Polonia: la Black Protest e il diritto all'aborto

Sat, 20/01/2018 - 18:06
di
Katarzyna Bielińska-Kowalewska*

La nuova legge sull'aborto adottata in Polonia è una delle più limitate dell'intera Unione Europea. L'educazione sessuale non esiste e la contraccezione non solo è molto costosa, ma è anche difficile da ottenere a causa dell'obbligo di prescrizione medica.

Secondo una legge del 1993, l'aborto è consentito solo in tre casi: quando la gravidanza mette a rischio la vita o la salute della donna; quando si verifica un'elevata possibilità di malformazione o malattia del feto, confermata dall'esame prenatale; quando la gravidanza è la conseguenza di un crimine (stupro, incesto o pedofilia). In tutti gli altri casi è proibito e criminalizzato. Un dottore o chiunque altro aiuti una donna a compiere l'aborto, incluso il partner, un familiare, un amico, è passibile di punizione fino a 3 anni di carcere. Una donna che ha compiuto un aborto, invece, non è perseguibile. Per più di 20 anni questa legge, estremamente limitata, è stata definita un “compromesso” tra forze politiche conservatrici, liberali e socialdemocratiche.

Ma nella pratica, anche nei tre casi citati in cui l'aborto è tecnicamente ammissibile, è praticamente impossibile ottenerlo. Uno studio recente, condotto dall'organizzazione femminista Federazione per le Donne e per la Pianificazione Familiare, ha scoperto che a causa di una carenza nelle linee guida ministeriali e degli spaventosi effetti della legge, gli ospedali non dispongono di alcuna procedura per effettuare un aborto (la maggioranza) o si dotano di procedure burocratiche complicate e assolutamente non necessarie. In più, alcuni ospedali hanno dichiarato alla Federazione che, contrariamente ai propri resoconti finanziari, non effettuano aborti al loro interno. La cosiddetta “clausola di coscienza”, ovvero il diritto a rifiutarsi di compiere un aborto in osservazione del proprio credo religioso, viene spesso invocata.

Viste queste circostanze, è l'aborto clandestino a prosperare. Secondo le stime raccolte dalla Federazione, in Polonia si effettuano tra gli 80.000 e i 100.000 aborti ogni anno; legalmente, solo alcune centinaia.
Ci sono cliniche clandestine che effettuano aborti in cui spesso lavorano quegli stessi medici che, negli ospedali pubblici, avvalendosi della “clausola di coscienza” si rifiutano di praticare la procedura legalmente. Le pillole abortive arrivano grazie al supporto di Women on Waves, un'organizzazione internazionale che rifornisce di pillole quei paesi dove l'aborto è illegale; oppure, un'ultima possibilità è di acquistare le pillole sul mercato nero, con l'alto rischio però di ricevere pillole false o adulterate. A volte le donne scelgono di prendere medicine (legali) che se somministrate in grandi quantità provocano l'aborto, come il Cytotec, usato per le ulcere gastriche. Per chi ha denaro a sufficienza, resta la scelta dell'espatrio: le donne polacche viaggiano in Inghilterra, Germania, Olanda, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Alcune cliniche di questi paesi hanno addirittura adibito strutture specifiche per le donne polacche, gestendo l'organizzazione del viaggio e della permanenza in hotel per quelle che cercano di abortire. Questo mette chiaramente in mostra la divisione sociale tra quelle donne che hanno la possibilità di accedere alle informazioni e alle risorse per avere un aborto sicuro, nonostante la legge restrittiva, e tutte quelle donne che invece non hanno accesso a tali risorse, esposte quindi ai metodi più pericolosi; le vere vittime del “compromesso”.

La Sinistra e l'Aborto

Nel 1993 un movimento di massa contro la legge anti-abortista è stato stroncato quando il referendum sull'aborto, che aveva raccolto 1.7 milioni di firme, è stato respinto dal Parlamento. La socialdemocrazia neoliberale non ha aiutato: l'Alleanza della Sinistra Democratica “post comunista” (SLD), al potere dal 2001 al 2005, ha ottenuto il supporto del Parlamento nell'introduzione di riforme neoliberali e nell'approvazione dell'invio di truppe polacche in Iraq e in Afghanistan, ed ha apertamente accettato la legge sull'aborto nei suoi termini più limitati.

