Arriveranno i nostri ?

Mon, 12/05/2014 - 12:51
di
Gresbeck

Non capita spesso di avere tra le mani un libro che tenta, facendo uso dei dati ufficiali, di ricostruire il reale peso e la reale consistenza della forza-lavoro in Italia nelle sue varie articolazioni. Questo è certamente uno dei meriti di Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell'Italia della crisi a cura dei Clash City Workers, edito da Usher (2014).
Dopo anni di confinamento nell'invisibilità mediatica, nella svalorizzazione sociale riportare nelle giuste dimensioni, anche solo quantitative, i lavoratori e le lavoratrici nei vari settori produttivi, nelle tipologie contrattuali e nelle fasce d'età è quanto meno utile per avere un supporto alle analisi politiche che poi si fanno. Quindi è sicuramente da seguire l'avvertenza dei CCW che bisogna leggere i dati ma soprattutto leggere nei dati. Le fonti ufficiali - Istat (censimenti e rapporti), Eurostat, Isfol ecc.- nella raccolta e nella pubblicazione dei dati spesso nascondono delle insidie perché la statistica non è una "scienza" neutrale e i metodi adottati nella classificazione permettono alcune estrapolazioni e correlazioni e non altre. Di questo i CCW sembrano consapevoli, provando anche a scongiurare il rischio di scattare solo un'immagine statica del moderno proletariato.

Il punto di partenza sono 17 milioni di lavoratori e lavoratrici dipendenti censiti - a cui se ne debbono aggiungere alcuni milioni tra lavoratori in nero, finte partite Iva e una serie di tipologie di parasubordinati che sono solo formalmente indipendenti - di questo paese che costituiscono quelli che più partecipano al processo di valorizzazione del capitale. Si passa poi a scomporre gli occupati nei vari settori, facendo un'anatomia del lavoro dipendente, fornendo anche una serie di indicazioni per l'intervento politico. Un lavoro di ricerca da prendere sul serio riflettendo soprattutto sui suoi limiti e le sue contraddizioni. Un modo questo anche per misurarsi con i propri limiti e contraddizioni.
Diciamo subito che la questione, che attraversa tutto il libro, che convince di meno è una certa idea "idraulica" della coscienza di classe. Il ragionamento è più o meno questo: gli attacchi alle condizioni di vita dei "nostri" in questi decenni li hanno "svuotati" della coscienza necessaria per lottare e organizzarsi, si tratta ora di "riempire" un soggetto che non è venuto meno, che esiste in quanto tale anche solo per la consistenza numerica. Un ragionamento, a nostro parere, piuttosto "idealista" che sottovaluta l'intreccio profondo tra sfruttamento, dominio e alienazione presente nei "laboratori segreti" del modo di produzione capitalistico. Modo di produzione che non si lascia imbrigliare nei canonici settori produttivi individuati dalla statistica. Li travalica sistematicamente nella produzione di valore e nell'incessante riproduzione sociale, uguale e diversa al tempo stesso, delle condizioni della sua esistenza. Siamo più propensi a pensare che coscienza di classe e formazione delle soggettività facciano parte di un unico processo con tutte le sue accelerazioni, le sue interruzioni e fratture. Disporre soggetti e coscienza sulla scala temporale del "prima l'uno e poi l'altra" si rischia di cadere in una concezione "aritmetica" della lotta di classe. E cioè che la sommatoria dei singoli fattori generi di per sé una trasformazione qualitativa di entrambi. Nella sostanza, detto in altri termini, gli istituti di statistica censiscono la forza-lavoro occupata, disoccupata, precaria non il proletariato e tanto meno la classe operaia.

Dire che la contraddizione tra capitale e lavoro è centrale nel capitalismo, se non si vuol fare solo polemica con i teorici delle moltitudini, significa impostare il problema, non risolverlo. Il capitale e il lavoro contemporanei non sono l'evoluzione lineare di quelli di 30 anni fa e nemmeno lo sono processi di soggettivazione. Se lo si pensa ci si infila in una interpretazione meccanicista che vede solo l'inevitabilità necessaria della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e mantenimento dei rapporti di produzione capitalistici. Da questo punto di vista, forse, le ripetute oscillazioni presenti nel libro sul ruolo e la natura delle organizzazioni sindacali confederali, quelle conflittuali o di base richiederebbero un discorso troppo lungo da affrontare qui, possono essere fatte risalire a questa idea di necessaria inevitabilità. Infatti, se si guardano due esempi riportati, quello del pubblico impiego in cui si rileva - a ragione - che i sindacati confederali sono ormai diventati elementi strutturali nella gestione della forza-lavoro insieme allo Stato, e dall'altra parte la situazione settore industriale propriamente detto in cui si imputa il freno sindacale alle lotte soprattutto all'incompetenza dei sindacalisti o al "tradimento" delle organizzazioni sindacali si tende a sottovalutarne la trasformazione in strutture di servizio fortemente gerarchizzate finalizzate in primo luogo alla propria riproduzione. Senza arrivare a classificarle tout court come delle specie di ONG nazionali ma alcune similitudini iniziano ad essere riconoscibili.

Infine sull'organizzazione. Sembra piuttosto semplificante e semplificatorio porre la questione dell'organizzazione politica della classe come una questione di " divisione funzionale del lavoro" adeguata alla struttura del capitale partendo dal presupposto che la "classe oggi è molto più omogenea che in passato, e nei prossimi anni lo sarà sempre di più". Qui, più che su tutto il resto, dopo la catastrofe della cosiddetta sinistra radicale o antagonista di questo paese, nessuno ha delle ricette. Tuttavia la domanda che continuiamo a porci è la seguente: che tipo di organizzazione politica è in grado di svolgere un ruolo attivo nella formazione di una soggettività e di protagonismo di classe e al tempo stesso esserne costantemente attraversata ? In questo caso la pedagogia sociale e la propaganda non ci aiutano molto. Sono questi alcuni temi e problemi che il libro dei CCW contribuisce a sollevare e che interpellano tutti coloro che continuano a interrogarsi sulla classe e il capitale.