Un festival nazionale delle cucine popolari e autogestite. E' l'incontro pubblico che abbiamo deciso di lanciare per il weekend del 7-8 maggio a Bologna come Rete Eat The Rich – Gastronomia Precaria, un insieme di cucine, mercati e laboratori di autoproduzione sorte nel capoluogo da un paio d'anni.
Un invito che rivolgiamo a cucine di strada, mense, osterie e taverne, popolari e autogestite, tante e diverse sono le esperienze che negli ultimi anni sono nate in giro per l'Italia. Un'iniziativa che abbia come obiettivo rivendicare e organizzare l'accesso per tutte e tutti a un cibo genuino, il più possibile fuori dalle logiche di mercato e libero dallo sfruttamento.
Che poi è proprio quello che abbiamo provato e proviamo a fare, all'interno degli spazi sociali Xm24 e Vag61 e del Circolo anarchico Berneri, dove tutte le settimane "spiattiamo" pasti a prezzi popolari o autogestiti per centinaia di persone. E non di solo pasti si tratta, perché la nostra rete è composta sì da collettivi di cucina ma anche da due gruppi di acquisto, uno spaccio popolare autogestito, un collettivo universitario e singoli produttori diretti.
I prodotti che cuciniamo e vendiamo sono tutti biologici autocertificati e genuini clandestini, provenienti da esperienze libertarie e di autoproduzione e in parte dall'associazione Campi Aperti, che in città dispone di ben cinque mercati tra spazi autogestiti e luoghi concessi dal comune.
Il nostro nemico dichiarato? Il "food capitalismo", il modello perno del sistema Expo, per cui il cibo sano e genuino diventa privilegio di pochi, prezzato alle stelle da meccanismi speculativi e politiche di marchio (vedi alla voce Slow Food), mentre per tutti gli altri c'è il cibo spazzatura, economico, ipercalorico e cancerogeno.
Un modello che proprio qui nel capoluogo emiliano si sta affermando prepotentemente, attraverso il monopolio Coop, dosi massicce di green washing, la facoltà di agraria più "eataliana" del Paese e il progetto, che per ora stenta a decollare, di F.I.Co. (Fabbrica Italiana Contadina), un gigantesco lunapark del cibo che è il sogno nel cassetto del duo Farinetti-Segrè. Un modello favorito dai politici e messo in sicurezza dalle forze dell'ordine, come abbiamo purtroppo visto nel maggio scorso: poco dopo il Primo Maggio, mentre la “sinistra mastrolindo” chiamava a raccolta il cosiddetto “popolo delle spugnette”, per chiudere in maniera definitiva ogni spazio di critica politica al Grande Evento, noi cucinieri abbiamo infatti occupato due spazi, destinati ad ospitare una cucina popolare, un mercato e un magazzino di prodotti secchi e sfusi.
Nemmeno il tempo di tre ore, ed in entrambi i casi un folto contingente di celerini è intervenuto per riconsegnare all'abbandono e alla speculazione (i palazzi erano di proprietà di Banca Intesa San Paolo, global sponsor di Expo, e dell'agenzia immobiliare Unicum) i due edifici.
Contro questo modello, dunque, e nonostante la battuta d'arresto, abbiamo continuato a praticare e diffondere mutualismo e autogestione: i nostri obiettivi sono la costruzione di comunità solide nei quartieri e di un'economia che si basi sul valore d'uso. Per farlo, coltiviamo rapporti con esperienze amiche anche fuori dal territorio cittadino, all'insegna di quello che consideriamo una sorta di "km0 politico": dal podere occupato di Mondeggi, vicino a Firenze, al progetto di Spazio Fuori Mercato a Milano, dalla cooperativa autogestita Iris, nel cremonese, alla comune libertaria di Urupia in Puglia, da SOS Rosarno al movimento nazionale di Genuino Clandestino, che proprio poche settimane prima del festival, a metà aprile, terrà il suo incontro nazionale in Sardegna.
Ma i nostri rapporti e collaborazioni non si limitano solo a chi, da diversi ambiti della (contro)economia del cibo, puntano ad accorciare la filiera e a rendere accessibili a tutti prodotti genuini, nel rispetto del lavoro dei produttori. Abbiamo infatti recentemente portato le nostre pratiche anche nel movimento No Borders, cui come rete abbiamo portato un sostegno l'estate scorsa con l'allestimento di una cucina di strada al presidio di Ventimiglia.
O insieme al collettivo Social Log, promotore di occupazioni abitative in città, nelle quali è stato dato vita a un corso di cucina meticcia, in cui vengono condivise e raccontate delle ricette tipiche di tutti i paesi di provenienza degli occupanti.
Per noi, infatti, il cibo è un campo di battaglia, ma è anche un medium, un linguaggio comune, una pratica per costruire una socialità diversa e uno strumento di resistenza. Quando nell'ottobre scorso c'è stato lo sgombero dell'Ex Telecom, un palazzo occupato in cui avevano trovato casa 270 persone, il nostro intervento dei cucinieri nel portare un pasto caldo per tutti i presidianti ha permesso di guadagnare tempo prezioso, di mantenere le energie di occupanti e solidali e di rafforzare una situazione di resistenza durata ben 18 ore.
Una situazione simile a quella che si è creata due mesi dopo, quando lo sgombero immediato degli ex uffici postali è stato contrastato da un presidio, in strada e sul tetto, in cui come rete di cucine abbiamo fornito pasti caldi per tre giorni consecutivi, e nel pieno del freddo dicembrino.
E' per condividere questa esperienza, e per arricchirla con altre sorte in giro per l'Italia, che abbiamo voluto lanciare questo festival di inizio maggio. Perché scommettiamo nell'incontro e nel confronto delle varie esperienze che vorranno partecipare e siamo mossi dal desiderio di contagio, con la convinzione che nessuno abbia la 'ricetta rivoluzionaria' in tasca. L'evento, che avrà luogo in un posto ancora da definirsi, durerà due giorni, il sabato sarà dedicato a tavoli di lavoro e di discussione, mentre la domenica ci sarà una grande giornata di cucina di strada.
Tra i punti nodali della discussione ci sarà il rapporto delle cucine con la filiera, le questioni dello sfruttamento (umano e animale) legato all'agro-alimentare, la controversa gestione dei pasti da parte delle cooperative alimentari all'interno dei servizi come scuole e ospedali, nei centri d'accoglienza e nelle carceri e il tema dell'organizzazione della cucina stessa, che prenda in considerazione diversi aspetti come le politiche di prezzo, la remunerabilità del lavoro, l'apertura e l'accessibilità ai pasti non solo dal punto di vista economico, cercando di mettere a fuoco le domande da porsi per rendere le cucine autogestite dei progetti veramente "popolari".
Cucinieri sovversivi, buongustai, produttori e trasformatori sono avvisati. La data è il 7 e l'8 maggio, il luogo è Bologna. Il dado è tratto. L'acqua bolle in pentola.
*http://www.zeroviolenza.it/editoriali/item/73839-cucine-popolari-e-autog...