Le pratiche mutualistiche nei movimenti femministi

Fri, 27/04/2018 - 10:25
di
Marie Moise*

Per una genealogia femminista del mutualismo.

Questo mio intervento è un tentativo di connettere tra di loro in una costellazione storica quelle stelle di esperienza mutualistica che hanno brillato nel corso del tempo, dalla rivoluzione francese ai giorni nostri. Vuole inoltre proporre una genealogia femminista intersezionale del mutualismo, per individuare le pratiche con cui le subalterne hanno risposto a questo sistema di sfruttamento, che qui è compreso non solo a partire da un’asimmetrica divisione sociale del lavoro, ma anche sessuale e razziale (anche se non avrò modo di approfondire quest’ultimo aspetto). E il lavoro qui analizzato non è solo il lavoro produttivo e salariato, ma anche il cosiddetto lavoro di riproduzione sociale, ovvero quell’insieme di attività - non retribuite e imposte storicamente alle donne - di cura e riproduzione della vita umana, in termini biologici, ma anche di riproduzione quotidiana della forza lavoro e delle condizioni stesse per la riproduzione del sistema.

Le prime società di mutuo soccorso tra la rivoluzione francese e gli inizi del Novecento hanno sistematicamente escluso le donne. Tra i primi teorici del mutualismo, Pierre-Joseph Proudhon in testa, è forte l’idea che le donne siano degli esseri inferiori per natura. Tale concezione è alimentata da una idea della femminilità come condizione patologica. La gravidanza, nello specifico, è considerata una malattia. Con queste premesse l’esclusione delle donne dalle società di mutuo soccorso è giustificata con l’argomentazione, diffusa nel senso comune, che le donne si ammalino più spesso degli uomini. Di conseguenza l’assistenza sanitaria alle donne sarebbe troppo onerosa per le organizzazioni di mutuo soccorso.

Ma dagli albori del mutuo soccorso e da ben prima, a ben guardare, le donne hanno sempre risposto e lottato contro la misoginia attraverso pratiche di solidarietà reciproca.

1835. Flora Tristan rielabora la sua esperienza di migrazione, povertà e violenza di genere in una proposta politica e sociale, pubblicata a Parigi con il titolo: “Necessità di dare buona accoglienza a donne straniere”. Analizzando la divisione in classi sociali, intrecciata al lavoro di riproduzione sociale delle donne, e intuendo l’oppressione dei soggetti in migrazione, Tristan progetta una struttura associativa per l’accoglienza delle donne migranti:

“ogni epoca in cui una parte della società soffriva e sentiva il bisogno di un cambiamento, delle associazioni hanno anticipato le riforme. Queste associazioni avevano come obiettivo di aiutarsi tra di loro, mutualmente, di soccorrere i fratelli afflitti e perseguitati, perché, deboli come siamo noi, considerati individualmente, non è che nell'Unione che possiamo riporre la forza. [...] Cominciamo allora con mano ferma a sollevare la bandiera del mutuo soccorso, costruiamo un’intera società [...] ospitale, e solleviamo una parte di questi esseri che soffrono”.[1]

1849. Jeanne Deroin e Pauline Roland sono tra le fondatrici dell’Union des association ouvrières (Unione delle associazioni operaie). Lo statuto dell’Unione non soltanto prevede la partecipazione delle donne, ma una presa in carico da parte dell’associazione di anziani bambini e invalidi. L’Unione prevede, inoltre, una strutturazione in tre comitati, uno di produzione uno di consumo e uno di redistribuzione il cui lavoro è approvato da un’assemblea generale dei soci, secondo il principio “a ciascuno secondo i proprio bisogni”. A questi si affiancano anche un lavoro di educazione e alfabetizzazione.[2] Arrestata e poi esiliata, Deroin scrive in diretta polemica, teorizzando modelli di mutualismo incentrati non soltanto sulla produzione ma anche sulla riproduzione sociale e scrive:

Affermiamo in nome della sacra legge della solidarietà che nessuno ha il diritto di essere completamente libero e felice fino a che vi sarà un solo essere oppresso e sofferente.”[3]

1 marzo 1862. Nasce a Milano l’Associazione generale di mutuo soccorso ed istruzione delle operaie, 587 socie, per iniziativa del corrispettivo maschile dell’associazione, ma la direzione, l’economia e contabilità, l’intera gestione dell’associazione è in mano alle donne. L’associazione prevede un sussidio malattia e di maternità in cambio di una quota mensile e di una tassa d’iscrizione proporzionata all’età.[4]

