Verso il CommuniaFest - Se non risponde anche ai bisogni sociali la politica è muta

Thu, 14/09/2017 - 12:01
di
Gigi Malabarba

Dal 22 al 24 settembre, si svolgerà il CommuniaFest, l'appuntamento nazionale del Communia Network che quest'anno sarà in forma interamente seminariale all'interno della Fabbrica recuperata Rimaflow di Trezzano sul Naviglio (Mi), principale esperienza dal cui impulso è nata la nostra rete nazionale e poi anche l'esperienza di Fuorimercato.
Di seguito pubblichiamo questo contributo di Gigi Malabarba, che di RiMaflow è tra i principali attivisti, sui temi che saranno al centro delle plenarie e dei workshop dei tre giorni.

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Ernest Mandel è tra coloro che con maggiore lucidità ha sviluppato una riflessione sui processi di autorganizzazione di massa dei proletari dalla Comune di Parigi fino ai momenti più alti di lotta pre-rivoluzionaria e rivoluzionaria del secolo scorso, e ha individuato nei consigli – consigli operai, dei contadini, dei soldati e più in generale di settori oppressi della società – l’elemento più significativo dell’autorganizzazione. Pur con nomi diversi, la forma dell’assemblea di base che esprime direttamente propri/e rappresentanti in un consiglio di delegati/e eletti/e e revocabili (democrazia diretta) è l’elemento più diffuso, che ricorre in epoche diverse e nelle più diverse latitudini e contesti sociali: dai Soviet del 1905 e 1917 in Russia alla Catalogna del 1936-37 durante la rivoluzione spagnola, dall’esperienza contraddittoria dell’autogestione yugoslava ai consigli a Berlino, a Budapest o in Polonia, dal maggio 1968 in Francia all’autunno caldo del 1969 in Italia fino alla prima metà degli anni 70 (in cui rinascono i Consigli di fabbrica che vanno ben oltre la funzione sindacale); dal Cile del 1973 al Portogallo del ’74 fino al Chiapas degli ultimi 20 anni.
Secondo Mandel, organizzandosi in maniera collettiva e democratica questi consigli creano una nuova legittimità sviluppandosi dal basso e seminando il germe di una organizzazione della società umana fondata su basi diverse da quella capitalistica. Nella lotta contro il capitale creano nuove istituzioni rappresentative di settori di massa in lotta, che costituiscono la condizione migliore per organizzare la più ampia partecipazione e mobilitazione sociale (a questo proposito un riferimento importante è l’elaborazione di Rosa Luxemburg sullo ‘sciopero generale’).
Sono queste istituzioni democratiche dal basso il motore del processo rivoluzionario e il vero organo di potere popolare da contrappone al potere capitalistico per sostituirlo nella gestione della società. Non è "il partito" che prende il potere, ma le masse attraverso gli organi di potere popolare, i soviet o i consigli. Quando le posizioni dei rivoluzionari diventano maggioritarie in questi organismi si pone la sfida per il potere. Non è una questione di lana caprina. Il consiglio è autorevole e rappresentativo della lotta anche perchè è pluralista, avendo al suo interno tutte le componenti popolari che ne riconoscono il ruolo. E sono queste istituzioni che possono divenire in grado di gestire la società nel suo insieme e soprattutto l’economia in modo radicalmente alternativo nell’interesse della maggioranza della popolazione.

