Gestazione per altri: l'antiproibizionismo non basta

Wed, 27/07/2016 - 17:09
di
Nadia De Mond

Dopo gli interventi di Lidia Cirillo e Daniela Danna, e l'ulteriore risposta di Lidia Cirillo, torniamo sul dibattito riguardante la gestazione per altri con un articolo di Nadia De Mond.
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Continuando il dibattito sulla Gpa, cercherò di spiegare perché non mi convince la posizione antiproibizionista tout court.

Apprezzo gli studi empirici fatti da Daniela Danna sulla Gpa realmente esistente e molti degli argomenti da lei utilizzati a sostegno della posizione delle madri biologiche o gestanti (sono cosciente che chiamandole così minimizzo l’apporto del Dna) e faccio fatica a capire la difesa ad oltranza di un principio di “autodeterminazione” o “libertà di scelta” dell’individuo che non contestualizzi questi sacrosanti concetti all’interno della società di classe, razzista e patriarcale, nella quale viviamo.

Come ci raccontava una nostra compagna ucraina, nel suo paese la scelta per molte giovani donne è tra coltivare un campo di patate per i prossimi trent’anni sull’orlo della sopravvivenza, sposare un vecchio ricco schifoso (magari occidentale), o affittare il proprio utero. Quindi magari si “sceglie” quest’ultima opzione come male di minore durata. E quindi noi che cosa diciamo, le togliamo anche quest’ultima possibilità o gliela regolamentiamo?

Per me il dibattito va spostato. Se dobbiamo regolamentare qualcosa, lottiamo per stabilire un salario minimo per tutt*, contro i trattati commerciali che riducono alla fame i popoli fornitori di materie prima, contro la tratta delle persone e il caporalato...

E nel frattempo? Sì, cerchiamo almeno di limitare gli eccessi sempre più atroci del turbo capitalismo mondiale che come una piovra velenosa invade tutti gli angoli di questo pianeta fino alle sfere più intime e vitali. L’inviolabilità del corpo è una frontiera da non valicare; da difendere con le unghie e con i denti. Anche – e non solo – con le leggi.

Mi rendo conto che è un dibattito che rimanda agli albori del movimento operaio, agli scontri tra anarchici e socialdemocratici – ma anche a quello ormai storico tra femminismo radical/liberale e femminismo socialista – sul ruolo dello Stato. In questo dibattito io ritengo che l’antiproibizionismo non sia un valore assoluto, valido sempre e ovunque. Sono a favore della proibizione della schiavitù, dell’acquisto di organi, del traffico delle persone (di solito donne) e non c’è “consenso” che tenga.

La funzione della proibizione non è solo giuridica ma ha anche una valenza ideologica e simbolica molto forte. Nel caso della Gpa il messaggio in questo senso è chiaro: il corpo di una donna non può essere ridotto a un contenitore in cambio di denaro; i cuccioli di umani non sono acquistabili.

Le pratiche che Lidia chiama “fuori mercato” o di “mutuo soccorso”, applicando alla Gpa un gergo caro a quest’area politica, si riducono a mio avviso agli scambi all’interno di una comunità, amiche e compagne care, sorelle e parenti che provano insieme a ridisegnare i contorni delle famiglie. Non rispondono al problema reale delle migliaia di donne costrette ai lavori più pesanti o umilianti per sopravvivere.
E onestamente mi sento responsabile, a partire dalla mia posizione privilegiata, di lottare per leggi e regole che tutelino innanzitutto loro.