La guerra e la libertà di insegnamento non vanno d'accordo

Wed, 02/03/2016 - 16:40
di
Collettivo Handala - Scienze Politiche Università di Bologna*

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione del collettivo di Scienze Politiche di Bologna sulle polemiche seguite alla contestazione delle lezioni del prof. Panebianco, editorialista del Corriere della Sera e sostenitore di tutte le imprese belliche degli ultimi vent'anni, causa dell'esodo epocale cui stiamo assistendo.

Nei giorni in cui il Consiglio Supremo di Difesa prepara un piano per invadere la Libia, il dibattito pubblico si concentra sulla presunta limitazione alla libertà di insegnamento del professor Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera. Noi studentesse e studenti di Scienze Politiche dell’Università di Bologna sappiamo benissimo che i nostri docenti hanno piena libertà di espressione, soprattutto quelli che scrivono sul secondo quotidiano nazionale. Per questo vogliamo rimettere al centro dell’attenzione il vero problema, perché se la libertà di insegnamento è ancora garantita, l’art. 11 della Costituzione viene ignorato nel silenzio generale.

La questione fondamentale è la democrazia, come emerge dalla concessione della base aerea di Sigonella per il decollo di droni d’assalto statunitensi: una decisione non ratificata dal Parlamento né dai cittadini. La nostra politica estera e di difesa non è democratica perché segue gli interessi economici di colossi industriali come l’Eni, storicamente insediata in Libia per l’estrazione dei più grandi giacimenti petroliferi dell’Africa. I nostri generali e politici cercano di garantire gli investimenti italiani imponendo un governo amico, come è già accaduto in Egitto, che dovrà tutelare con la forza il rispetto dei contratti. Ma chi pagherà i costi di un intervento armato? La risposta è la stessa da secoli: pagheremo noi con ulteriori tagli al welfare e all’istruzione, mentre le sorelle e i fratelli libici pagheranno con la morte e il terrore.
Tutto questo non viene insegnato e discusso nelle nostre scuole e nelle nostre università. Il nostro ateneo si deve ridurre al palcoscenico di chi rivendica l’impiego dei cannoni per raggiungere l’unità politica dell’Europa?

Non ci interessa la libertà di insegnare teorie belliciste, piuttosto rivendichiamo una didattica critica e indipendente dagli interessi economici e politici che sostengono missioni di massacro e devastazione. Infatti contestiamo le collaborazioni della facoltà di Scienze Politiche con i vertici della Nato, invitati ad offrire simulazioni agli studenti: non ci interessa recitare la parte dei signori della guerra, non è questo il ruolo del sapere accademico. Il nostro futuro dipende da quanto saremo in grado di liberare le università dai falsi maestri, coloro che sfruttano l’Accademia per fare propaganda bellica, pagati con stipendi pubblici.
La didattica di cui abbiamo bisogno deve mettere al primo posto la critica alle narrazioni ufficiali, deve indagare le alternative alla guerra per garantire l’autodeterminazione dei popoli.

Vogliamo un ateneo che diffonda consapevolezza nella società, perché il terrorismo sta offrendo al potere politico un’occasione per iniziare una guerra, cavalcando i pregiudizi e le paure. I comandanti in capo ed i loro propagandisti hanno cattedre e quotidiani, possono imporre modi di pensare e deviare il dibattito pubblico. Noi abbiamo la forza della conoscenza e della democrazia per estirpare la guerra dai luoghi del sapere. Non per noi: per tutti.

*Da il Manifesto