L’impostazione, a cui fa riferimento anche Mandel, dei due eserciti di classe che si scontrano ha avuto la sua forza non solo simbolica, grazie alla crescita formidabile del proletariato industriale nel mondo e in particolare nelle metropoli imperialiste per oltre un secolo. Oggi la frammentazione della grande impresa, la dispersione dei soggetti sfruttati, la flessibilizzazione della forza lavoro e la destrutturazione dei contratti collettivi e del sistema giuridico del lavoro e lo smantellamento progressivo del welfare state da parte delle politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni pongono nuovi e più complessi problemi a chi vuole trasformare il mondo. E' messa a dura prova l’esistenza stessa dei tradizionali strumenti del movimento operaio, a partire in primo luogo dai sindacati, lo strumento primordiale di fronte unico, di solidarietà e di difesa del lavoro contro il capitale, e anche la prima scuola di comunismo, per dirla con Lenin.
Se una corrente politica rivoluzionaria nel Novecento poteva contendere l'egemonia alle aree riformiste nei sindacati e nelle organizzazioni di massa, oggi in assenza di questi strumenti o con il loro sostanziale snaturamento in molte realtà, la necessità è quella di ricostruire una risposta ai bisogni immediati di tutti i settori sfruttati, perchè senza trali strumenti semplicemente non c’è lo sviluppo della lotta di classe.
Che fare? Alla disgregazione della classe si può rispondere con gli strumenti del mutuo soccorso, come fu agli albori del movimento operaio alla fine dell’Ottocento, quando ancora non si era sviluppata l’articolazione tra partiti, sindacati, case del popolo, cooperative. Un mutualismo fatto di forme organizzate di solidarietà e di forme economiche in particolare di tipo cooperativistico che, tuttavia, non debbono illudersi di potersi ritagliare uno spazio di tranquilla sopravvivenza nel sistema capitalistico. Rosa Luxemburg del resto ha ben chiarito questo concetto nella dura polemica all’interno della socialdemocrazia tedesca. Il mutualismo ha senso solo come ulteriore forma di resistenza e di lotta contro il capitalismo; anzi, a volte come precondizione per condurre una lotta contro il capitalismo.

Con l’esempio della RiMaflow di Trezzano sul Naviglio – una fabbrica occupata da oltre 4 anni e rimessa in funzione dai propri lavoratori e dalle proprie lavoratrici in autogestione, in base alle esperienze già sviluppate nelle ‘fabbriche senza padrone’ del periodo della grande crisi del 2001 in Argentina e ancor più nelle occupazioni delle terre da parte del Movimento Sem Terra del Brasile da oltre 30 anni – abbiamo coniato il concetto di mutualismo conflittuale, per sottolineare la determinazione di queste esperienze a voler contrastare le leggi del Mercato, con il quale devono necessariamente confrontarsi.
Il punto iniziale è non restare soli di fronte al sistema di sfruttamento, unirsi per rispondere alla mancanza di lavoro e di reddito – ad esempio dopo la chiusura di una fabbrica – e costruire una resistenza economica e sociale, non solo una resistenza politica. Se non sa rispondere anche ai bisogni primari la politica è muta, non parla a nessuno, e anche i settori militanti non reggono la sfida.
Noi tutti abbiamo presente i rischi che queste esperienze possano portare all’autosfruttamento nel quadro di una concorrenza al ribasso all’interno del Mercato: è tra l’altro il ruolo funzionale al sistema affidato oggi al mondo cooperativo in molti paesi. Tuttavia la svendita totale al nemico di classe e la concorrenza diretta nei confronti degli altri lavoratori e lavoratrici con risposte individuali è assai peggio, quando in assenza di reddito c’è necessità di sopravvivenza. Questa situazione è già in atto e si sta accentuando enormemente con lo smantellamento di forme di reddito sociale – dove esiste – e dalla presenza di forza lavoro migrante già in condizioni di lavoro schiavistico.

Il punto assai spinoso, quindi, è come, se e in quali condizioni – in una situazione non solo non rivoluzionaria, ma in quasi assenza di conflitto sociale significativo – sia possibile sperimentare e far vivere progetti di autogestione che alludono a un modello sociale alternativo a quello capitalistico, come forma di resistenza e di accumulazione di forza, che eviti nel contempo il riassorbimento nel sistema.
Proviamo a darne una definizione. Esperienze sociali e politiche autonome di autorganizzazione dal basso, che esercitano forme di appropriazione sociale e collettiva fuori dai meccanismi del Mercato – fuorimercato – in contrapposizione alle forme di dominio capitalistico. Dove è possibile mettere in discussione le gerarchie sociali, l’organizzazione del lavoro, i meccanismi di dominazione materiali (di genere, di etnia e simbolici) e di organizzazione dei rapporti sociali (valori d’uso in luogo di valori di scambio, sperimentazioni di scambio senza uso di denaro, ecc.). Spazi sottratti al Mercato e al potere costituito che costruiscono relazioni di potere alternative, dall’autogestione all’autogoverno, ossia istanze proprie fondate sulla democrazia diretta.
Le occupazioni esprimono bene questa ipotesi. Ancor più significativamente quando riguardano la sfera della produzione e del lavoro, come l’occupazione di fabbriche o di terre e la loro rimessa in funzione in autogestione. In Italia ad esempio, la fabbrica recuperata RiMaflow e la fattoria senza padroni di Mondeggi, così come le Ert argentine o le occupazioni del Mst brasiliano, alludono a questo: la trasformazione delle relazioni sociali di produzione e la messa al centro dell’interesse collettivo.
Poter dimostrare che il lavoratore e la lavoratrice della città o della campagna può essere in grado di esercitare in forma democratica un proprio potere. La prefigurazione di un’alternativa di società nel mentre si affrontano problemi immediati (di reddito e/o di difesa di beni comuni) è fondamentale.