23 ottobre 1872. A Bondeno Ferrarese un’alluvione devasta il paese. Su iniziativa in particolare di una marchesa della regione, la marchesa Pepoli, si attiva una raccolta fondi per le vittime dell’alluvione. Il ricavato della cassa di solidarietà viene trasformato per iniziativa della marchesa nel capitale di partenza per una cooperativa che associa le operaie tessitrici di Bondeno, le principali vittime dell’alluvione. Di lì a poco inizierà la produzione.[5]

Come emerge da queste esperienze le prime forme mutualistiche rivolte alle donne in Italia hanno un’impronta paternalistica e assistenziale, dalle quale tuttavia le donne si renderanno ben presto autonome, intrecciando cooperativismo, mutualismo e lotta sindacale.

1883. Nasce a Milano la Fratellanza artigiana per iniziativa della lavoratrici stesse. La società assicura sussidi di malattia, maternità e scuole gratuite di cucitura meccanica. A queste si connette un’attività politico-sindacale, con la quale la Fratellanza rivendica la dignità delle associate in quanto donne e lavoratrici: “una vittoria non l’abbiamo ancora conseguita - afferma una delle fondatrici, Angela Maffi - ma ci siamo procurate coll’associazione i mezzi di ottenerla. Siamo migliori di quanto non l’eravamo prima, perché abbiamo messo a servigio l’una dell’altra le nostre forze separate, le nostre modeste idee, le aspirazioni nostre.”[6]

15 maggio 1896. Dal primo sciopero di donne in Italia nasce una delle più importanti cooperative di produzione gestita da donne.

Lo sciopero viene lanciato dalle trecciaiole, le lavoratrici della paglia, nella periferia fiorentina. Le trecciaiole erano lavoratrici salariate per conto di un padrone, ma allo stesso tempo lavoratrici a domicilio. In una condizione di fortissimo isolamento, lavoravano per salari letteralmente da fame, entro le mura domestiche.

La lotta di queste lavoratrici è stata a lungo inibita non soltanto dalla paura del padrone, ma anche dal quadro familiare, in cui mariti e fratelli vietano alle donne di uscire di casa a protestare. Ma l’insofferenza delle trecciaiole si acuisce a causa della speculazione che i fattorini fanno sul loro lavoro al momento della consegna del prodotto ai negozianti. Il 15 maggio 1896 le trecciaiole scendono in piazza, vanno inizialmente all’attacco dei carretti dei fattorini, li ribaltano e li incendiano, passano davanti alle industrie della regione incitando i lavoratori a scioperare in solidarietà. Infine arrivano a Firenze dove bloccano i binari dei tram, circondano il municipio e si scontrano fisicamente con la polizia. Gli arresti che ne conseguiranno, susciteranno però la solidarietà dell’opinione pubblica. La camera del lavoro interviene allora nella mobilitazione e il 16 giugno 1896 nascono le prime due cooperative di trecciaiole, per un totale di 683 socie, che salirà a un paio di migliaia nel giro di poco tempo, eliminando i profitti degli intermediari.[7]

1899. Da alcune socie dell’Associazione generale di mutuo soccorso e di istruzione delle operaie, nasce in via Moscova a Milano, l’Unione femminile. Essa mette in rete e coordina decine di associazioni femminili, attività produttive ed educativo-culturali, guardando al modello della federazione italiana delle società di mutuo soccorso e alla Lega delle cooperative. L’Unione femminile diviene non soltanto un collettore ma anche un moltiplicatore di iniziative di intervento sociale e politico. Tra le attività, si annoverano gli sportelli di assistenza per ottenere sussidi, un ufficio di collocamento delle domestiche insieme a una struttura abitativa temporanea per le giovani in cerca di lavoro, i giovedì delle socie (ovvero momenti di discussione politica informale e conoscenza tra le associate), un laboratorio di produzione tessile, e infine la Fraterna, ovvero la società di mutuo soccorso delle piscinine - le piccoline, in milanese - fondata in seguito e a sostegno del loro sciopero del 1902.[8] Il 23 giugno di quell’anno 250 bambine tra i 6 e i 15 anni, sulla carte apprendiste sarte, ma di fatto lavoratrici quasi schiavizzate si mettono in sciopero e scendono in corteo, 75 di loro perderanno il lavoro. L’unione femminile interviene in loro sostegno, inaugurando una società di mutuo soccorso per loro, insieme a una scuola di formazione e degli spazi che rispondano anche alle necessità ludiche e ricreative delle lavoratrici bambine.[9]

