Riforma Carrozza: spunti di riflessione sulla riforma fantasma

Thu, 13/02/2014 - 23:07
di
Ateneinrivolta - Coordinamento nazionale dei collettivi

“Ragazzi, siate ribelli e non accettate le cose così come sono.” Parola di Maria Chiara Carrozza, Ministro dell'Istruzione.

Un invito rivoluzionario pronunciato solo qualche mese fa proprio mentre si svolgevano gli ennesimi test di ingresso che “valutavano” le capacità di tanti studenti e studentesse per accedere nelle facoltà a numero chiuso, infrangendo i sogni di chi non ha superato la prova o non ha ottenuto una votazione di almeno 80/100 alla maturità che gli potesse anche solo permettere di tentare.
Un'esortazione “ribelle” che suona un po' come presa in giro, soprattutto arrivando dopo appena un triennio dal 14 dicembre 2010, data di approvazione della Riforma Gelmini e che aveva visto scendere in piazza diverse migliaia di studenti per opporsi allo smantellamento dell'università pubblica, oggi ridotta in macerie anche grazie a quella cosiddetta riforma.
Riforma che chiude una serie di manovre finanziarie e politiche attuate già dai governi precedenti attraverso che vanno dal processo di Bologna del 1999 alla Riforma Moratti del 2003.

Un provvedimento, quello a firma Gelmini, che ha disegnato una nuova immagine di università, e che dopo appena tre anni dalla sua parziale entrata in vigore presenta già tanti punti critici che hanno messo in ginocchio gli atenei, vittime di tagli orizzontali, per rimediare ai quali si ricorre in maniera sempre più massiva, alle privatizzazioni e all’innalzamento delle tasse. L’Università che esce da questo processo di decadimento durato quindici anni è un’istituzione non più accessibile a tutti e che non è quindi più in grado di garantire il diritto allo studio e all’alta formazione.

“Sbagliando si impara” dice un antico proverbio. Probabilmente il concetto non è ben chiaro a chi si alterna sugli scranni del Parlamento italiano. Ed è altrettanto oscuro anche a questo governo delle “larghe intese”, troppo intento a rimanere a galla e accettare supinamente i diktat della BCE piuttosto che porre un freno allo sfacelo economico e sociale in atto nel paese. Troppo impegnato a sopravvivere a sé stesso, il governo, non ha tempo per guardare oltre il gossip, le alleanze e le sentenze della corte costituzionale, non ha tempo per preservare il futuro dell’istruzione e della ricerca, in pratica inchiodato al presente, non si cura di ipotecare al ribasso il futuro del paese.

Obbedendo alle parole d'ordine del merito e dell' eccellenza, il Ministro Carrozza annuncia a suon di premi per atenei “virtuosi”,il nuovo decreto presentato lo scorso 8 novembre durante la riunione del consiglio dei ministri; che di certo non fa un passo indietro rispetto all'ultimo provvedimento in materia di istruzione ma ne accelera gli esiti, conferendo al Governo la delega per poter agire con ampia autonomia su tutto ciò che riguardi l'istruzione pubblica e la ricerca. Dietro ai premi per gli atenei virtuosi si celano meccanismi perversi, i quali barattano la possibilità di nuove assunzioni e sblocco di una quota parte dei turnover, con la “salubrità finanziaria” dell’ateneo.

Indipendentemente dalla qualità della didattica e della ricerca, se si sana la situazione economica allora si accede ai “ricchi premi” ossia la possibilità di stabilizzare personale amministrativo e bandire concorsi per docenti e ricercatori. Il tutto poggia sull’aumento delle tasse, il taglio ai servizi, quali mense, alloggi per studenti, biblioteche e troppo altro, e la falcidiazione di fuoricorso, nel contempo ci si arrabatta per avere più iscritti e più laureati, onde evitare defalcazioni micidiali sugli FFO. Tradotta: le università dovranno cercare di bilanciare entrate e uscite, e per ottenere maggiore denaro utile ad appianare il passivo, dovranno avere un aumento del valore ISEF, ossia ulteriore innalzamento delle tasse e un minore numero di assunzioni e stabilizzazioni tra personale docente e ricercatori.

Al tema tributi si collegano altri punti fondamentali del provvedimento Carrozza, che destano molta preoccupazione, ossia finanziamenti e valutazioni che favoriranno solo una competizione “distruttiva” per tutte quelle università che si collocano su territori economicamente e geograficamente più svantaggiati rispetto ad altri, finendo con il suddividere l'insegnamento universitario in categoria di serie A e categoria di serie B. Una situazione che ora diviene “finalmente” allarmante anche per ricercatori e docenti, una situazione che durante la giornata del 28 novembre, ha visto 17 atenei del Sud Italia bloccare la didattica contro il Decreto Ministeriale 713/ 2013 sulla ripartizione dei punti organico approvato lo scorso 17 ottobre, che ha destato un senso di rabbia e ingiustizia anche tra gli scranni dei docenti, gli stessi docenti che però non hanno mai lesinato bacchettate alle agitazioni contro la riforma Gelmini…

La spending review del Governo Monti infatti, aveva previsto che le quote relative all’assegnazione dei Punti Organico, dovevano essere calcolate tenendo conto di un’aliquota dedotta dal 20% della somma dei Punti Organico relativi alle cessazioni del Personale a tempo indeterminato e del Personale ricercatore a tempo determinato a livello di sistema universitario verificatesi nell'anno 2012, creando così un unico database da cui attingere per assegnare i punti organico extra assegnati secondo criteri valutati sul valore ISEF, l’ indice che tiene conto di tasse, spese del personale, indebitamento.