Le femministe e le organizzazioni di sinistra hanno combattuto per i diritti delle donne, ma senza riuscire a mobilitare le masse. Nel marzo 2016, per esempio, una tradizionale Manifa (una dimostrazione femminista annuale che si tiene a Varsavia da 17 anni) è stata organizzata sotto lo slogan “Aborto in Difesa della Vita”, mobilitando solo poche migliaia di partecipanti.
Inoltre, alcuni gruppi di sinistra hanno cercato di calmierare i toni alle richieste di una legge sul diritto all'aborto; addirittura, molti hanno cercato di eliminare la questione dai loro discorsi, aderendo ad una prospettiva conservatrice o ad un immaginario che crede favorevoli all'aborto solo le donne ben educate della borghesia delle grandi città.

Un altro esempio dell'ambivalenza della sinistra si è manifestato durante la campagna elettorale del Partia Razem (Insieme Partito), un partito di sinistra formato nel 2015 e poi uno tra i principali promotori della Black Protest (Protesta Nera). Due attiviste, intervistate da un sito di destra sulla questione del programma di partito relativo alla condizione delle donne povere, hanno spiegato a lungo i piani di supporto sociale per le donne e le famiglie ma non hanno fatto cenno alcuno ai diritti riproduttivi. Anche se il programma elettorale di Razem aveva puntato all'educazione sessuale, ai fondi per la contraccezione, alla fertilizzazione in vitro, non c'era alcuna menzione al diritto di aborto. Nella dichiarazione programmatica del partito esisteva una sezione in merito, ma formulata in maniera estremamente indiretta, dove l'aborto era presentato non come un diritto ma come una questione di visione del mondo; vi si trova espressa l'opposizione alla legge esistente, ma della richiesta di legalizzazione nessuna traccia.

Il Progetto di Ordo Iuris

Nella primavera del 2016, alcuni gruppi ultraconservatori hanno lanciato il comitato cittadino Stop Aborcji (Stop Aborto), iniziando a raccogliere firme in supporto ad una messa al bando totale dell'aborto. Secondo il progetto, guidato da Ordo Iuris (un cristiano conservatore afferente a un gruppo di opposizione legale all'interruzione di gravidanza), chiunque venisse coinvolto in un aborto, dalla donna a chi l'aiuta, deve scontare 5 anni di carcere. In caso di aborto non intenzionale, 3 anni di carcere. L'approvazione di un tale progetto avrebbe portato perfino alla criminalizzazione dell'aborto spontaneo, rendendolo perseguibile di inchiesta, e avrebbe reso impossibile l'interruzione sicura delle gravidanze ectopiche.

L'interruzione di gravidanza sarebbe stata de-criminalizzata solo in caso di minaccia diretta alla vita della donna, mentre le analisi prenatali sulla salute del feto sarebbero state bloccate o impedite. Un ginecologo, il professor Romuald Dębski, ha interpretato il progetto come la fine delle diagnosi prenatali e delle terapie: “Tutto ciò metterà al bando la possibilità toccare un bambino [feto] con un ago perché potrebbe essere punibile con tre anni di carcere”. Ha poi aggiunto: “Quando la legge sarà cambiata, non sarà possibile effettuare una laparoscopia ad una paziente con gravidanza ectopica per prevenire possibili ripercussioni sulla vita della madre perché non ritenuta un'azione compiuta in situazione di minaccia diretta alla sua vita. È assurdo!”.