Nell’ambito dei percorsi di classe, in questo caso maggiormente in quelli di ispirazione marxista che non in quelli libertari – con cui si può aprire una collaborazione e una sfida per l’egemonia sui contenuti a partire dalla pratica sociale concreta – anche nei settori più avanzati si è concentrata l’attenzione alle dinamiche che potevano portare alla creazione di situazioni di dualismo di potere (ossia quando il potere costituente dal basso mette direttamente in discussione il potere costituito) possibili in condizioni eccezionali di lotta di classe o in fasi pre-rivoluzionarie. Certo, si tratta di passaggi chiave della lotta. Ma in questo modo si è trascurata l’importanza – specie in situazioni di crisi, come oggi, dove molti sbocchi di lavoro, di reddito e di welfare vengono meno – di avviare forme di apprendistato all’autogoverno praticabili e socialmente legittimabili anche in condizioni di conflitto sociale più limitate.
Un potere popolare, quindi, che si costruisce dal basso, dalla fabbrica o dalla comunità, dalla produzione o dal territorio, che aspira a togliere l’egemonia a quelli in alto, al loro Stato e alle loro Leggi. Un processo costituente di nuove istituzioni che sorgano dal movimento in sostituzione di quelle esistenti. E’ la stessa perdita di riferimenti per le sconfitte dei progetti alternativi, tutti, che rende ancor più necessario non solo trovare linguaggi e tempi di maturazione diversi, ma anche una centralità delle pratiche con valenza di alternativa economico-sociale immediata: reti territoriali, orizzontali, ‘fuorimercato’, che costituiscano nel concreto – e non solo nei discorsi – luoghi potenziali di controegemonia.

La rimessa in discussione del potere dominante allude a un nuovo potere, a un ‘potere popolare’ autonomo della classe, alternativo al potere capitalistico statale e padronale. Ciò significa che lo Stato non può essere semplicemente occupato per portare avanti un progetto politico e sociale opposto, ma è oggetto di contrapposizione e di scontro. Tutta la sinistra, sull’onda dominante delle socialdemocrazie e dello stalinismo, in netta opposizione al Lenin di Stato e Rivoluzione, ha fatto della conquista del potere statale la propria ragione di esistenza, al più sfruttando gli strumenti di contropotere solo per cambiare i rapporti di forza tra le classi, non per costruire sul contropotere l’alternativa. Con la perdita anche dell’apparente ruolo di mediazione sociale dello Stato, il potere popolare è una strategia politica di ricostruzione del sociale, per dirla con Brais Fernandez. Siamo alla fine del concetto di ‘partito-stato’, siamo nella necessità di puntare al ‘partito-movimento’ o al ‘partito-sindacato’ fondato sul potere popolare dal basso. Per usare le parole degli zapatisti: il nostro potere punta alla distruzione del potere dominante e ad instaurare un potere che ‘comandi-obbedendo’ (ossia il concetto dell’autogestione). Quindi i due poteri non possono convivere, sono radicalmente alternativi. Una lezione che ci viene dalle disastrose esperienze delle sinistre radicali al governo frutto di importanti consensi elettorali, al di là spesso della loro intrinseca fragilità politica, è proprio l’assenza di istanze di potere popolare ‘dal basso’ che vanifica a priori qualsiasi ipotesi di trasformazione sociale ‘dall’alto’. L’insistenza dei compagni e compagne spagnoli si Anticapitalistas dentro Podemos sul ricorso alla lotta sociale e alla necessità di costruire poder popular esprime questa esigenza fondamentale.
Si parte da bisogni immediati, dal dare risposte a problemi concreti, ma già avendo una direzione di marcia da seguire. Serve per questo un’organizzazione senza cui ad esempio non ci sarebbero state le comunità zapatiste. E’ l’Ezln che è alla loro origine, ma che oggi accetta le decisioni delle comunità, ossia il loro autogoverno. Quindi sì un’organizzazione, l’ambito della soggettività politica che raccoglie ed elabora le esperienze più avanzate e propone la direzione di marcia anticapitalista, ma che non si pone né davanti né sopra la comunità.

