I dolori della ricerca di classe... perduta

Sat, 15/02/2014 - 16:19
di
Collettivo Rebel - Brescia

Si risolleverà la sinistra radicale? Contribuirà a dare vita a forme di autorganizzazione conflittuale abbandonando l'aritmetica da micro ceto politico? Si interrogherà sulla dinamica delle classi e dei movimenti sociali senza fare della pedagogia non richiesta? Vista la discussione a distanza che si è sviluppata su vari siti e portali web c'è da essere pessimisti ma, come sempre, la speranza è l'ultima a morire.
La vicenda dei cosiddetti forconi o movimento 9 dicembre che dir si voglia ha fatto emergere incrostazioni, riflessi condizionati, cristallizzazioni che parevano ridimensionate anche solo dalla consapevolezza dell'ormai scarso ruolo giocato dalla sinistra radicale a livello politico e sociale. Abbiamo letto, come molti del resto, i tanti contributi girati in rete cercando di farci un'idea di come vengono affrontati e analizzati conflitti, proteste di una composizione sociale non proprio in sintonia con le nostre aspettative e aspirazioni. Non ci sembrano di particolare interesse quelle analisi che etichettano più o meno tutto ciò che fa entrare in tensione la propria identità, collocazione sociale ed efficacia politica come fascismo. Prima la Lega poi Berlusconi, a seguire Grillo e ora i forconi, tutti fascisti. Più interessante, forse, cercare di leggere, con gli occhi di oggi, come questioni in parte simili e in parte no sono state affrontate in passato soprattutto dal punto di vista del metodo.
Marx non ci aiuta molto, a meno di non prenderlo sul serio insieme a tutte le sue "astrazioni determinate". Infatti chi cercherà in Marx una definizione semplice di cosa siano le classi non la troverà, e non è un caso. Padroneggiare il metodo da lui usato non è semplice e spesso ci si ritrova in un angolo. In altre parole per Marx le classi fanno la loro apparizione solo all'interno di un rapporto antagonistico reciproco. Si definiscono nella e attraverso la lotta. Le classi non sono una mera questione sociologica o statistica. Nella pratica la divisione in classi non appare mai sotto una forma pura perchè gli "stadi intermedi e transitori" nascondono dovunque le linee di demarcazione. Ma non è tutto, e per complicare ancor più la vicenda il capitolo del Capitale sulle classi sociali è lungo solo tre pagine e termina con la frase aggiunta da Engels: "Qui il manoscritto si interrompe". Una dato comunque sembra certo nell'elaborazione di Marx: non fa confusione tra forza-lavoro, proletariato, classe operaia e movimento operaio. Li mette in relazione ma al tempo stesso li distingue.
Che dire? Un metodo complicato per una situazione complicata? Pare proprio di sì. Qualche decennio dopo Lenin, che aveva ben presente la difficoltà del problema, prova a dare una definizione delle classi cercando di semplificare la questione. Ma in realtà si accorge che il suo punto di arrivo non è per nulla più semplice di quello di Marx. Nel 1919 definisce le classi come "quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più fissati e sanzionati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell'organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo e la misura in cui godono della ricchezza sociale di cui dispongono". Meno male che l'intento era di semplificare. Lenin addirittura parla di "produzione sociale" e non industriale o manifatturiera e di "organizzazione sociale del lavoro" e non di fabbrica. Aggiungendo, non contento, anche i rapporti, in gran parte giuridici, con i mezzi di produzione e la natura e l'ammontare del reddito. A questo punto la speranza è che qualcuno, negli anni successivi, abbia veramente fatto opera di semplificazione.
Passa ancora qualche decennio e Edward Thompson, negli anni 60, in un saggio sulla formazione della classe operaia in Inghilterra pensa che il concetto di classe implichi l'idea di un rapporto storico, quindi in perenne trasformazione. E rincara la dose dicendo tra l'altro che "la tentazione alla quale oggi siamo perennemente esposti è di immaginare che la classe sia una cosa, un fatto. Non così la vide Marx nei suoi scritti storici, ma l'errore vizia in gran parte la letteratura «marxista». Si suppone che «essa», la classe operaia, abbia un'esistenza oggettiva, definibile in termini quasi aritmetici: tanti e tanti uomini in un rapporto dato con i mezzi di produzione".
Purtroppo nemmeno Thompson placa la nostra ansia di semplificazione, ci ributta la palla addosso. Non ci diamo per vinti, il nostro viaggio alla ricerca della "classe perduta" continua, con una piccola avvertenza comportamentale: guardiamo spesso fuori dal finestrino per vedere se dal paesaggio "sociale" arriva una qualche indicazione inattesa. Non è detto, ma non disperiamo.