Sui fatti di Bologna, contro ogni strumentalizzazione

Mon, 13/02/2017 - 09:49
di
Giuseppe Lingetti e Fabio Sparagna*

Le immagini del violento sgombero della biblioteca universitaria di Via Zamboni 36 a Bologna lasciano senza parole. Un uso della forza totalmente gratuito e senza senso contro studenti che stanno chini sui libri, il cui unico risultato sono state le teste spaccate e la devastazione della struttura.
La biblioteca era stata occupata dopo la chiusura da parte dell'amministrazione dell'ateneo, risposta delle istituzioni in seguito alle proteste contro l'installazione di tornelli nella struttura, la gran “colpa” imputata agli studenti e alle studentesse presenti. Tutto ciò è avvenuto nell'ambito del clima di militarizzazione che ormai da tanto si respira nell'ateneo bolognese: l'amministrazione universitaria, infatti, non è nuova alla repressione violenta di proteste studentesche e già ad ottobre la celere era stata chiamata per pestare studenti che si mobilitavano contro l'aumento dei prezzi della mensa.

Il mese scorso anche all'Università Sapienza di Roma ci sono state proteste degli studenti sulla gestione delle biblioteche: una mobilitazione di circa una decina di giorni che ha interessato in particolare il Dipartimento di Fisica, grazie alla quale la biblioteca del dipartimento è stata salvata da un taglio di orario, riuscendo inoltre a ottenere un tavolo interfacoltà con l'amministrazione su biblioteche, aule studio e spazi per gli studenti e le studentesse. Anche in quel caso ci sono state occupazioni, anche in quel caso la mobilitazione non ha accettato passivamente l'iniziale assenza di risposta dell'ateneo; ancora più facile perciò immedesimarsi immediatamente in chi è stato malmenato a Bologna e solidarizzare. Del resto, quello delle carenze degli spazi e dei servizi per gli studenti è un problema che riguarda un po' tutti gli atenei del paese, causato da anni di riforme e provvedimenti che hanno incentivato una gestione aziendalista e privatistica dell'università, nonché devastanti tagli alle risorse e al personale. Se quegli esigui spazi disponibili rimasti vengono poi chiusi con tornelli o restrizioni varie, come nel caso bolognese, al danno si aggiunge la beffa. Che sia per permettere l'accesso solamente agli iscritti all'ateneo, oppure addirittura per impedire l'entrata di studenti di altre facoltà perché “non ci sono posti per tutti”, o, ancora, per “impedire il degrado” e quindi con il pretesto della sicurezza, vien da chiedersi se di fronte a tali problematiche abbia senso barricare gli spazi degli atenei. Se non ci sono posti per tutti, di certo la soluzione non è farsi la guerra tra studenti di facoltà diverse per contendersi le briciole o chiudersi al pubblico; molto più banalmente, servirebbe investire più risorse o organizzare meglio quelle esistenti per avere gli spazi necessari. Se il problema è il cosiddetto “degrado”, barricarsi è solo un modo per nascondere la polvere sotto il tappeto, una fuga dalla città e dalle sue contraddizioni in cui, che ci piaccia o no, l'università si trova. Rinchiudersi significa soltanto aver lasciato i problemi sulla soglia della biblioteca, e quindi incontrarli nuovamente appena usciti, è solo un modo per far lavare le mani a chi in realtà dovrebbe occuparsene.

Serve smontare questa retorica securitaria che ormai domina all'interno degli atenei, volta a sostenere una “politica della ruspa” in salsa universitaria che ha come unico risultato far saltare qualsiasi solidarietà tra studenti di diverse discipline e isolare l'università per inseguire l'illusione di poter fuggire dalle contraddizioni sociali. Nel caso di Bologna, pertanto, deve essere responsabilità dell'amministrazione comunale adottare politiche per combattere il disagio sociale e la criminalità organizzata, spesso prodotto proprio di scelte pubbliche miopi che hanno trasformato interi quadranti delle nostre città in luoghi di consumo gentrificati, asserviti alla speculazione e agli interessi privati. E' contro il Comune che l'ateneo dovrebbe puntare il dito, quella stessa amministrazione che adesso sta montando un caso mediatico oltre ogni immaginazione contro gli studenti che hanno protestato. Invece, gli studenti e le studentesse che hanno subìto il violento assalto della polizia in biblioteca con un assurdo capovolgimento diventano vandali responsabili della devastazione; l'università chiude la biblioteca in risposta alle proteste studentesche e senza alcuna logica la colpa diventa di chi ha protestato. E su queste basi si costruisce un castello di carte inquisitorio contro chi ha organizzato le azioni, arrivando addirittura ad ipotizzare l'associazione a delinquere. Una strumentalizzazione vergognosa volta solo ad eliminare qualsiasi dissenso, un attacco che approfitta altrettanto strumentalmente delle divisioni vere o presunte (e sorgono dubbi quando dietro il volto di "bravi studenti" scopriamo nascondersi attivi militanti dei partiti di governo...) tra gli studenti, di petizioni e quant'altro riportato dai media in questi giorni e in queste ore, su cui ci sentiamo di essere chiari: a prescindere dalla condivisione o meno delle ragioni della protesta, a prescindere dalle valutazioni sull'efficacia delle iniziative messe in campo, non si può rimanere impassibili davanti a quanto accaduto. La polizia che entra e agisce a proprio piacimento in un'aula di un'università pubblica evoca immagini del passato più o meno recente che non vogliamo rivivere, una sospensione dei principi democratici che condanniamo e che deve essere condannata senza se e senza ma.

Lo spazio di risoluzione delle istanze sollevate non può che essere la politica, e non l'aula di qualche tribunale come qualche sedicente "bravo studente" vorrebbe. Crediamo che la partecipazione collettiva e l'apertura verso l'esterno siano la miglior risposta ai problemi delle nostre città e delle nostre università, nonché il miglior antidoto a qualsiasi restrizione delle libertà imposta. Per questo la nostra solidarietà va anzitutto a chi in queste ore si trova sotto attacco mediatico o in stato di arresto e a tutti gli studenti e le studentesse che stanno continuando a mobilitarsi contro quest'assurda situazione. Nell'università di oggi, l'università della competizione selvaggia e dell' “ognuno per sé”, serve ripartire da pratiche e momenti di solidarietà e unione tra studenti e studentesse, in un contesto in cui questi concetti non sono più scontati. Per scardinare una guerra tra poveri ormai sbarcata anche negli atenei, per tornare a fare paura a chi ci smantella il diritto allo studio, per far saltare i meccanismi di disciplinamento presenti nell'università.

*Attivisti del Coordinamento dei collettivi della Sapienza di Roma