1973, nasce in Francia il Mouvement pour la liberté de l’avortement et de la contraception (Movimento per la libertà dell’aborto e della contraccezione), che mette in rete associazioni, partiti ma anche molte singole donne e moltissimo personale ospedaliero che sostiene il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Nascono in diverse città di Francia delle cliniche autogestite e clandestine di pratica dell’IVG sulla base delle reti di solidarietà e del contributo di medici e infermiere/i. Nel giro di poco tempo il movimento conta 15000 aderenti e migliaia di IVG praticate. La principale motivazione, che spinge le donne a rivolgersi al movimento è la condizione di difficoltà economica. La pratica dell’IVG in forma autogestita e illegale portata avanti dal movimento, ha un impatto fortissimo sulle politiche del governo. Nel 1975, con la Loi Veil, l’aborto in Francia diventa legale.[10]

1896. Nasce a milano il primo centro antiviolenza autogestito dalle donne. Si chiama ancora oggi Casa delle donne maltrattate di Milano.[11] La sua nascita si deve all’attivazione di una cassa di solidarietà con cui le donne dell’UDI (Unione Donne Italiane), raccolgono un milione di Lire, ovvero il quantitativo che permette il pagamento dell’affitto della prima casa segreta per le donne vittime di violenza.[12] In queste strutture trovano rifugio le donne che per fuoriuscire da relazioni violente e salvarsi la vita hanno bisogno di entrare in clandestinità.

Le parole chiave di questo lavoro sono l’auto-aiuto, l’autodeterminazione, e l’empowerment[13], termini che arricchiscono di sfumature in realtà sostanziali la pratica del mutualismo. Esse indicano che nella dimensione collettiva si lavora per alimentare nella singola persona le risorse, la forza per lottare e resistere, ma è soltanto nella relazione, reciproca e circolare che questo si può dare, e che permette a chi fuoriesce dalla violenza di restare nella rete, a supporto di chi arriverà dopo.

8 marzo 2016. Il movimento femminista di Non una di meno, costruisce in Italia il primo sciopero produttivo e riproduttivo contro la violenza di genere. A costruirlo, in rete, sono i centri antiviolenza, i consultori e le consultorie autogestite, i progetti di educazione alle differenze nelle scuole, in breve: le donne e li soggetti direttamente colpiti dalla violenza di genere, sul lavoro, in casa, nel rapporto con le istituzioni.

La costruzione dello sciopero ha tra le sue pratiche una cassa di mutuo soccorso che rimborsi la giornata di lavoro di sciopero a chi ne abbia abbia necessità, spazi di lavoro di cura socializzato come asili in piazza, pranzi collettivi, sportelli di assistenza.

25 novembre 2017. Esce in italia il primo Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. Un lavoro di scrittura condivisa che ha messo in rete migliaia di donne, assemblee territoriali e nazionali, con cui si è arrivati ad un’analisi complessiva di tutte le sfumature di un fenomeno, la violenza, inteso come strutturale nel sistema produttivo e riproduttivo. Per ogni sfumatura della violenza si rivendicano in questo piano le soluzioni concrete e possibili, e gli strumenti per concretizzarle. Tra questi, oltre allo sciopero, il mutualismo e la solidarietà.[14]

La parola d’ordine con cui Non una di meno definisce il mutualismo è #wetoogether.

E’ la risposta ai milioni di #metoo (“anche io”), l’hashtag con cui le donne di tutto il mondo hanno iniziato a denunciare pubblicamente di aver subito violenza. #wetoogether è il modo per dire che milioni di “io” che hanno lo stesso vissuto di violenza e sfruttamento devono diventare un grandissimo “noi”, un “noi-insieme”, in cui avere cura l’una dell’altra, aiutarsi a vicenda a resistere, sopravvivere e uscire insieme da quella stessa condizione.

Da questa breve genealogia femminista delle pratiche mutualistiche quello che mi sembra emergere è che il mutualismo è una risposta, non soltanto alla divisione sociale del lavoro ma anche alla divisione sessuale di questo. La solidarietà reciproca tra quei soggetti che, in quanto assegnati al genere femminile, si trovano a dover svolgere il lavoro di riproduzione sociale del sistema oltre che il lavoro salariato in condizioni di precarietà strutturale e salari più bassi, è un trampolino di lancio per rompere questa divisione.

