A colpi di tetta

Wed, 20/01/2016 - 16:42
di
Saura Effe

È successo che partendo dall'università Bocconi, con a seguire la Cattolica di Milano, l'Italia tutta è stata ridestata dal suo sonno al richiamo delle zinne al vento. 
Foto di studentesse scollate, in reggiseno o senza, che hanno scritto sul candore del proprio girocollo ognuna la sua formula: hastag + nome della loro universitá di provenienza + ♡.
Trovo triste che in una società che si vanta di essere civile una donna, per portare attenzione al proprio ateneo, debba mostrare il proprio seno.
 Trovo triste la situazione cultural-patriarcale, non la donna e le sue azioni: lei può fare tutto quello che vuole col suo corpo. Trovo triste il contesto in sé, trovo sia un'immagine che riflette l'attuale stato delle cose, della cultura "italiana" e non. Per apparire, per metterti in risalto, meglio che tu sia disposta a mostrare le tette piuttosto che i tuoi successi accademici.

Mi dispiace che perfino scherzando, perfino nell'ambito del gioco, una donna possa essere apprezzata come "spiritosa" nel momento in cui "ci sta" o meglio ancora "le esce". 
Perché allora vuol dire che è una che sta allo scherzo, che sta al gioco, che fa divertire i maschi assecondandoli. Poco importa se le vada davvero o meno. L'importante è che stia allo scherzo... se no presto, conducete la fanciulla alla gogna tacciandola d'esser una musona, screditandola sulla pubblica piazza.
Mi dispiace soprattutto per tutte quelle donne che in tutta la loro vita, dovranno "uscirle" un sacco di altre volte per avere voce in capitolo. 
E non quando lo vogliono, consensualmente, per loro scelta, ma quando vogliono gli altri, l'alternativa al silenzio, la scelta del compromesso. Costrette in un ruolo imposto da Lady Godiva.
 Inutile dirlo, questa non è una società fondata sull'uguaglianza.

Personalmente, non avrei postato su pagine di dubbio utilizzo e gestione come SpottedUnimi una foto delle mie tette e non perché io sia o mi senta bigotta, moralista o bacchettona, ma perché mi sembra che il corpo femminile, il mio almeno, sia già sessualizzato in centinaia di occasioni in cui potrebbe tranquillamente non esserlo e vorrei che alcuni ambiti, come quello accademico, invece fossero intesi come dei porti sicuri in tal senso. Safe zone. E invece no. 
Non giudico assolutamente nessuna delle ragazze che ha deciso di scattare una foto del proprio décolleté, dico solo che io non l'avrei fatto. 
Mio il corpo, mia la scelta, insomma.

Apprezzo sinceramente invece che una giovane donna ami e apprezzi il proprio corpo tanto da volerlo esporre. Mercificazione? 
Ma no, non ce la vedo la mercificazione se la ragazza soggetto delle foto è ben consapevole e convinta di quel che fa con ciò che le appartiene. Perché è soggetto e non oggetto. Ci mancherebbe. 
Ogni donna dovrebbe essere libera di esporre il proprio corpo, di vantarsene, di mostrarlo fiera e orgogliosa. Esibizionista? Sì, perché no? Piacersi è bello e piacere ad altr* pure, quindi, non venire a farmi la predica, dai. Perché devo coprirmi? Riprendiamoci il diritto di esporci senza essere insultate, molestate e infangate. Riprendiamoci il piacere di piacerci e piacere senza che la tal cosa si tramuti in un pericolo di qualsiasi tipo. Riprendiamoci il diritto di dire che sì, lo sto facendo perché voglio attirare la tua attenzione.
Apprezzo che una ragazza si senta libera sessualmente, si senta libera di mostrare un pezzo di carne, di pelle, anche goliardicamente. 
Che ironizzi col e sul proprio corpo e magari anche sul fatto che in università capiti di andare avanti grazie a quelle due protuberanze che ci capitano sul petto. Ah sì, una comodità.

Di tutto questo mi interessano alcuni fenomeni sociali.
Perché le ragazze non si mostrano in viso? 
C'è la volontà di partecipare alla campagna fotografica ma al contempo quella di salvaguardare la propria identità, la propria persona da molestie, attenzioni non gradite. Sono le donne quelle più ricattate in assoluto per loro scatti ritenuti "osé". È un fatto che nessuna si sia sentita abbastanza sicura tanto da "rendersi riconoscibile". Non per una questione di etichetta accademica, ma di controllo delle conseguenze sulla propria immagine.
 Se i loro colleghi uomini avessero preso parte all'iniziativa la faccia ce l'avrebbero messa? 
Perché dire che si posta la tal foto per promuovere il proprio ateneo? 
Perché una donna per mettersi in mostra deve "avere una buona giustificazione", deve motivare l'atto, deve farlo passare come legittimo? Non possiamo dire che vogliamo far vedere le poppe e basta? Entra qui in scena la paura di incappare in paternali e insulti. "Dai, se le esci perché ti piace uscirle è perché sei zoccola inside. Almeno inventati un pretesto." Wrong way, again.

