#Ri-Make: per un'introduzione di genere

Thu, 13/02/2014 - 11:27
di
Ri-Make

Questo scritto è il frutto di un dibattito sul genere tenutosi a Milano e vuole essere un contributo alla discussione su questo tema. Si tratta di una riflessione sul senso e sulle modalità del lavoro di genere nel nostro progetto politico, in particolare a Milano.
Prima di tutto quando si parla di genere è fondamentale avere chiaro un concetto: non si tratta di una questione in cui si possa individuare un nemico lontano a cui contrapporsi, ma che ci riguarda tutt* in prima persona; ridurla a qualcosa di “altro” da noi, soprattutto come maschi “compagni” e antisessisti, è molto pericoloso. Risulta infatti impossibile dirsi estranei a questo ordine oppressivo e cercare in questa estraneità un’innocenza. Non è possibile, cioè, agire un conflitto con un sistema di potere estraneo e distante: non c’è nessuna “cittadella del potere”, nessun “impero” da assediare da nessuna “moltitudine” forte della propria alterità. Il potere che contestiamo ci attraversa, ci plasma, immiserisce le nostre vite e al tempo stesso struttura il nostro immaginario.
Da tutto ciò deriva un'altra questione da tenere sempre presente. L’uomo domina tutti i giorni in ogni momento, anche se non è una decisione cosciente, ma un’imposizione sociale. Perciò non si tratta di colpevolizzarsi ma di pensare sempre ai rapporti di potere che riproduciamo, tenendo presente che, se il ruolo di uomini è imposto socialmente, al tempo stesso conferisce privilegi concreti e simbolici ai quali non si rinuncia volentieri.
Si tratta in primo luogo quindi di fare attenzione nei nostri spazi politici ai rapporti di potere che si possono sviluppare e in particolare ai rapporti di genere. Costruire dei luoghi che siano accoglienti per le donne e i soggetti LGBITQ è fondamentale per costruire una politica che non sia soltanto appannaggio maschile ed eterosessuale.
(Questo non si riduce solo a prendere i tempi di intervento e a far parlare subito le compagne quando stanno intervenendo solo uomini, cose di per se importanti, ma si tratta anche di fare attenzione a tutta una serie di dinamiche che si sviluppano indipendentemente dalla nostra volontà come i livelli di attenzione diversi a seconda di chi interviene; la complicità maschile nei gruppi dirigenti composti prevalente da compagni che tende a produrre intimidazione e esclusione.)
Ma qual è il senso di fare politica di genere? Perché ci interessa parlarne?
Il primo motivo può sembrare banale, ma è importante ricordarlo a scanso di equivoci, ed è che l’uomo opprime la donna, che esiste un sistema patriarcale basato su una dinamica di oppressione di un soggetto su un altro e che impone una norma basata sul modello maschile ed eterosessuale, sulla virilità e sull’uomo come misura assoluta del mondo (androcentrismo), rispetto al quale il femminile viene ordinato gerarchicamente in condizione di inferiorità e gli altri orientamenti sessuali e di genere stigmatizzati come patologici e devianti. Questo sistema di potere è tra l’altro uno dei più antichi e radicati e permea ogni aspetto della nostra vita costituendo un forte dispositivo di controllo per tutt*, oltre che di soggiogamento di alcuni soggetti. Infatti la rappresentazione gerarchica del sesso, la misoginia diffusa, l’omofobia latente filtrata attraverso lo scherno giustificano la discriminazione e la violenza di genere e conferiscono all’uomo una posizione centrale e di potere nella norma vigente, promettendogli la massima realizzazione personale, ma lo costringono anche in un modello sociale, sessuale e affettivo imposto, sanzionando ogni scostamento da esso.
Spesso infatti, soprattutto nel dibattito marxista sul femminismo, si è tentato di ridurre il patriarcato a un prodotto del capitale, riducendo la lotta delle donne a un’appendice della lotta operaia, oppure si è pensato che esso fosse un sistema di potere arcaico che il capitalismo stesso avrebbe superato nel nome dell’unico obiettivo del profitto. Il patriarcato è invece un sistema complesso che nasce molto prima del capitale, esiste praticamente da sempre e in ogni società umana e assume forme differenti nei diversi momenti storici e nei vari sistemi politici e sociali.
Tuttavia il capitale non è semplicemente un sistema economico che produce profitto, ma un rapporto sociale, che per esistere, sopravvivere e funzionare deve riprodurre le condizioni per la sua esistenza ed utilizzare anche altri sistemi di potere per strutturare la società, tra i quali vi è il patriarcato. Questo infatti, attraverso il lavoro gratuito di cura e di riproduzione delle donne e la struttura della famiglia, garantisce la riproduzione della forza lavoro, mentre attraverso l’imposizione della “legge dei padri” e di un modello normato controlla i corpi, la sfera sessuale e la riproduzione, organizzando la società a suo favore, in modi diversi nei diversi periodi e luoghi geografici.
Il patriarcato infatti è un sistema di potere che si modifica e si trasforma molto, compenetrandosi coi diversi sistemi sociali. Il patriarcato oggi è diverso da quello dell’Ottocento così come è differente da quello precapitalista. Lo stesso capitalismo mostra una forte attitudine al cambiamento. Tuttavia oggi questi due sistemi risultano così fortemente compenetrati da formare quasi un insieme organico e risulta difficile pensarli, se non astrattamente, separati.
Anche per questo una strategia politica rivoluzionaria e anticapitalista deve parlare di genere, analizzarlo e utilizzarlo come categoria politica: cercare di comprendere il mondo senza il genere non darà mai una visione complessiva della realtà e nemmeno della composizione della classe e dei soggetti oppressi. D’altra parte la lotta al patriarcato e allo stigma sessuale è fondamentale per abbattere il capitalismo e quest’ultima è centrale per la liberazione sessuale stessa.
La questione di genere deve quindi essere trasversale a ogni nostra discussione, poiché essa è trasversale nella classe e nei soggetti che la compongono. Se infatti vogliamo rivolgerci ad essa nella sua totalità, dobbiamo rivolgerci anche alle donne e ai soggetti LGBIT.
Il nostro progetto, a Milano come a livello nazionale, deve puntare quindi alla costruzione di uno spazio politico e sociale nel quale le questioni di genere siano centrali e si sviluppi un dibattito politico e strategico collettivo, anche misto, su di esse. Questo a Milano si traduce soprattutto in un investimento e una cura del collettivo di genere, che unisce donne e soggetti Lgbit, che si sta costruendo.
Inoltre anche gli spazi fisici in cui facciamo politica devono risultare accoglienti per queste soggettività e per questo ci vuole una particolare attenzione alle dinamiche di genere e al machismo, avendo chiaro che l’obbiettivo non è quello di costruire piccoli mondi perfetti, esenti dai rapporti sociali e di potere e non è possibile eliminare le oppressioni senza abbattere il sistema. Anzi credendo di averle eliminate si rischia nuovamente di smettere di vederle e analizzarle, mentre il modo migliore di porsi è quello di mantenere una critica permanente delle proprie stesse pratiche.