Il progetto di messa a bando dell'aborto è stato sostenuto dalla Chiesa Cattolica e dai politici del partito conservatore Legge e Giustizia (PiS), incluso il Primo Ministro Beata Szydło, la quale ha dichiarato di supportare personalmente la messa a bando dell'aborto. Alla Conferenza dei Vescovi Cattolici la questione è stata posta in cerca di consenso e supporto, secondo l'affermazione per cui “sulla questione della protezione della vita dei non nati, non dovremmo accontentarci del presente compromesso” ed occorre appellarsi alla “totale protezione legale della vita dei non nati”. Il 3 aprile 2016, tale comunicazione è stata letta in tutte le chiese del paese durante la messa domenicale.

Reazioni: le Proteste e il Programma Save the Women

Quest'offensiva fondamentalista ha provocato intense reazioni a livello sociale: il 3 aprile 2016, in tutte le grandi città polacche, si sono tenute manifestazioni contro il progetto totalitario sull'aborto. Dapprima organizzate da Razem, hanno poi spontaneamente attratto moltissime persone. A Varsavia alcune migliaia di manifestanti si sono radunati di fronte al Parlamento. Un gruppo Facebook, Dziewuchy dziewuchom (Ragazze per Ragazze), è stato lanciato il 1 aprile ed ha raccolto più di 100mila fan in dieci giorni.

Il 12 maggio è stato lanciato il comitato cittadino Save the Women (Ratujmy kobiety), che ha iniziato a raccogliere le firme per un progetto di liberalizzazione della legge esistente. La leader del comitato era Barbara Nowacka, una giovane attivista socialdemocratica. Il progetto è stato disegnato sul modello delle leggi adottate dalla maggior parte dei paesi membri dell'UE. L'aborto sarebbe stato legale fino alla dodicesima settimana di gravidanza; se la gravidanza era il risultato di un crimine, il termine sarebbe stato prolungato fino alle 18 settimane, e se un feto fosse stato gravemente malformato o malato, fino alle 24 settimane. Altro obiettivo del progetto era l'introduzione dell'educazione sessuale e la fruibilità dei metodi contraccettivi; la contraccezione avrebbe ricevuto sussidi dallo Stato e sarebbe stata gratuita per i meno abbienti; infine, sarebbe stata disponibile anche per le minorenni senza la richiesta del permesso del genitore.

L'iniziativa di Save the Women ha raccolto 215.000 firme e Stop Aborto circa 450.000. In Polonia, le proposte di legge cittadine hanno bisogno di 100.000 firme per essere accettate; in questo caso, entrambe hanno avuto successo e raggiunto il Parlamento.

A settembre, quando il Parlamento era prossimo a discutere le proposte, l'atmosfera politica ha iniziato a scaldarsi. Le Black Protest hanno iniziato a crescere con hashtag e slogan condivisi. All'inizio sembrava che fosse solo un'altra pratica di “clicktivist” che non avrebbe prodotto effetti oltre ad un nuovo modo di postare i propri selfie sui social, questa volta tutte vestite di nero. Invece, il 22 settembre, mentre il dibattito parlamentare proseguiva, alcune migliaia di persone si sono radunate sotto al Parlamento sotto quegli stessi slogan che circolavano in rete. Le persone in piazza si sono riunite sotto due differenti proteste, una guidata da Save the Women e l'altra da Razem.

Il 23 settembre la proposta ultraconservatrice di Ordo Iuris è passata al secondo grado di lettura, mentre quella di Save the Women è stata respinta – nonostante PiS avesse dichiarato che non avrebbe mai respinto una proposta popolare al primo grado di discussione; quest'atto è stato interpretato dalla popolazione come una manifestazione chiara dell'arroganza del potere.

