"Ve la siete cercata": donne in piazza per il diritto all'aborto e contro ogni violenza

Wed, 27/09/2017 - 18:17
di
Chiara Cecchini*

“Ve la siete cercata!”. Più o meno esplicitata, spesso pronunciata ad alta voce con il dito puntato, questa frase è l'accusa che molte donne vittime di violenza si sentono rivolgere. Ma è anche lo slogan scelto dal movimento Non una di meno, che torna in piazza il 28 settembre in tutta Italia in occasione della giornata mondiale per l’aborto libero e sicuro, un diritto delle donne garantito formalmente dalla legge 194 che però viene nei fatti costantemente disatteso in un Paese dove sette medici su dieci sono obiettori di coscienza. Perché “se questa è una guerra contro le donne, noi risponderemo! Ve la siete cercata!”, fanno sapere dal movimento. E l’obiezione, per Non una di meno, è una delle forme di violenza che viene agita ogni giorno contro lo donne, come spiega a Today Tatiana Montella, avvocato e militante nel movimento.
“L’obiezione di coscienza ha raggiunto livelli altissimi: così non c’è garanzia per il diritto a una libera scelta da parte delle donne” e quella del 28 settembre sarà “una giornata di autodeterminazione contro gli attacchi al corpo delle donne, che non è un oggetto da conquistare né un terreno per politiche elettorali”, dice Montella. Il riferimento è ai recenti fatti di cronaca, dagli stupri di Rimini ai due carabinieri indagati perché accusati di violenza sessuale da due studentesse americane a Firenze.

Le manifestazioni convocate per il 28 settembre sono anche una risposta alla narrazione dei media. "A Rimini si è parlato solo del migrante ‘brutto e cattivo’, invece nel caso di Firenze l’attenzione era concentrata sui ‘facili costumi’ delle donne: ma la violenza contro le donne è sistemica”, chiarisce Montella e “non ha passaporto”.

"Quello che è successo quest’estate è qualcosa di molto grave. Si è giocata una partita scandalosa e razzista: quando a compiere la violenza è un migrante le donne diventano una proprietà da difendere contro l’invasore, se invece è un italiano allora la colpa è sempre delle donne. Ma a fare violenza sono gli uomini. Non serve illuminare di più le strade o consigliare alle donne di restare a casa. Il problema è un po’ più complesso”, afferma l’avvocato, ricordando il corteo improvvisato da Non una di meno sotto la sede del quotidiano romano Il Messaggero una settimana fa contro la sua campagna “Roma sicura, un manuale per le donne”, stilato dalla docente e giornalista Lucetta Scaraffia, in cui si legge: “Sarebbe bello, certo, se gli uomini cambiassero e accettassero questa nuova libertà delle donne, ma sappiamo che non è così, e forse non lo sarà mai. Un po’ di realismo dunque non guasta ed è meglio evitare le situazioni pericolose. Non è certo forzando la realtà e cercando di piegarla ai nostri desideri che si cambia il mondo”. Montella, rigettando tale visione, sottolinea che “le strade sicure non le fanno le luci ma le donne e vanno combattuti gli elementi che producono dipendenza, anche economica, dall’uomo”

"L’appuntamento a Roma è in piazza dell’Esquilino. Una location scelta non a caso, ci spiega l’avvocato, con la sua dimensione multietnica, per portare in piazza anche l’antirazzismo. Ci sarà un mini corteo fino a piazza Vittorio e sono previsti interventi, musica e spettacoli.“

Fonte: http://www.today.it/donna/storie/non-una-di-meno-manifestazione-28-sette...
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Di seguito l'appello per la manifestazione del 28 settembre.

Ve la siete cercata. Perché torniamo in piazza il 28 settembre

Il 28 settembre le donne tornano in piazza in tutto il pianeta per la giornata mondiale per l’aborto libero. In Italia, seppur formalmente garantito dalla legge 194, è nei fatti progressivamente negato. L’obiezione di coscienza ha raggiunto livelli non più accettabili con una percentuale del 70% di medici obiettori nella media nazionale
Occuperemo di nuovo le piazze per dire che l’obiezione di coscienza è una delle forme di violenza che viene agita ogni giorno contro le donne. Sentiamo forte l’urgenza che il 28 settembre sia una giornata di lotta per rispondere all’attacco feroce che mai come in queste settimane ci sta riguardando.

I fatti di cronaca delle ultime settimane e il modo indegno in cui gli stessi sono stati trattati, dai media come dalle istituzioni, hanno ormai svelato che cosa è in gioco quando si parla della violenza di genere: il corpo delle donne è un terreno oggetto di conquista, un terreno da espropriare. Questo è lo sguardo alla base della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni. Oggi, nello stato di emergenza e di crisi permanente in cui viviamo, quel gesto trasforma i nostri corpi in un campo di battaglia su cui tracciare nuove linee di confine. La violenza maschile diventa lo strumento utile a legittimare e imporre, allo stesso tempo, il ritorno all’ordine delle donne e delle soggettività fuori norma, così come le politiche autoritarie e razziste.

