A scuola di… lavoro gratuito

Fri, 31/03/2017 - 12:32
di
Giovanna Caltanisetta

La legge 107 è la famigerata buona scuola che il governo Renzi ha voluto approvare a tutti i costi, per farne il fiore all'occhiello delle sue riforme, nonostante le proteste di docenti, studenti e sindacati, tramite fiducia nel 2015. Da fiore all'occhiello si è invece trasformata, secondo molti, nella mossa decisiva per il crollo di consensi verso il suo Governo, in un settore storicamente elettore del Pd. Nonostante le dimissioni di Renzi e la sostituzione della Giannini all'Istruzione, il Governo Gentiloni ha avviato l'iter conclusivo della legge 107 attraverso gli 8 decreti attuativi attualmente in discussione nelle commissioni parlamentari. I decreti riguardano:
• il sistema di formazione iniziale e di accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di I e II grado (atto N. 377);
• la promozione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità (Atto n. 378) ;
• la revisione dei percorsi dell'istruzione professionale (Atto n. 379) ;
• l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni (Atto n. 380);
• il diritto allo studio e carta dello studente (Atto n. 381) ;
• la promozione e la diffusione della cultura umanistica (Atto n. 382);
• il riordino della normativa in materia di scuole italiane all'estero (Atto n. 383);
• l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli Esami di Stato (Atto n. 384).

Questi decreti, per chi avesse ancora qualche dubbio, dimostrano da un lato la continuità tra il governo Gentiloni e il precedente e dall'altro l'applicazione dei principi del Jobs act all'Istituzione pubblica, in particolar modo per studenti e docenti.
Nello specifico per quanto riguarda l'alternanza scuola-lavoro, i commi 33-43 della 107 definiscono le nuove norme, tra le novità più significative l'introduzione di 200 ore da svolgere dal secondo biennio per i licei e raddoppia il monte orario per gli istituti tecnici e professionali che arrivano così a 400 ore di alternanza scuola-lavoro. L'aumento delle ore introduce il principio secondo il quale le ore di alternanza possono essere svolte anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche, ovvero durante le vacanze. Il risultato è la didattica totalmente subordinata ai percorsi di alternanza che finiscono per rappresentare solo una palestra per abituare gli studenti a lavorare gratis. Infatti, i dati relativi al primo anno dimostrano che molte scuole e molte realtà territoriali fanno fatica ad assicurare progetti di alternanza, basti pensare alle denuncie degli ultimi giorni che hanno dimostrato come gli studenti si siano trovati spesso a lavare i bagni o a servire caffè in autogrill.
I decreti del Governo Gentiloni relativi alla riforma dell'istruzione professionale e alla valutazione durante gli esami di Stato non solo proseguono ma accentuano questa tendenza. Ad esempio la riforma degli esami e della valutazione, tra gli altri scempi (sostituzione terza prova con una prova Invalsi, media del 6 per l'ammissione) assegna 20 crediti all'alternanza scuola-lavoro e sostituisce la tesina interdisciplinare con una relazione sul progetto di alternanza scuola-lavoro. Per quanto riguarda la riforma dell'Istruzione Professionale (decreto N.379), invece l'alternanza scuola-lavoro viene anticipata al secondo anno del primo biennio. Di fatto studenti e studentesse potranno iniziare a “lavorare” attraverso i progetti di alternanza scuola-lavoro addirittura prima dell'etá minima per l'accesso al lavoro attualmente pari a 16 anni. Così nel primo biennio più del 40% delle ore sarà destinato alle materie di indirizzo e ad attività di laboratorio e un 10% per apprendimenti personalizzati e alternanza.
Questa riorganizzazione incide sulla didattica generale, con un taglio delle ore sia alle materie di indirizzo sia a quelle dell'area comune, con conseguente riduzione del numero di cattedre. Da una prima analisi ad essere penalizzate potrebbero essere le discipline dell'asse storico-sociale, ovvero storia, diritto e geografia materie fondamentali nella formazione dei giovani. Riduzione che riguarderà nel secondo biennio e nel quinto anno toccherà anche all'asse dei linguaggi. In questo quadro la scuola e la didattica vengono totalmente subordinate ad una concezione utilitaristica dell'Istruzione, nella quale il tempo dello studio e della frequenza delle lezioni in classe si riduce mentre viene ampliato quello dell'addestramento professionale, che nella maggior parte dei casi vuol dire addestrare o forse “ammaestrare” le future generazioni al lavoro gratuito, alla logica di stage e tirocini! Inoltre se da un lato la didattica e la scuola vengono subordinate rispetto ai percorsi dell'alternanza scuola-lavoro, dall'altro lato nei luoghi di lavoro che accolgono “studenti in formazione” spesso la disponibilità di ore gratuito di lavoro si traduce in riduzione delle ore salariete del personale assunto, con conseguente risparmio e profitto per l'azienza a discapito di lavoratrici e lavoratori.
La logica del lavoro gratuito e del “tirocinio formativo permanente” appare evidente anche nel decreto che riguarda il reclutamento dei futuri docenti. Questi una volta conseguito il titolo accademico, dovranno sostenere un concorso che a differenza del passato non garantirà il ruolo o l'inserimento in una graduatoria di merito, bensì un periodo di formazione e di tirocinio triennale! Durante questo triennio i futuri docenti dovranno conseguire l'abilitazione (I anno) e seguire diversi corsi formativi (II e III anno) per giungere così alla valutazione finale da parte di una commissione giudicatrice. Nel caso di valutazione positiva si entrerà di ruolo altrimenti si rischia di essere espulsi per sempre dal sistema dell'Istruzione. Durante il I e il Il anno i "docenti in formazione" svolgeranno naturalmente delle ore di tirocinio, ovvero supplenze più o meno brevi a seconda delle necessità dell'ambito di assegnazione, il tutto ad una retribuzione di 400 euro mensili per 10 mesi. Solo al terzo anno il tirocinio potrà essere svolto attraverso una supplenza lunga, molto probabilmente annuale, e si avrà così la retribuzione prevista dai contratti a tempo determinato.

