato, dai mediatori del Quartetto (la ex Troika). Finché la priorità del governo, come esso stesso ha dichiarato, sarà l’implementazione dei cambiamenti strutturali dettati dagli accordi del piano di salvataggio, questo determinerà ciò che può o non può essere realmente messo in atto.

Nell’ambito dell’economia cooperativa, per esempio, sta venendo preparata una nuova legislazione. Tuttavia una cosa è leggerla in rapporto alla problematica legislazione attualmente esistente, un’altra cosa è leggerla in relazione alle politiche di regolazione economica. Queste ultime – che comprendono privatizzazioni, “liberalizzazioni” del mercato, ecc. – in realtà diminuiscono drasticamente le capacità produttive e la statura economica del paese, di fatto minando la sua capacità di sovranità politica ed economica. Rispetto a questo, mentre l’economia cooperativa e sociale può essere uno strumento per promuovere un modello di produzione socializzata, le sovrastanti condizioni economiche tirano drasticamente in direzione opposta, minando questa potenzialità. Non è una coincidenza che, dal punto di vista del governo (e della UE), l’economia cooperativa sia considerata uno dei modi per contrastare l’enorme e duratura disoccupazione: è un modo per accrescere le forme alternative di imprenditorialità sociale, invece che essere un modello per costruire un paradigma economico fuori dai confini della divisione del lavoro dominante a livello internazionale.

Nello stesso segno, si possono capire meglio i progetti del governo riguardo la crisi umanitaria. La scarsità di finanziamenti e gli impegni presi per il piano di salvataggio permettono l’allocazione solo di un certo ammontare di fondi nei “buoni di solidarietà”. Si sta tentando, infatti, una razionalizzazione nell’uso dei fondi esistenti, al fine di ridurre lo sfruttamento dei bisogni umani da parte dei vari speculatori. Tuttavia, questi programmi sono sproporzionati rispetto alle necessità e a i numeri di coloro che scivolano in uno stato di povertà per via della corrente regolazione finanziaria e delle politiche di austerità (con ulteriori tagli alle pensioni in arrivo). In questo contesto non penso che lo stato possa fare molto.

Dopotutto il ruolo delle strutture di solidarietà non si può ridurre al soddisfacimento dei bisogni sociali prodotti dagli accordi del piano di salvataggio, indipendentemente da chi li somministri. Un principio fondamentale del movimento di solidarietà è che non vuole sostituirsi al welfare state. Il suo ruolo è piuttosto quello di creare condizioni e paradigmi che permettano l’indebolimento strutturale dei piani di salvataggio e quindi diventare una forza del cambiamento fuori dai vincoli neoliberisti. In altri termini, il suo scopo non dovrebbe essere salvare il mondo, ma cambiarlo. Su questo orizzonte politico può costruire sinergie con vari attori, incluso lo stato. Tuttavia, quando lo stato decide altrimenti, dando la priorità all’implementazione del piano di salvataggio e delle politiche di regolazione dei conti, qualunque cooperazione, seppure abbia come obiettivo bisogni sociali emergenti, diventa parte di un’agenda differente. Per esempio se le cliniche solidali sono considerate dal governo come un mezzo per ridurre il proprio dovere di fornire un servizio sanitario universale, questo produce un contesto che potrebbe trasformarle in un rimpiazzo di ciò che il governo non può portare a termine. Quindi sta al movimento di solidarietà decidere che tipo di relazioni possa avere con queste politiche e istituzioni. In ogni caso lo stato non può sostituire la funzione delle struttura di solidarietà come luoghi di autorganizzazione sociale. Quindi, se anche il sistema sanitario universale fosse ripristinato, il ruolo specifico delle cliniche solidali come esempio differente di centri di base per la salute autogestiti e attivatori di politiche centrate sulla salute delle persone, verrà ancora più alla ribalta.

Riguardo alla relazione con l’area larga della sinistra, voglio ripetere che il movimento di solidarietà è iniziato e ancora può essere un movimento ed evento trasversale, tra e oltre le differenti aree della sinistra. La sua relazione con la sinistra (e il movimento antagonista) è complicata e travagliata, e non lineare e pacifica, come molti hanno sostenuto. La congiunzione fortuita della sinistra politica con il movimento dal basso delle persone, e della politica quotidiana con la battaglia per il potere politico, è un fenomeno che non si presenta spesso. È un mix socio-politico che ha rivelato il nostro potenziale. Mette anche a verifica molti dei limiti e delle percezioni dominanti della sinistra politica, più nello specifico la sua capacità di cooperare con, e dare spazio a, i desideri e le forme di azione degli “oi polloi” (i tanti). Il divario tra il discorso dei “politicos” e la gente comune è stato uno dei tratti caratteristici di questi anni.