Ed è così che quando a compiere la violenza è un migrante diventiamo le “loro donne” – proprietà dei “patri uomini” – da difendere contro l’invasione straniera. Poi, un attimo dopo, se a “cadere in tentazione” è il maschio italico, magari in alta uniforme, sotto sotto è colpa nostra, delle nostre abitudini leggere e indecorose, del femminismo che ci ha instillato la falsa credenza nell’autodeterminazione, nell’autodifesa, nella libertà. Il nostro corpo allora andrebbe coperto, circondato da una “corazza protettiva”, secondo le ormai celebri parole del “manuale per le donne” de Il Messaggero, e perché no, costretto tra le sole mura domestiche. Del resto, ce lo insegna il senatore D’Anna, il desiderio maschile è “istinto primordiale”, se non teniamo conto di ciò, vuole dire che un po’ ce l’andiamo a cercare!

Se a morire, invece, è una ragazza di 16 anni, uccisa da un ragazzo di 17, la cronaca nera torna di nuovo utile a derubricare il fattaccio a trama usurata da romanzetto rosa-nero – la gelosia, il fidanzatino, la devianza, la droga – e a occultare questioni ben più scomode. Sarebbe, infatti, il caso di cominciare a interrogarsi sui modelli dell’identità maschile piuttosto che stilare vademecum antistupro.

Rifiutiamo la cultura del possesso che innesca la violenza maschile. Rifiutiamo la retorica su cui si fonda: il “destino biologico” di fragilità e inferiorità a cui saremmo naturalmente assegnate. È questo che vogliono farci credere nelle corsie degli ospedali, quando schiere di obiettori ci impediscono di scegliere quando, come e se diventare madri o quando la nostra vita vale comunque meno del feto che portiamo. È questo che ci ripetono nelle aule dei tribunali, quando nei processi per stupro diventiamo noi le imputate, o quando non possiamo decidere se procedere o meno contro il nostro stalker. È questo che scontiamo senza indipendenza economica, con i salari più bassi dei nostri colleghi, con le molestie sul lavoro, con la cura della famiglia sempre più sulle nostre spalle.

Non accettiamo il ricatto della paura, che vuole le strade delle nostre città come savane infestate da predatori, da cui ci si può difendere solo rinunciando alla libertà di muoversi e al prezzo di una diffusa militarizzazione e videosorveglianza.
La nostra difesa non la deleghiamo perché le strade sicure le fanno solo le donne che le attraversano.

Uno stupro è uno stupro, e a stuprare sono gli uomini, al di là della loro nazionalità, provenienza o estrazione sociale. Inoltre a commettere violenze sono nella maggioranza dei casi fidanzati, mariti, amanti, ex compagni, datori di lavoro.
È arrivato il momento di tornare in piazza, a gridare che respingiamo ogni forma di violenza e di strumentalizzazione sui nostri corpi. Razzismo e sessismo si giocano, infatti, sui corpi delle donne migranti e native. Lo mostrano le politiche di blocco delle frontiere, che negano la libertà di scegliere dove e come muoversi consegnando le vite delle donne migranti alla morte, alla violenza sessuale, allo sfruttamento. Ma anche la violenza del razzismo istituzionale messa in campo nelle nostre città, come hanno mostrato gli idranti di piazza Indipendenza a Roma, utilizzati contro chi rivendicava(no) il diritto a decidere come vivere.

Il 28 settembre le donne saranno in piazza per la giornata mondiale per l’aborto libero e sicuro [www.28september.org]. In Italia, seppur formalmente garantito dalla legge 194, è nei fatti progressivamente negato. L’obiezione di coscienza ha raggiunto la media nazionale del 70% di medici obiettori ed è una delle forme di violenza che viene agita ogni giorno contro le donne. Il 28 torneremo a chiedere che l’aborto sia ovunque depenalizzato, garantito e sicuro, un diritto per le donne di tutti i paesi.

Non solo, in Italia i fatti di cronaca delle ultime settimane e il modo indegno in cui gli stessi sono stati trattati, dai media come dalle istituzioni, hanno svelato chiaramente che quando parliamo di violenza di genere è in gioco il corpo delle donne come oggetto di conquista e terreno da espropriare. Questo è lo sguardo alla base della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni.

Sui nostri corpi e della nostra vita decidiamo solo noi, donne, trans, queer…

Torneremo a gridare che se questa è guerra contro le donne, noi risponderemo!

Ve la siete cercata!

Libere dalla paura, unite nella solidarietà!

Non una di meno Roma