Il diritto all'aborto non è un'idea delle élite viziate

Un sondaggio telefonico di un campione rappresentativo di 1.001 risposte, condotto da IPSOS per Oko.press subito dopo il voto parlamentare, ha rivelato che il supporto alla liberalizzazione era cresciuto significativamente, saltando dal 25% del settembre 2015 al 29% dell'aprile 2016, per arrivare al 37% nel settembre dello stesso anno. Nel sondaggio di settembre, il 39% delle donne e il 35% degli uomini rispondenti hanno dichiarato di supportare il diritto all'aborto per ragioni socio-economiche. Inoltre, i dati del sondaggio hanno infranto il mito che la richiesta di legalizzazione dell'aborto provenisse dalle classi privilegiate, dalle donne influenti e ben educate delle grandi città. L'idea della liberalizzazione della legge esistente è stata sostenuta dal 39% degli intervistati con licenza elementare o media, dal 43% con istruzione professionale di base, dal 37% con diploma di scuola superiore e solo il 27% in possesso di un titolo universitario. Tra quest'ultimi, il 67% in realtà si è dichiarato sostenitore della legge esistente. Ciò si spiega perché l'aborto clandestino e i viaggi sono molto più accessibili per le donne con un alto livello di istruzione, vista la loro fascia di reddito.

Un'altra delle numerose manifestazioni del Comitato per la Difesa della Democrazia (KOD) venne programmata per il 24 settembre. Il KOD è un movimento misto, composto da classi diverse, in difesa dei diritti democratici e della libertà nato dall'opposizione alle scelte autoritarie del governo PiS, iniziate nel 2015. Grazie al KOD, la Polonia è diventata un'arena di proteste contro il governo la cui intensità non ha avuto precedenti da oltre vent'anni. Le manifestazioni del KOD hanno iniziato a trasformarsi, con regolarità, in proteste di migliaia di persone.

Un appello alla Black Protest è stato emesso dalla marcia del KOD. Il “Blocco Nero” era formato da circa 200 persone, ma molti altri partecipanti alla manifestazione vestivano in nero. Anche se è difficile giudicare quanti di essi fossero vestiti in nero per ragioni politiche (faceva freddo e vesti nere e calde sono comuni in Polonia), le donne nero vestite hanno guidato la folla al suono degli slogan contro la legge sull'aborto.

Mateusz Kijowski, leader del KOD, nel suo primo discorso prese parola sul voto contro il progetto di legge di Save the Women: “Ieri la maggioranza parlamentare ha mostrato il suo profondo disprezzo per centinaia di migliaia di polacchi. Non hanno accettato il dibattito sulla proposta di riforma dei diritti umani, firmata da più di 200.000 donne e uomini polacchi”. Ha letto poi una lettera di Agnieszka Holland, regista, che scriveva: “Oggi il governo PiS vuole privare le donne della libertà e dell'uguaglianza. Vogliono togliere alle donne il diritto e la libertà di decidere sulle proprie vite, portando via la loro dignità, decretando che la vita di una donna vale meno della vita di un embrione.”

Black Monday

Il 1 ottobre una grande manifestazione ha invaso le strade di Varsavia; almeno 10.000 persone si sono radunate di fronte al Parlamento. Il sentore che la mobilitazione si stava intensificando è stato confermato il lunedì successivo, 3 ottobre, raggiungendo il suo culmine con la chiamata allo sciopero delle donne.
Quel giorno proteste e manifestazioni si sono tenute in 143 città, paesi e municipalità. Gli slogan femministi risuonavano: “Il mio corpo, la mia scelta”; “Io penso, sento e decido”; “Abbiamo cervelli, non solo uteri”; ma anche “La Polonia è Donna” e slogan contro il governo come “Beata, scusaci ma il tuo governo sarà spodestato dalle donne”, “Jarosław, giù le mani dalle donne” e “Abortiamo il governo”.

A Varsavia decine di migliaia di donne si sono raccolte in Piazza Castello della Città Vecchia. Per molte delle partecipanti è stata la prima manifestazione della propria vita. Il successo della manifestazione è stato completamente inaspettato, dato confermato anche dalla scelta del luogo della mobilitazione: Piazza Castello era troppo piccola per contenere un raduno così immenso. La folla era così tanta, la piazza così piccola, la pressione così alta e la situazione così a rischio che alle manifestanti era stato ordinato di rimanere immobili, minacciando altrimenti di sciogliere la protesta.