La colonna vertebrale di questo movimento consiste nella sinistra sociale e nei molti che hanno ricevuto il proprio battesimo politico nelle lotte anti-memorandum. Questo incontro con la sinistra politica era inevitabile fino a quando è esistito l’obiettivo comune di contrastare le cause della devastazione sociale. Quando gli interessi del conflitto politico sono aumentati e le rotture del sistema politico sono cresciute, questo malcontento popolare ha trovato un punto di incontro con l’alternativa che SYRIZA rappresentava in quel momento. Questo è stato (ed è) un processo e una relazione sotto costante negoziazione. Che favorisce forme ibride, dal momento che ha a che fare con tensioni (a volte creative) tra vecchie abitudini e concetti di politica stabiliti (e, lasciatemi dire, ormai datati), e una cultura politica emergente, costitutiva delle nuove pratiche. Non mi sto riferendo solo alla relazione tra partiti e movimenti sociali, ma tra ciò che io chiamo “specialisti della resistenza” (gruppi politici, sindacati, movimenti sociali) e le soggettività politiche e i vocabolari emergenti di una maggioranza popolare. Allo stesso tempo la questione del collaborare con le istituzioni – enti locali o centrali gestiti dalla sinistra radicale (non solo SYRIZA) – è stato un test critico per il movimento di solidarietà. Il movimento di base e la lotta contro coloro che detengono il potere, o per ottenere il potere (espressa attraverso SYRIZA, ma anche nella forma differente dell’OXI al referendum) ha seguito strade parallele, incroci e (a volte considerevoli) sovrapposizioni. Ma sarebbe un errore considerarli cosa unica o considerarli due realtà completamente separate e autonome.

Su due binari, il movimento di solidarietà radica la lotta per il potere politico nelle battaglie quotidiane per i bisogni della gente, e nello stesso tempo evidenzia la centralità della lotta per rimuovere coloro che sono al potere, al fine di aprire una strada per possibili alternative. Questa esperienza suggerisce un punto di vista differente che va oltre la distinzione “movimenti sociali” vs “rappresentazione politica”. Disegna una linea differente: tra coloro che intendono la politica come critica ideologica e coloro che la intendono come tentativo di creare le condizioni materiali per “rendere possibile l’impossibile”, come dice Marta Harnecker.

Il potenziale di questo movimento come moltiplicatore di possibilità e capacità è stato sottovalutato, se non ignorato. La sinistra politica lo ha visto solo come un ulteriore “movimento sociale”, per via delle propria idea di cambiamento da effettuarsi attraverso il potere politico. Questo movimento ha dettato una domanda, o piuttosto un compito, differente rispetto a “prendere o non prendere il potere” (per cambiare il mondo). Attraverso la costruzione di strutture sociali autorganizzate delinea processi di “creazione del potere” che rendono possibile anche il cambiamento qualora si acquisisca il potere statale. Se c’è una ragione per schierarsi a favore del suo potere di trasformazione è esattamente la sua potenzialità, come network di (infr-)strutture e come generatore di politiche disegnate in base alle proprie pratiche attraverso l’intensificazione di processi democratici e di partecipazione popolare.

Perciò parliamo di una possibile sfera pubblica dal basso, capace di produrre sia politiche alternative sia il potere di esercitarle (o lottare per queste). Questa non è una “proiezione ottimistica” ma una affermazione sul suo potenziale strategico. Se questo movimento fosse stato considerato nel suo pieno potenziale avrebbe potuto agire come contrappeso ai ricatti dei creditori. Sarebbe potuto essere un mezzo per solidificare la volontà politica e la prospettiva delle persone. Avrebbe potuto anche fornire il suo supporto materiale se SYRIZA, come opposizione e poi come governo, lo avesse preso sul serio dal 2012. Anche nel caso di essere forzati a un accordo, avrebbe potuto fornire a SYRIZA un margine può ampio di negoziazione e trattativa. Avrebbe potuto, e può tuttora, favorire il potenziale per un piano alternativo reale e pragmatico. Un piano alternativo che vada oltre l’impasse del dilemma tra firmare nel nome di un presunto realismo di tipo TINA (“there is no alternative”, non c’è alternativa) e un grexit forzato dai creditori.

Christos Giovanopoulos è un membro fondatore di Solidarity for All e membro dell’iniziativa per un Centro di Economia, Empowerment e Innovazione Sociale (Hub of Social Economy, Empowerment and Innovation). È anche il curatore di Democrazia in Costruzione: dalle strade alle piazze (Democracy under contruction: from the Streets to the Squares), A/synechia, Dicembre 2011, Atene.
Traduzione dall'inglese di Marta Autore dal sito: http://www.counterpunch.org/2016/03/11/building-alternative-institutions...