Di tutto ciò mi preoccupano anche le conseguenze.
Chi guarda quelle foto è tendenzialmente un maschio medio, arrapato sopra il libro di economia e che difficilmente si rifarà ad un discorso legato alla cosiddetta "body positivity" o legato alla riappropriazione della sessualità e del corpo femminile (se non è così, prego lor signori, di farsi avanti). 
Non penserà "wow, finalmente una persona consapevole di sé stessa che vuole rompere coi dettami imposti da una società cattolica e benpensante e denunciare con sarcasmo la società maschilista vigente, che vuole con quest'atto eversivo a sé soggiogare ruoli preimposti e preimpacchettati".
Vedrà la foto e penserà "minchia che minne" e nel migliore dei casi darà alla tipa in questione della "cagna" o della "troia" a seconda che il vento soffi da est verso ovest o viceversa. Ancora, se ne uscirà con commenti tipo "pensa suo padre, tutti quei soldi per farla studiare e ora fa la puttana in dipartimento" (come se, mi faceva notare una cara amica, fossimo tutte qui a ciucciare il welfare ai nostri genitori, come se fossimo tutte nelle stesse situazioni economiche e non ci fosse chi, tra noi, passi la giornata a sputar sangue per arrivare a fine mese e pagarsi, sì da sola, pure le tasse universitarie).

Di nuovo, fomenterà idiozie stereotipate come "oh, quelle del Poli di Lecco ce le hanno più grosse di tutte e sono tutte delle gran maialone" featuring with "certo che certe donne son proprio zoccole", dividendo ulteriormente il gap tra la categoria delle sante da quella delle puttane.
Sì, siamo tutte maialone, e ce lo rivendichiamo, quindi?

Mi preoccupa che il nostro mondo, la nostra cultura così fieramente occidentale e patriarcale non sia per niente pronta per accedere a immagini di questo tipo con la dovuta compostezza, educazione, critica e soprattutto con un approccio antisessista.
Mi preoccupa che una immagine ritraente due seni possa essere completamente travisata o che questa venga letta come un invito, come un complemento a quella cultura della violenza sulle donne che cerchiamo invece di sradicare.
Mi preoccupa che una delle reazioni comprenda quella dello sdegno e dello scandalo, quella dello "slut shaming" non solo da parte di uomini ma da parte anche di altre donne che si ritengono moralmente migliori dei soggetti ritratti.
Mi preoccupa che la reazione possa essere quella del "sei da sturpo", del "e poi dicono che non se le cercano".
Mi preoccupano seriamente le controcampagne, promosse da singoli ma anche da sindacati studenteschi, che vertono "sovversivamente" su fotografie delle fronti delle loro donne su cui ancora una volta campeggia la scritta dell'ateneo originale. Smettetela di usarci come insegne pubblicitarie su cui fare campagne elettorali, come lavagnette su cui dire la vostra, con cui dividerci in cagnette da casa o da strada.
Mi preoccupa che ci sia una "colpa" che in qualche modo deve trovare il suo possessore e che sarà, scommettiamo, di sesso femminile: o troppo sfrontato e volgare, o troppo serioso e frigido.
In ogni caso, signore mie, siamo noi che non ne combiniamo una giusta, vero?

Non esibire il proprio corpo, coprirsi, diventare invisibili, seguire un codice "morale" per non incappare in queste spiacevoli conseguenze, non servirà assolutamente a niente. È sempre più necessario impostare un discorso non sulla decenza o sulla cosiddetta virtù ma sulla comprensione di certi meccanismi mediatici, sulla consapevolezza del proprio corpo e delle questioni sociali e politiche che lo riguardano. 
Dobbiamo interrogarci su quali pratiche usare per rompere questi stereotipi e questo sistema, cercare mezzi che non ne siano sussunti. Interroghiamoci tutte e tutti su come fare. 
È importante combattere reazioni come quelle che abbiamo visto e letto, con idee e pratiche femministe, per abituare questo mondo al fatto che, di osceno, ha solo sé stesso.