Una delle donne per cui la Black Protest è stata la prima manifestazione era Anna Nowak (nome di fantasia), una giovane ginecologa di un villaggio ad ovest della Pomerania. “Era il mio dovere partecipare alla protesta. Se il progetto fosse stato accettato, le mie pazienti non avrebbero potuto più avere nemmeno accesso agli esami prenatali e nessuna scelta sul dare o meno la nascita a bambini disabili. Questo significa spesso, per una donna, l'esclusione dal mercato del lavoro e la fine di una relazione, perché spessissimo in questi casi vengono abbandonate dai partner.” La dottoressa continua: “Ricordo una ragazza che portava in grembo un feto malformato, a cui era stato negata la possibilità di accedere all'aborto legale. Il feto era già grande e, secondo quanto riportato, la gravidanza era troppo avanzata. Ma non è vero, perché i feti malformati sono spesso più grandi del normale. Fu costretta a portare avanti la gravidanza. Alla quarantesima settimana ha partorito un bambino che ha perso la vita dopo tre minuti. Le ho consegnato io quel bambino.” La dottoressa Nowak sostiene la proposta di liberalizzazione della legge: “Tutte le donne devono poter scegliere”.

In risposta alla chiamata dello sciopero, molte donne che non si sono presentate a lavoro sono state sostituite dai loro colleghi uomini. Alcune alte cariche hanno sostenuto apertamente lo sciopero. Robert Biedroń, sindaco di Słupsk e attivista del movimento LGBTIQ, ha dichiarato prima delle proteste del lunedì: “Ho ricevuto molte comunicazioni da parte di donne che non si sarebbero presentate a lavoro. Ci sono interi dipartimenti nella mia città che non lavoreranno. Ciò potrebbe causare la paralisi del funzionamento del nostro centro, ma le capisco completamente. Credo che le donne debbano dimostrare al mondo quali sono le conseguenze del farle incazzare e cosa vuol dire dimostrare di voler decidere sulla democrazia.”

In numerose università è stato annunciato che gli studenti e le studentesse presenti in classe il 3 ottobre non avrebbero ricevuto una segnalazione per assenza. Alcuni imprenditori privati hanno chiuso le proprie attività commerciali, come Radosław Olszewski, proprietario di una catena di ristoranti a Wroclaw. Ha tenuto chiusi tutti i suoi ristoranti in cui lavorano 100 dipendenti, di cui 80 donne.

Molte donne che sono andate a lavoro invece lo hanno fatto vestendosi di nero, come ad esempio la maggioranza delle operaie della Indesit di Łódź. In molti luoghi di lavoro le donne hanno limitato i propri compiti, come le segretarie, ad esempio, che hanno smesso di rispondere al telefono.

Vista la varietà delle forme di partecipazione al Black Protest è difficile valutarne la portata in termini numerici, ma è stata comunque chiara la sua portata di massa. Secondo le stime della polizia, più di 100.000 persone hanno preso parte alle proteste in strada. E nei sondaggi successivi al Black Monday, il 67% degli intervistati si è dichiarato sostenitore della Black Protest.

Il successo

Gli effetti dell'inaspettata protesta di massa erano anch'essi inattesi: il PiS ha ritirato il suo supporto al progetto fondamentalista, che il 6 ottobre è stato respinto dal Parlamento. Jarosław Kaczyński, il leader del partito, ha ammesso durante il dibattito parlamentare che c'era stato un “gigantesco fraintendimento” e che “sono giunti alla conclusione” che il progetto di Ordo Iuris “non è adeguato, che avrebbe portato a un risultato opposto [di quello atteso]”. Ha rassicurato la popolazione che il PiS stava “supportando l'idea di proteggere la vita”, ma che avrebbe avuto bisogno di un'azione ben considerata, e quel progetto non lo era. Il Primo Ministro Beata Szydło ha annunciato un nuovo supporto sociale per le donne che avessero scelto di crescere figli disabili. Anche la Conferenza dei Vescovi si è dichiarata favorevole a riconsiderare il progetto, dichiarando che non sosteneva l'idea di punire le donne per l'aborto.

