Abbiamo bisogno di un femminismo per il 99%. Ecco perché le donne sciopereranno quest’anno

Tue, 30/01/2018 - 11:15
di
Linda Alcoff, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Rosa Clemente, Angela Davis, Zillah Eisenstein, Liza Featherstone, Nancy Fraser, Barbara Smith, Keeanga-Yamahtta Taylor*

Pubblichiamo la traduzione dell'appello delle donne degli Stati Uniti verso lo sciopero dell'8 marzo.

L’anno scorso l’8 marzo noi, donne di ogni tipo, abbiamo manifestato, smesso di lavorare e ci siamo riprese le strade in cinquanta paesi di tutto il mondo. Negli Stati Uniti abbiamo fatto comizi, manifestato, lasciato i piatti da lavare agli uomini, in tutte le principali città di questo Paese e innumerevoli città più piccole. Abbiamo completamente bloccato tre distretti scolastici per mostrare al mondo, ancora una volta, che se è vero che sosteniamo la società, abbiamo anche il potere di bloccarla.

L’8 marzo sta per tornare e le cose sono peggiorate per noi donne in questo Paese.

In un anno di amministrazione Trump non solo siamo state bersaglio di abusi verbali e minacce misogene sotto la veste di dichiarazioni ufficiali; il regime Trump ha messo in atto politiche che perpetreranno attacchi contro di noi in modo profondamente istituzionale.

Provvedimenti come il Tax Cuts and Jobs Act eliminano le esenzioni che favorivano i lavoratori a basso salario, la maggioranza dei quali sono donne. Si propone di distruggere i piani Medicaid e Medicare, gli unici due programmi in questo crudele panorama neoliberista rimasti a sostegno degli anziani e dei più poveri, di malati e disabili, della pianificazione familiare e dei bambini – e quindi delle donne, che svolgono la maggior parte del lavoro di cura. E, mentre l’atto nega la cura ai bambini figli di immigrati, introduce fondi di risparmio per il college per i “bambini non nati”, una maniera che fa rabbrividire per stabilire in maniera legale i “diritti” dei “bambini non nati”, assaltando quindi il nostro fondamentale diritto a decidere sui nostri corpi.

Ma questo non è tutto.

Con questi molteplici fronti di guerra aperti contro di noi, non ci siamo tirate indietro. Anche noi abbiamo risposto combattendo.

Quando lo scorso autunno alcune donne con una certa visibilità pubblica e con accesso ai media internazionali hanno deciso di rompere il silenzio sulle molestie e sulla violenza sessuale, le dighe del silenzio sono state finalmente aperte e un flusso di denunce pubbliche ha inondato la rete. Le campagne #Metoo, #Ustoo e #Timesup hanno reso visibile ciò che molte donne già sapevano: che sia nel luogo di lavoro o a casa, nelle strade o nei campi, nelle prigioni o nei CIE, la violenza di genere, con il suo impatto razzista differenziato, tormenta la vita quotidiana delle donne.

Ciò che anche è diventato chiaro è che il silenzio pubblico su qualcosa che abbiamo sempre saputo, sopportato e contro cui abbiamo lottato, non esiste solo perché abbiamo paura o proviamo vergogna nel parlare: il silenzio è forzato. È imposto da leggi del Congresso che obbligano le donne a passare per un percorso di counseling e mediazione di quasi un anno, se osano fare una denuncia ufficiale. È condizionato dal sistema giudiziario che di rountine liquida i racconti delle donne mettendo in atto ulteriori livelli di intimidazione e violenza. Nei campus universitari, gli amministratori sono disposti a trovare mezzi “legali” furbi per proteggere l’istituzione e il perpetratore della violenza, gettando le donne in pasto ai lupi. Le fondamenta razziste di queste procedure legali richiedono una risposta radicale.

#Metoo, #Ustoo e #Timesup non hanno solo esposto singoli stupratori e misogini, hanno strappato il velo che teneva nascoste le istituzioni e le strutture che permettono loro di esserlo.

La violenza di genere razzializzata è un dato internazionale e bisogna combatterla. L’imperialismo USA, il militarismo e il colonialismo promuovono la misoginia in tutto il mondo. Non è una coincidenza il fatto che Harvey Weinstein, nei lunghi anni in cui ha tentato di terrorizzare e mettere a tacere le donne, ha utilizzato l’agenzia di sicurezza Black Cube che è costituita da ex agenti del Mossad e da altre società di intelligence israeliane. Sappiamo che lo stesso Stato che invia denaro a Israele per brutalizzare la palestinese Ahed Tamimi e la sua famiglia finanzia anche le prigioni in cui sono morte donne afroamericane come Sandra Bland ed altre.

Perciò l’8 marzo scioperiamo contro la violenza di genere – contro gli uomini che commettono violenza e contro il sistema che li protegge.

Crediamo che non sia stato un caso che siano state le nostre sorelle con una certa visibilità sociale coloro che per prime hanno reso visibile ciò che tutte sapevamo. La possibilità che avevano di farlo era più forte di quella delle nostre sorelle con reddito inferiore, spesso di colore, che puliscono le stanze in quell’Hotel elegante di Chicago o delle sorelle che raccolgono frutta nei campi della California.

La maggior parte di noi non esce allo scoperto perché ci manca il potere collettivo nei nostri luoghi di lavoro e perché al di fuori di questi non abbiamo sostegni sociali, come il sistema sanitario gratuito. Il lavoro, con il suo misero salario, diventa l’unica cosa che abbiamo paura di perdere, è l’unico modo per procurare cibo alle nostre famiglie per fornire cura ai nostri malati o infermi.

Non è che noi teniamo la bocca chiusa. È che siamo forzate dal capitalismo a tenere chiuse le nostre bocche.

Quindi l’8 marzo usciremo allo scoperto a livello personale, contro gli abusi individuali che hanno cercato di rovinare le nostre vite, e usciremo allo scoperto collettivamente, contro l’insicurezza economica che ci impedisce di parlare.

Scioperiamo perché vogliamo mettere allo scoperto chi abusa di noi. E scioperiamo perché abbiamo bisogno di investimenti nello stato sociale e di contratti di lavoro che garantiscano un salario minimo per procurare cibo alle nostre famiglie, così come perché abbiamo bisogno del diritto a sindacalizzare, nel caso venissimo licenziate per esserci sollevate contro il loro abuso.

Perciò, l’8 marzo scioperiamo contro le incarcerazioni di massa, contro la violenza della polizia e i controlli dei confini, contro la supremazia bianca e i tamburi battenti delle guerre imperialiste USA, contro la povertà e la violenza strutturale nascosta che chiude le nostre scuole e i nostri ospedali, avvelena la nostra acqua e il nostro cibo e ci nega una giustizia riproduttiva.

E scioperiamo per i diritti sul lavoro, per i diritti delle e dei migranti, per uguali stipendi e un salario minimo, poiché la violenza sessuale sui luoghi lavoro è libera di inasprirsi quando mancano questi mezzi di difesa collettiva.

L’8 marzo 2018 sarà un giorno di femminismo per il 99%: un giorno di mobilitazione per donne nere e marroni, lavoratrici cis e bi, lesbiche e trans, per le donne povere e con reddito basso, per le lavoratrici di cura non pagate, per le sex workers e per le migranti.

L’8 marzo noi scioperiamo.

#WeStrike

*Traduzione a cura di Marta Autore