Stuprata da chi? Riflessioni attorno alla sentenza di Firenze

Thu, 23/07/2015 - 17:53
di
Federica Sposato

“Non ha fatto niente di male, non l’ha ammazzata ‘sta ragazza.”
“Si è andato a divertire. Certo che le piaceva pure a lei sennò non ci andava con mio figlio, chè mio figlio c’ha moglie e figlio, e lei lo sapeva, eppure lo telefonava sul lavoro a rompergli le scatole.”

Sono passati trentasette anni da quel primo processo per stupro che colpì la morale e segnò la memoria degli italiani. Quel processo che mise per la prima volta in discussione la possibilità per un uomo di disporre del corpo di una donna come, quando e in quali modalità desiderasse, senza che questo potesse essere considerato spiacevole per la donna vittima di quel desiderio, che seppur comprensibile, tuttavia poco in riga con la condotta morale. Sì, perché reato contro la morale nel 1978 ero giudicato lo stupro. Macchiava l’immagine di un Paese rispettoso e rispettabile; sporcava la monumentale costruzione di vigorosa matrice italica per cui l’uomo non poteva che essere un signore e la donna un’amabile serva timorata di Dio, che giammai avrebbe potuto avere impudìchi pensieri se sorretta da una maschia, retta e cattolicissima guida spirituale.

Fanno rabbrividire le parole usate dalla difesa: “una violenza non ha a che fare con la sessualità.” Per questo motivo l’atto sessuale non può essere considerato violenza. “Una fellatio può essere tranquillamente interrotta con un morsetto. Passerebbe a chiunque la voglia.” Per questo motivo la ragazza era consenziente. Neanche un morsetto ha dato a quei bruti, allora forse non è poi così una brava ragazza...
“Oggi sono le donne che fanno le puttane. Se la cercano. Ne vedo tante io così.” Queste le mogli e le madri degli accusati.

Quanto attuali paiono oggi queste considerazioni? Quanto sconcertante appare oggi una sentenza che assolve sei ragazzi accusati di aver stuprato una ragazza, apponendo quale motivazione la presunta condiscendenza della ragazza?
Di condotta irrequieta e tendenze sessuali equivocabili. Eccessiva, provocatrice, libertina, spregiudicata.
La ragazza avrebbe dovuto mostrare più resistenza, riportare gravi lesioni fisiche almeno; bruciature di sigarette, figli indesiderati, lesioni uterine, herpes vaginali, sifilide, peste. Neanche un livido è riuscita a mantenere da quel 2008, anno in cui ebbe l’ardire di abusare di droghe e alcool con la pretesa di tornare illesa a casa. La sentenza definitiva della Corte di appello dichiara gli imputati L. L., N. D. A., F. M., L. R., L. E. N. V., non colpevoli. Non hanno commesso reato. Non hanno fatto violenza su una ragazza. Niente è successo di non desiderato. Hanno fatto quello che ogni altro uomo in quella situazione avrebbe fatto. “Lei se l’è cercata.” Lei non avrebbe dovuto ubriacarsi. Non avrebbe dovuto esporre il proprio corpo e pensare di farne espressione di se stessa. Non avrebbe dovuto pensare di godere indisturbata della propria libertà senza che qualcuno la punisse per questo.

Nel 1612 Artemisia Gentileschi, nota e abilissima pittrice, venne coinvolta in un processo per stupro, in cui la vittima dello stupro era proprio lei. Il padre di Artemisia si ritenne enormemente ferito dalla mancata adempienza alla promessa di matrimonio proveniente da Agostino Tassi, per cui decise di sporgere querela.
Artemisia dovette dimostrare di essere altro da come la descrivevano gli accusatori; doveva dimostrare la sua estraneità alle voci che le attribuivano malevole intenzioni di adescamento dei giovani quando si affacciava alla finestra. Fu sottoposta a un brutale esame ginecologico e venne condannata alla tortura per espiare la propria colpa e per dimostrare quanto la sua capacità di sopportazione sarebbe stata in grado di sostenere la sua dichiarazione di innocenza.
La sua storia vide un futuro di emancipazione e successo, ma non fu altrettanto per tutte quelle donne che ancora, nei secoli successivi, continuarono ad essere presenti nei processi di stupro che le vedevano coinvolte in veste di parti in causa e non come vittime del reato. Lo stupro veniva commesso CON loro e non SU loro.
Ancora nel 1981 il matrimonio riparatore era in grado di estinguere il reato di stupro e di ripristinare “l’onore della famiglia” della donna che aveva subito violenza. Tutti onorati dalla gentile concessione e tutti sollevati e rasserenati dal lieto evento.

Abbiamo dovuto aspettare il 1996 per assistere alla modifica della legge che considerava lo stupro un’offesa alla morale e non un delitto contro la persona. Per non parlare dell’assurdità del “delitto d’onore”, ancora tollerato dalla legge fino alla metà degli anni settanta. Leggi balorde ed episodi di violenza memorabili si sono succeduti nel tempo, senza mai giungere ad un risultato in grado di rendere il concetto del diritto assoluto della donna a essere padrona e rispondere solo a sé stessa.

Ora, nel 2015, ci ritroviamo a lottare per difendere leggi non perfette che tutelano tuttavia il nostro diritto a disporre del nostro corpo quando decidiamo di abortire. Non siamo sostenute da politiche che non siano di matrice cattolica. Non siamo riconosciute in quanto donne e basta, ma solo come, mogli, madri, zitelle, lesbiche, trans, maschiacci, zoccole, suore.
Dovremmo evitare di uscire da sole di notte, svestite o vestitissime. Dovremmo mostrarci lusingate da ammiccamenti e allusioni. Dovremmo non infastidire e stuzzicare il desiderio maschile.
Non mi sembra enorme la distanza che separa la vicenda di Artemisia da quella della ragazza dello stupro del processo del ’78. Non mi sembrano distanti queste storie da quella di Fortezza da Basso.
E’ compito mio difendermi da uno stupro, così come è compito mio dimostrare di non aver voluto essere stuprata. E’ compito mio dimostrare che la mia libertà non è un invito a stuprarmi. Questo quello che questa sentenza mi dice.