L'indomani: la lotta continua

La repentina ritirata del governo non è stata del tutto definitiva, poiché il governo e il principale partito restano sotto la pressione del disappunto degli ultraconservatori. L'idea di un nuovo piano restrittivo della legge esistente, difesa dal governo, è emersa molto velocemente. Tale riforma punterebbe a criminalizzare l'aborto in caso di malformazioni o malattie del feto, ma non è chiaro se il governo intenda realmente procedere in questa direzione o se la stia millantando per tenere a bada gli ultraconservatori che accusano il PiS di tradimento. Al momento una nuova legge, Per la Vita, è stata adottata, garantendo un incentivo economico di 1000 euro alle donne che scelgono di portare avanti una gravidanza e dare alla luce un feto malformato o malato. Questa legge vive nello spirito delle parole di Kaczyński: “La nostra aspirazione è che, anche in caso di gravidanze molto dure, quando un bambino è condannato a morte o a severe malformazioni, si giunga almeno a poter battezzare, seppellire e dare un nome a quel bambino”.

Ad ottobre, ha avuto luogo in Polonia il primo coming-out su un aborto: una giovane ragazza famosa, la cantante pop Natalia Przybysz, ha scelto di registrare una canzone sulla propria esperienza. La canzone racconta dell'auto-somministrazione di 42 pillole di Cytotec, che non hanno funzionato, e del viaggio in Slovacchia per dare finalmente fine alla gravidanza. Ha anche rilasciato un'intervista in cui descrive tutta la storia nel dettaglio. L'intervistatore ha inondato la ragazza di attacchi: l'ha chiamata “puttana” e “assassina”, e sullo sfondo su uno schermo capeggiava la scritta “Ha ucciso il suo bambino per fare una stanza per i libri”. Nella piccola città di Nadarzyn, in Mazovia, è stata organizzata una protesta per impedire il concerto di Przybysz. Dall'altro lato però, la sua apertura su questo tema è stata accolta entusiasticamente dalle femministe, dalla sinistra e da alcuni circoli liberali. Le donne hanno organizzato una raccolta online di post anonimi sulle proprie esperienze di aborto. Ma le critiche a Przybysz sono state mosse anche dalle partecipanti alla Black Protest più conservatrici, che si opponevano ai restringimenti sulla legge ma erano favorevoli a mantenere lo status quo del “compromesso”.

In tale contesto, nuove proteste sono state organizzate, specialmente nei giorni del 23 e 24 ottobre. Azioni e manifestazioni hanno animato numerose città, anche se decisamente più piccole del Black Monday. La divisione interna al movimento è divenuta più chiara non solo a causa delle differenti posizioni pro-choice, ma anche perché alcuni gruppi di sinistra hanno iniziato ad attaccate il KOD, dichiarando, ad esempio, che “il KOD si è appropriato della Black Protest”. In Polonia, sostenitori del vecchio regime così come i seguaci delle teorie di Antonio Negri hanno sconfessato il KOD sin dall'inizio perché al servizio dell'opposizione liberale: veniva mossa al KOD la critica di avere come unico obiettivo il “mascherare lo sfruttamento” e quindi, in tal senso, non era diverso dal PiS, come descrive un importante sostenitore di Razem e delle teorie di Negri, il professor Jan Sowa.

Małgorzata Tracz, presidente dei Verdi che ha supportato il KOD sin dall'inizio, conferma che molte donne del KOD erano impegnate nella Black Protest. Ammette anche che molte partecipanti del movimento erano contro gli attacchi al “compromesso” ma non sostenevano l'idea della liberalizzazione dell'aborto. Spiega: “Il mito del compromesso ha bloccato la possibilità di apertura al dibattito. Ma, in quanto partecipante ed organizzatrice, vedo un cambiamento: molte donne stanno cambiando la propria idea nel corso degli eventi. Le proteste sono divampate contro le ulteriori restrizioni sulle legge esistente, ed è nostro compito stimolare il dibattito in avanti, verso la liberalizzazione. Ora è tempo per un ulteriore passo”. Ha inoltre apprezzato il coming-out di Natalia Przybysz, perché in Polonia c'è la necessità disperata di vedere molte altre donne fare lo stesso. Al contempo si dice critica in merito ai commenti quali “Non sanno dove sono e che cosa stanno sostenendo”, relativi alle dichiarazioni di alcuni manifestanti che si sono detti soddisfatti dello status quo e contro la scelta di Przybysz. Tracz enfatizza che “questo è l'effetto del mito del compromesso, quello che abbiamo combattuto”.