Di coseguenza, come già detto, appare evidente non solo la continuità tra il Governo Gentiloni e il Governo Renzi ma anche come il quadro normativo delle Riforme si inserisce nel contesto generale neo-liberista voluto dall'UE basato sulla ristrutturazione del mercato del lavoro. Una ristrutturazione che passa per la normalizzazione sin dai percorsi di istruzione, scuola dell'obbligo inclusa, del lavoro gratuito formativo che attraverso gli stage e i tirocini prosegue fino all'Università con il graduale abbassamento del costo del lavoro retribuito e di conseguenza dei diritti di lavoratrici e lavoratori. Le Commissioni parlamentari nonostante qualche osservazione e qualche lieve modifica che però non tocca la sostanza della Riforma generale dell'Istruzione, hanno dato parere favorevole ai decreti del Governo che molto probabilmente saranno trasformati in legge entro la metà del prossimo mese. Il tutto nella totale assenza di una mobilitazione unitaria in grado di coinvolgere studenti, genitori, docenti e società civile, perché la difesa dell'Istruzione pubblica dovrebbe essere una battaglia di tutte e di tutti. Nel mese di marzo ci sono stati due momenti importanti di mobilitazione, in cui si è verificata una presa di parola delle docenti e dei docenti. Lo sciopero globale delle donne dell'8 marzo, che all'interno del percorso Non una di meno vede la partecipazione di molte lavoratrici e molti lavoratori del comparto scuola, ha provato a portare in piazza anche questi temi indirizzando alla Ministra Fedeli una lettera che non ha ricevuto ancora risposta. Mentre i sindacati di base hanno lanciato uno sciopero per il 17 marzo che ha registrato una buona partecipazione. Momenti tuttavia insufficienti nel contesto attuale, in cui è sempre più evidente il fallimento della “buona scuola” su diversi fronti, basti pensare alla mobilità, al concorso docenti o alle gae della scuola dell'infanzia.
Per tutti questi motivi, a prenscidere dalle piccole modifiche delle commissioni parlamentari ai decreti, urge la ripresa di un discorso pubblico e di una mobilitazione generale, non solo del mondo della formazione, che metta al centro la difesa dell'Istruzione pubblica nel nostro Paese, prima che venga distrutta definitivamente trasformata in chiave utilitaristica e aziendalistica.