Il sottile razzismo di quel “catcalling video”

Wed, 05/11/2014 - 12:43
di
Cinzia Arruzza

Un paio di settimane fa il gruppo Hollaback ha pubblicato un video che mostra una ragazza mentre cammina per le strade di New York venire sistematicamente e continuamente molestata verbalmente, soggetta a “complimenti” non richiesti e non voluti e persino insultata violentemente, quando si mostra indifferente al molestatore di turno.
Il video, ormai noto come “catcalling video”, è immediatamente diventato il nuovo trend non solo dei social media, ma persino dei grandi canali televisivi statunitensi, divisi tra liberals scioccati dalla drammatica “scoperta” che la molestia a base sessuale è parte integrante della vita quotidiana delle donne e i maschilisti abituali che tendono a minimizzare la questione definendo i fischi per strada come complimenti, galanteria o innocente goliardia.
Il primo dato di fatto da notare è certamente che mette parecchia tristezza e anche una certa dose di rabbia dover constatare che era necessario un video perché il mondo si accorgesse dell’esistenza di un’esperienza che metà della popolazione mondiale vive quotidianamente sulla propria pelle. E tuttavia, questo video non è certo il primo a mettere in evidenza un dato di fatto in fin dei conti noto a chiunque: per anni sono proliferati articoli, video, vignette, fumetti che denunciavano lo stesso problema e rimandavano al mittente i tentativi di sminuire la questione basati sul classico mantra che: “si sa, alle donne un complimento piace sempre”. E quindi per quale motivo questo video è diventato così popolare da porsi al centro di un dibattito dai toni anche accessi sulle molestie in strada?

A guardare con un po’ d’attenzione il video, la ragione principale salta subito agli occhi. Il video ritrae una ragazza bianca mentre cammina per lo più in quartieri poveri o disagiati e viene costantemente molestata da uomini per la stragrande maggioranza di colore o latini. Il messaggio comunicato dal video è abbastanza chiaro: povertà e appartenenza razziale sono una chiave fondamentale di lettura del sessismo vissuto dalle donne per le strade della città. Certo, uno potrebbe obiettare che se questa è la realtà dei fatti, non si può certo accusare gli autori del video di razzismo solo perché hanno fotografato la realtà. Il problema è che questa non è la realtà dei fatti. In primo luogo Hollaback ha ammesso che nel girato originale diversi uomini bianchi si lasciavano andare a commenti sessisti, ma che questi fotogrammi sono stati eliminati in fase di montaggio o perché i commenti avevano avuto luogo fuori camera, o perché non si sentivano bene. In secondo luogo, la scelta di centrare l’intero video esclusivamente su una donna bianca, nella città con il più alto tasso di diversità etnica e razziale al mondo, ha nei fatti reso invisibile la specifica forma di sessualizzazione a cui sono state storicamente soggette le donne di colore negli Stati Uniti. Infine, la scelta dei quartieri, per lo più poveri o ad alta concentrazione di popolazione afro-americana e latina: forse non ci sono molestie sessuali nell’Upper East Side o nell’Upper West Side? Mi sia consentito dubitarne…

Qualche giorno fa il New York Times ha pubblicato la domanda: “Abbiamo bisogno di una legge contro il catcalling?”, invitando i lettori al dibattito. Ed è qui che i contorni della vicenda iniziano a farsi inquietanti. A partire dalla guerra alle droghe lanciata da Reagan in poi, il controllo poliziesco e l’incarcerazione di massa sono divenuti il perno centrale di una politica di continua segregazione razziale e super-sfruttamento del lavoro razzializzato. A New York il programma ‘stop and frisk’, fortemente sostenuto dall’ex sindaco Bloomberg, è arrivato a causare il fermo e la perquisizione di 700.000 persone l’anno, il 90% delle quali di colore e latine. In campagna elettorale il nuovo sindaco De Blasio aveva fatto della fine di stop and frisk uno dei punti centrali del suo programma. A un anno di distanza, se la situazione è migliorata in termini di numeri assoluti di fermi e perquisizioni, non è certamente migliorata in termini di proporzioni razziali: solo il 14.4% dei fermati nel 2014 è bianco.

A questo punto dovrebbe apparir chiaro per quale motivo il video di Hollaback sta avendo un tale successo. Con la sua rappresentazione del tutto deformata della realtà della molestia di strada a sfondo sessuale, con il suo implicito appello al mito dello stupratore nero, che negli anni Venti e Trenta del secolo scorso venne sistematicamente utilizzato come pretesto per il linciaggio, questo video sta aprendo un’autostrada a ulteriori politiche poliziesche e repressive che aggraveranno ulteriormente le condizioni di segregazione razziale nel paese. Non solo, questo video sta anche dando un’ottima scusa ai sessisti bianchi, soprattutto se di classi agiate, che possono in questo modo avere buon gioco nel considerare i fischi per strada un retaggio di una condizione di degradazione culturale e di povertà. E questo in un paese in cui lo stupro nei campus a opera di ragazzi bianchi di classi medie e agiate è talmente endemico da assumere i contorni di una sorta di sport nazionale, peraltro spesso coperto e silenziosamente protetto dalle amministrazioni universitarie e dalle forze di polizia. Infine, l’isteria sulla molestia da strada rischia di far perdere di vista il dato di fatto che circa il 70% delle aggressioni sessuali e delle violenze contro le donne avviene a opera di familiari, partner, ex partner o comunque persone conosciute.

Lungi dall’evidenziare un problema solo americano, il cosiddetto “catcalling video” solleva un problema di fondo per il femminismo di tutti i paesi occidentali. La strumentalizzazione di questioni di genere a scopi razzisti o islamofobi è ormai divenuta pervasiva. E’ del tutto possibile che queste non fossero le intenzioni del gruppo Hollaback. Ma il fatto è che, nelle condizioni attuali, anche la scarsa attenzione, la cecità rispetto all’intreccio di questione razziale e di genere e l’omissione sono sufficienti a produrre questo risultato. In altri termini, il femminismo non può più dirsi innocente: o pone la questione del razzismo al centro della propria attenzione e delle proprie preoccupazioni, o produce mostri.
Sono stata molestata per strada talmente tante di quelle volte, in circostanze e in paesi diversi, da aver non solo perso il conto, ma anche da aver ormai acquisito l’abitudine di modificare atteggiamenti, modi di camminare e persino lo sguardo quando giro da sola di notte. Conosco bene di cosa si sta parlando. Ma di questo video e di questo “femminismo” non so davvero che cosa farmene. Mi rimane dunque da dire: non in mio nome, grazie.