L'importanza di chiamarsi Ernesto in un corteo di donne

Wed, 29/11/2017 - 17:18
di
Tatiana Montella

L'importanza di chiamarsi Ernesto in un corteo di donne, si sa, ha il suo valore.
È giusto che Ernesto occupi la prima fila del corteo, perché Ernesto ogni giorno vive sulla propria pelle gli effetti della violenza maschile sulle donne, viene discriminato sui luoghi di lavoro e ha uno stipendio più basso, in ragione del suo ruolo nella società.
Ernesto è uscito da una situazione di violenza dopo anni di abusi e senza avere un lavoro, combatte nei Tribunali per i propri figli.
Ernesto è rimasto incinto e nessuno gli ha prescritto la pillola del giorno dopo.
Ernesto è un anno che discute, lotta, costruisce, indaga, riflette e ragiona sul suo posizionamento nella società.
Ernesto sa che nella gioia, nella fatica, nelle risate, nella rabbia e tra le lacrime, è l'unico soggetto che mantiene aperto uno spazio di cambiamento in questa società, nella fase più bassa delle relazioni di potere, di sfruttamento, di oppressione e razzismo.
L'importanza di chiamarsi Ernesto lo ha portato per un anno intero a fare notti in bianco per scrivere il piano, 5 assemblee nazionali, soldi spesi, confronti aspri e belli.
Ernesto ha affittato il camion, fatto stampare i manifesti, è andato in questura, ha fatto l'ufficio stampa, ha mediato tra posizioni politiche complesse per fare insieme un passo in avanti.
Ernesto lo sa che in questa strana Italia, il diritto di cronaca e di critica si è trasformato nella ricerca del sensazionale e quando questo non si ottiene in un corteo, allora si deve costruire ad arte il momento clou: giura di aver visto ad un corteo un giornalista inquadrare per ore un fumogeno che si spegneva, perché non c'erano stati scontri.
Ernesto sa che fa più notizia questo che discutere dell'importanza di aver costruito uno sciopero, un piano come proposta di analisi, principi, obiettivi e pratiche per contrastare la violenza maschile sulle donne, letta come elemento sistemico della società.
Ernesto sa che conta di più il suo corpo in prima fila, perché parlare di tutto questo significherebbe in primo luogo rimettere in discussione il posto privilegiato della relazione di potere tra i sessi.
Ernesto sa che è più importante che l'apertura del corteo sia degli uomini, per così dire solidali, che ci mettono la faccia, e pensa che le donne ed il loro brutto bisogno di protagonismo debbano sfilare dietro al camion, perché sa che autodeterminarsi significa in primo luogo scegliere per le migliaia di donne trans, migranti, precarie, che fuoriescono da situazioni di violenza.
Ernesto è consapevole che la sua vita vale più delle tante donne morte per femminicidio o in questo cimitero-mare.
Ernesto ha bisogno di criticare il piano, perché non parla di prostituzione nel modo a lui gradito.
Ernesto ha vissuto infatti sulla propria pelle lo sfruttamento della prostituzione e ha ben chiaro, ora che è un sex worker, cosa significa autodeterminarsi anche in questo ambito.
Ernesto è saggio e fa bene a dire alle donne che sono violente, perché non accettano di andare dietro e che sia la sua faccia a stare in prima fila.
Ernesto sa di essere vittima del sistema che definiamo femminismo, che vuole rimettere in discussione i rapporti di potere, sfruttamento ed oppressione.

Esprimo con questo mio scritto la piena solidarietà all'importanza di chiamarsi Ernesto, in forte critica con tutte quelle donne, trans, migranti e soggettività lgb, che da un anno a questa parte, riflettono, discutono e lottano, per un mondo libero dallo sfruttamento, dall'oppressione, dal sessismo e dal razzismo.
Rabbiose estremiste che si sono messe in testa di cambiare il mondo e per farlo, rimettono anche in discussione l'importanza di chiamarsi Ernesto e del suo cazzo in prima fila!