In secondo luogo, la solidarietà reciproca tra chi sta da una parte e dall’altra di questa divisione sessuale del lavoro si trasforma invece nella sperimentazione, nel qui ed ora, di un nuovo modo di stare insieme, in società, che non soltanto è possibile ma, urgente e necessario.

Tutte queste forme di mutualismo si concretizzano come strumenti di sopravvivenza per chi non riesce a sopravvivere altrimenti, come strumenti di coagulazione delle forze, per rivendicare e fare vertenza contro chi la forza la monopolizza. Infine, ma non da ultimo, il mutualismo si concretizza come pratica di relazione umana, basata sulla cura reciproca, cura dell’altro che diviene cura di se, ovvero di un soggetto collettivo, impensato, in formazione.

*Fonte articolo: http://www.fuorimercato.com/206-le-pratiche-mutualistiche-nei-movimenti-...
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[1] http://www.communianet.org/lotte-di-classe/necessit%C3%A0-di-dare-una-bu...

[2] Cf. M. Dreyfus, Les femmes et la mutualité française. De la Révolution française à nos jours, Editions Pascal, Parigi 2006, pp.23-24; A. Ranvier, Une féministe de 1848: Jeanne Deroin, Revue d'Histoire du XIXe siècle - 1848 Année 1908 24 pp. 317-355

[3] J. Deroin, Association fraternelle des démocrates socialistes des deux sexes - Pour l'affranchissement politique et social des femmes, Imprimerie de A. Lacour, Parigi 1849, p.4 (Traduzione mia)

[4] Aa Vv, L’audacia insolente. La cooperazione femminile 1886-1986, Marsilio Editori, Venezia 1986, p.23ss

[5] Ibidem, p.27ss

[6] Ibidem, p.30

[7] Ibidem, p.45ss; Cf anche F. Gambacciani, Il primo sciopero femminile fu nella piana: a guidarlo le trecciaiole, Piananotizie. Quotidiano online della piana fiorentina, 06/05/2015.

[8] Ibidem, p.79ss; Cf anche Studio Origoni e Steiner con L. Pergego, R. Cesani e T. Moltoni (a cura di), Storia dell’Unione femminile nazionale, materiali della Mostra storica dell’Unione femminile nazionale, Milano 2013.

[9] F. Imprenti, Operaie e socialismo. Milano, le leghe femminili, la Camera del lavoro (1891-1918), Franco Angeli, 2007, p.180ss.

[10] Michelle Zancarini-Fournel, « Histoire(s) du MLAC (1973-1975) », Clio. Histoire‚ femmes et sociétés [En ligne], 18 | 2003, 18 | 2003, 241-252.

[11] www.cadmi.org

[12] Ringrazio Marisa Guarnieri, presidente onorario di CADMI, di avermi raccontato questa storia.

[13] https://www.direcontrolaviolenza.it/i-centri-antiviolenza/

[14] Abbiamo un piano “Al fine di rompere la frammentazione e l’isolamento che contraddistinguono il mondo del lavoro contemporaneo, riteniamo fondamentale riaffermare, tra le nostre pratiche femministe, l’importanza della costruzione di nuove reti solidali e di mutuo soccorso, riaffermare cioè, contro la barbarie, l’individualismo e la solitudine, la potenza dell’essere in comune, il sostegno, la sorellanza. Mutualismo e solidarietà contro le ritorsioni datoriali, contro i ricatti, le molestie, le discriminazioni e ogni forma di violenza dentro e fuori i posti di lavoro; reti di supporto tra le lotte, creazione di casse di resistenza per sostenere le stesse e le situazioni di difficoltà delle lavoratrici; spazi - sulla scia della storia dei movimenti femministi che hanno rivendicato, costruito e autogestito servizi delle donne per le donne espropriando al dominio maschile conoscenze e decisioni - dove sia possibile rimettere al centro i propri bisogni e desideri, l’ascolto e il mutuo aiuto, scambio e autoformazione sui diritti che abbiamo e quelli che vogliamo conquistare”. p. 31. https://nonunadimeno.files.wordpress.com/2017/11/abbiamo_un_piano.pdf