Più è alto il valore ISEF più gli atenei sono ritenuti “virtuosi”: non a caso, per esempio, alla Normale di Pisa ci sarà il 200% del turn over effettivo, cioè un unità di personale assunta in misura raddoppiata rispetto a docenti andati in pensione, mentre alla Federico II di Napoli i punti attribuiti sono pari al – 18,83 e La Sapienza di Roma al -24, con un conseguente 50% del turn over per i prossimi due anni. Un quadro disastroso quindi, il cui rimedio prevede sempre la solita ricetta: tagli e sacrifici da dover affrontare per uscire dalla crisi e pagare il loro debito.

Non a caso la Riforma Carrozza non grazierà nemmeno il settore della ricerca, motivo per cui il neo presidente della CRUI Stefano Paleari accende già da ora un altro campanello di allarme: per le università erano stati stanziati 7,5 miliardi di euro, di cui uno è stato perso in solo quattro anni; così come 12.000 ricercatori hanno lasciato l'università e sono stati rimpiazzati solo dal 20% dei loro colleghi (circa 2000 sostituzioni/ riassunzioni in termini numerici). Sebbene non sia ancora entrata in vigore, la riforma riporta lo stesso procedimento: meno ricercatori e più flessibilità nella loro selezioni, costi che non graveranno sulla spesa pubblica (ma sulle nostre spalle), portabilità finanziamenti con cui i docenti titolari di fondi sceglieranno in quale ateneo andare ad insegnare e abilitazione scientifica che riduca il numero dei partecipanti ai concorsi.

Sebbene in una nota pubblicata sul sito del MIUR in data 18 novembre si affermi che “il testo è stato superato” (quindi non è questo il ddl su cui le commissioni dovranno esprimersi, ma sicuramente qualcosa di molto simile), le dichiarazioni della ministra Carrozza non lasciano comunque ben sperare per un'università e una ricerca che possa assicurare un'accessibilità distante dalle false logiche meritocratiche, aperta a tutti e a tutte.

Al Programma Ricerca Horon 2020, la stessa ha infatti applaudito all'emissione di bandi per 78, 6 miliardi di euro da sbloccare entro i prossimi sette anni, ribadendo come questi debbano essere distribuiti da assegnare agli atenei “virtuosi” e dinamici, che ottengano ottimi bilanci di gestione; e affermando come il futuro degli studi universitari sia da individuare nelle università telematiche, con cui poter uscire dai confini territoriali e raggiungere una formazione “eccellente” seguendo i MOOCS, corsi on line.

Ci chiediamo, dunque, come in un'università massacrata da una serie di tagli e ridotta in un grosso cumulo di macerie, nella quale studiare è diventato un privilegio, sia possibile auspicare una ripresa e sognare un'università che possa stare al passo con i tempi, quindi in grado di competere con gli atenei internazionali ed europei, come la cara Ministra ha affermato già più volte.
Non ci fidiamo di certe promesse, pronunciate da chi sta già preparando una riforma che produrrà un'ulteriore peggioramento nell'ambito accademico, negando la possibilità di studiare a troppi giovani che risentono dell'assenza di un welfare studentesco.

Solo nella città di Roma ci sono ben 80.000 studenti furisede, di cui solo il 4% ottiene un alloggio. Pensare di indurre alla chiusura gli Atenei del Sud Italia significherebbe impedire a troppi studenti di poter raggiungere i più alti livelli della formazione, soprattutto a causa delle ristrettezze economiche; restringendo così la formazione universitaria a fasce sociali sempre più esigue.
Pretendiamo un'università che sia veramente pubblica, nella quale non siano accettate logiche aziendali e speculative.

Vogliamo un'università che offra equità nella tutela del diritto allo studio, nella quale esita il concetto di qualità diffusa, senza disparità territoriali.

Soprattutto ribadiamo di non essere più disposti a tollerare alcuna logica meritocratica, con cui si barattano diritti ed eguaglianza in cambio di competizione e individualismo!
Non resteremo impassibili agli affondi dei vari governi, che confondono artificiosamente il merito con il privilegio. Non v'è merito se le porte del sapere vengono spalancate solo a chi può pagare; crolla quindi la menzogna della meritocrazia, l'ennesima maschera dietro la quale si cerca goffamente di nascondere l'intenzione di spezzare la società in chi ha e chi non ha.

Siamo una generazione alla quale non manca il coraggio di lottare per riprendere quello che è stato tolto; una generazione che non ha mai smesso di credere di poter realizzare i propri sogni, soddisfare la propria sete di saperi e conoscenza.
Sappiamo di essere ribelli, e lo saremo. Ci opporremo con tutte le nostre forze all'ennesimo tentativo di distruggere l'istruzione pubblica.

Ci rivedrete presto tornare ad invadere le strade e a riempire le piazze.

D'altronde, cara Ministra Carrozza, non dobbiamo mica accettare le cose così come sono.
A buon intenditrice.

da ateneinrivolta.org