Le imprese recuperate, Ert, in un contesto industriale capitalistico rappresentano un punto di riferimento per analoghe sperimentazioni di riappropriazione dei mezzi di produzione in vari paesi. Se da un lato, fondandosi sul ‘bisogno’ di reddito e sul fondamentale recupero dei macchinari, dimostrano che lavorare senza padroni e in autogestione è possibile, dall’altro restano spesso su un terreno di ‘conservazione’ in qualche modo ‘obbligata’ nel tipo di produzione e soprattutto nel rapporto col Mercato, dove pende costantemente la spada di Damocle della concorrenza. La loro continuità nel tempo è prova in ogni caso di uno spazio reale per “l’Economia dei lavoratori e delle lavoratrici”, come è stata definita nel corso degli incontri internazionali svoltisi in questi anni, e a cui vale la pena di dare impulso.
Come far avanzare, e su quali terreni, autonomia economica e potere popolare in società capitalistiche avanzate?
L’isolamento in micro realtà o ‘micropoteri’ locali rappresenta la fine certa o il riassorbimento di queste sperimentazioni, che devono quindi darsi forme di resistenza organizzate. Margini certamente maggiori esistono relativamente ai fondamentali dell’esistenza, ossia beni comuni come l’acqua, il cibo, la terra. Anche una fabbrica recuperata come RiMaflow, che si fonda sulle parole d’ordine ‘occupare-resistere-produrre’, cerca in parte di riconvertirsi in produzioni alimentari come quella degli infusi e delle conserve. Cioè tentando di costruire filiere chiuse, dove lo scambio può avere anche canali parzialmente autonomi dal Mercato.
Pur se disperse e frammentate, varie e da valorizzare sono le resistenze al potere e all’ordine capitalistico esistenti oggi in Europa e non solo. Per un’organizzazione economica delle resistenze che puntano alla sovversione dei rapporti di potere non si può funzionare se non generando lotte più complessive antisistema. E’ importante far vedere percorsi possibili ora, ‘custodire’ beni comuni e diffondere stili di vita che non potranno che essere in tensione col potere esistente: è il concetto di mutualismo e autogestione conflittuale di cui abbiamo parlato.

Occorre uscire dall’astrazione. Fuorimercato in Italia – un’organizzazione nata attorno a RiMaflow - è costituito da realtà urbane e rurali e punta ad andare oltre l’assolutamente centrale ambito del ‘cibo’, avvalendosi di punti organizzativi in ambiti diversi: spazi di mutuo soccorso, luoghi di distribuzione dei prodotti sotto forma di mercati contadini o di spacci autogestiti, cucine popolari, ma anche servizi, formazione, officine, banche del tempo, ecc.: ossia un progetto conflittuale di rete di mutuo soccorso, al cui interno ritrovare strumentazioni sindacali, esperienze di co-working, servizi di assistenza e autorganizzazione (legale, migranti, lavoro, fiscale, antipatriarcale e di genere), distribuzione di prodotti, ma anche ‘casse comuni’ di solidarietà. Una rete sociale ed economica, politica e ‘sindacale’, che allude in prospettiva a un movimento organizzato come il Movimento Sem Terra che rappresenta un’esperienza di massa che assorbe tutte queste funzioni. E così dicasi per il Sindicato Obreros del Campo, il SOC andaluso, un’organizzazione politico-sociale a tutto campo, che conta tra l’altro eletti nelle liste di Podemos e governa da oltre 20 anni una cittadina come Marinaleda. Non a caso Fuorimercato intrattiene con queste realtà rapporti molto stretti di collaborazione.

Poder popular, soggetività politica, organizzazione economica: questi spunti non affrontano compiutamente e tantomeno risolvono il problema di come si rompe il dominio capitalistico, di “come si distrugge lo Stato e si instaura un potere dal basso” (per dirla ancora oggi con gli zapatisti). Esperienze marxiste e libertarie hanno dato nel tempo risposte diverse, con potenzialità e limiti. La convivenza d questi punti di vista in un percorso di pratiche di alternativa economico-sociale può aiutare a far fare passi in avanti, lasciando pienamente aperta la ricerca. L’indicazione di lavoro è: ripartiamo dalla Comune di Parigi e dalle Società operaie di mutuo soccorso per ricostruire un percorso di alternativa di società.