Conclusioni

Anche se si è tentati di guardare alla Black Protest in maniera idealistica, come se fosse un movimento sociale nuovo spontaneamente emerso dal basso, per comprendere fino a fondo il fenomeno abbiamo bisogno di essere più realistici ed utilizzare un classico approccio marxista.

Lo scorso anno in Polonia, dopo che il PiS ha preso il potere, è avvenuta una riconfigurazione politica generale. La Polonia ha vissuto molti anni di pace sociale, durante i quali le riforme radicali neo-liberiste non sono sfociate in mobilitazioni contro il governo, nemmeno dopo la drammatica riforma delle pensioni del 2012 che ha aumentato l'età pensionabile dai 60 anni per le donne e i 65 per gli uomini a 67 per entrambi. Nel dicembre 2015, però, le persone sono scese in piazza contro il tentativo del PiS di prendere il potere sul Tribunale Costituzionale, il quale precedentemente non era stata nemmeno un'istituzione oggetto di un particolare interesse popolare. Questa protesta è stata guidata dal KOD, il quale è stato in grado di cogliere il momento e organizzare una manifestazione di 100.000 persone a Varsavia (un numero straordinario per la Polonia) con slogan in difesa della democrazia. Questo movimento ha giocato un ruolo importantissimo nella rinascita della cultura della protesta. Era divenuto chiaro che in Polonia le istanze politiche democratiche avevano una maggiore capacità di mobilitare le masse rispetto alle richieste di diritti sociali.

Sembra che la leva delle rivendicazioni politiche come potenziale di mobilitazione ha avuto anche un ruolo chiave nella Black Protest, e ciò si spiega, almeno in parte, con il suo successo. In pochissimo tempo il diritto all'aborto – anche se a malapena inteso come il diritto di porre fine ad una gravidanza dovuta ad uno stupro o a causa di un feto malformato – è cresciuto da questione sociale o addirittura ideologica a diritto fondamentale e simbolo di libertà civile. La lotta per il diritto all'aborto è stata collegata ad altre lotte per le libertà democratiche, e il tentativo del PiS di restringere la legge sull'aborto già esistente è stato interpretato come un ulteriore attacco alla democrazia. C'è qualcosa di fortemente simbolico nello schieramento contro tale restrizione della legge da parte di una delle celebrità più note della Polonia, Krystyna Janda, attrice protagonista delle pellicole “L'Uomo di Marmo” e “L'Uomo di Ferro” di Andrzej Wajda – film che rappresentano la lotta contro la soppressione dei diritti democratici e dei lavoratori sotto dittatura stalinista. Quando Janda ha postato sul suo profilo Facebook la notizia dello sciopero delle donne islandesi del 1975, è stato largamente interpretato come una chiamata allo sciopero diretta alle donne polacche (anche se l'attrice non intendeva proprio questo).

Tutto sommato, le proteste di massa delle donne polacche, senza precedenti, hanno immediatamente costretto il Parlamento a rinunciare all'idea di restringere la legge sull'aborto. Il partito di governo è capitolato pubblicamente di fronte allo scontento delle masse popolari. La grandezza e la forza delle proteste hanno lasciato tutti sconcertati. La Black Protest è la conferma lampante che la tradizione e la cultura di protesta politica di massa in Polonia è rinata e sta acquisendo sempre più forza.

*Fonte articolo: http://newpol.org/content/czarnyprotest
Traduzione a cura di Federica Maiucci