Quanto ci costa inquinare l’aria

Fri, 16/12/2016 - 17:21
di
Vasco Avramo*

E’ di poche settimane fa la pubblicazione dell’inquietante dossier stilato dalla European Enviromental Agency, nel quale si certifica lo stato attuale dell’inquinamento atmosferico e si fa un bilancio delle misure applicate fino ad oggi. I dati più inquietanti, sui quali molte testate hanno scritto, riguardano il numero di morti premature associate all’inquinamento dell’aria, oltre 500.000 mila in Europa e 13.000 solo in Italia. Tale stima è effettuata tramite complessi modelli elaborati dalla W.H.O. (World Health Organization) che tengono conto delle concentrazioni degli inquinanti e la relazione fra le condizioni di salute e il grado di esposizione della popolazione a questi ultimi, in particolare quelli per i quali è accreditata una forte correlazione con le malattie respiratorie e cardiocircolatorie, come il famoso Materiale Particolato (PM), gli ossidi di Azoto e Zolfo (NOx e SOx) e l’ozono sulla superfice terrestre (anche detto troposferico).

Numeri da capogiro che raccontano di una strage, più silenziosa di altre, ma decisamente strage, visto che stiamo parlando di cifre che superano di gran lunga quelle delle morti annuali causate da incidenti stradali o di qualsivoglia terremoto. Ma la nostra salute non è la sola ad essere colpita da questi inquinanti, che influenzano pesantemente anche molte attività umane e gli ecosistemi. Ad esempio è ormai certificata l’attività di inibitore della crescita delle piante dell’ozono in eccesso, producendo danni sia alle coltivazioni che alle piante selvatiche, oppure l’effetto fortemente eutrofizzante di laghi e fiumi da parte dei composti azotati una volta disciolti in acqua o ancora quello acidificante dello zolfo.

Andando oltre nella lettura del dossier ci si accorge di altri dati e considerazioni altrettanto inquietanti, anche se meno trattate dai giornali. Illuminante il paragrafo “Impatto Economico”, che elenca tutti i costi diretti e indiretti causati dall’inquinamento dell’aria. Alcuni sono direttamente quantificabili come “costi di mercato” (es. diminuzione della produttività, danni all’agricoltura e aumento delle spese mediche) e per questi il rapporto parla di una cifra fra i 330 e i 940 miliardi nel 2010, cioè quasi l’1% del prodotto interno lordo dell’intera UE per quell’anno. Cifre che vanno considerate sottostimate a causa del fatto che alcuni costi classificati come “non di mercato” sono difficili da quantificare economicamente, ma in realtà hanno un impatto enorme. Cioè quei costi derivanti da danni a carico degli ecosistemi, che forniscono gratuitamente servizi a noi essenziali (come il ciclo dei nutrienti o il sequestro di Carbonio dall’atmosfera). Gli inquinanti, come quelli atmosferici ma non solo, possono agire compromettendone le proprietà e quindi il funzionamento. Il report non approfondisce l’argomento, che meriterebbe un dossier a parte, ma fa intuire l’enormità di un problema largamente sottovalutato.

A fianco a questi ci sono i costi “non di mercato” propriamente detti, sociali in altre parole, come l’aumento della mortalità in sé (nel senso di perdite di vite umane) e l’aumento di malattie e sofferenze patite dalla popolazione. Il benessere complessivo per capirci. Che non fa P.I.L., quindi non gode di molte attenzioni da parte delle politica, molto più interessata alla salute dei mercati piuttosto che delle persone.

Un quadro complesso e a tratti drammatico, che però dimostra inequivocabilmente come praticare politiche ambientali corrette non solo è giusto e salutare, ma che anzi non farlo è profondamente antieconomico.

A proposito di politiche attuate al riguardo, il dossier parla chiaramente di una riduzione sensibile nei livelli di concentrazione di tutti gli inquinanti, anche grazie all’adeguamento degli Stati membri alle direttive internazionali e europee della W.H.O. e della Air Quality Guideline (AQG). Ma dice altrettanto chiaramente che sono miglioramenti insufficienti e che vanno implementati con forza nei prossimi anni. Quindi la domanda sorge spontanea, i nostri Governi, locali e nazionali, si stanno adoperando per adempiere a questi obiettivi?

Purtroppo alcune considerazioni sulle scelte fatte fino ad oggi ci fanno pensare di no. Le fonti principali di inquinamento citate, fra le altre, dal dossier sono: il settore del trasporto, l’agricoltura, la produzione industriale, la combustione domestica, Il riscaldamento/raffreddamento degli edifici e la gestione dei rifiuti. Ognuna di esse presenta problematiche specifiche e quindi necessita di provvedimenti specifici, ma un problema trasversale a tutte quante è il grande utilizzo dei combustibili fossili, che costituiscono ancora oggi una delle principali fonti di inquinamento atmosferico. E’ notizia di qualche giorno fa che da questo punto di vista l’Italia detiene il triste record di incentivi in Europa alle fonti fossili, con circa 14,7 miliardi di stanziamenti l’anno. Sinceramente non sembrerebbe un segnale rassicurante per le prospettive di riconversione ecologica di questo Paese.

L’altro tema sul quale ci preme spendere una riflessione è quello della gestione del ciclo dei rifiuti, tristemente noto al nostro territorio e ai cittadini romani. Nonostante siano innumerevoli ormai gli studi sulla pericolosità degli impianti di incenerimento per quanto riguarda impatti sulla salute, questi continuano a godere di lauti incentivi statali, in quanto considerati all’interno dell’ambito della produzione di energia da fonti rinnovabili o assimilate. A volte basta aggiungere una piccola parolina “assimilate” per trasformare in energia green una fonte che non lo è per niente.

Una realtà ben nota per molti cittadini della Regione Lazio e che gli ultimi dati della comunità scientifica confermano pienamente. La Valle del Sacco ad esempio, tra le più inquinate d’Italia, per l’anno 2015 ha segnato il record del livello degli inquinanti aereo-dispersi, soprattutto PM10 e PM2.5. Ma questo territorio non è il solo a doversi occupare del problema dell’inquinamento atmosferico, infatti nel Settembre 2016 l’Arpa Lazio ha aggiornato la classificazione dei comuni del Lazio per la qualità dell’aria ed il quadro è allarmante. Metà del territorio regionale rientra in classe 1, cioè con le concentrazioni di inquinanti che superano le soglie consentite, esponendo la popolazione a i rischi sanitari ed ambientali elevatissimi.

Nonostante la questione dell’inquinamento sia sulla bocca di tutti e nessun Governo può fare a meno di promettere di spendersi in questo senso, gli studi ci consegnano ancora oggi un quadro preoccupante che necessita di interventi incisivi e immediati. Oltre che affollare i giornali e i meeting internazionali di annunci roboanti, sarebbe importante che la nostra classe dirigente locale e nazionale affronti questo problema (ma più in generale la questione ambientale) come una priorità assoluta di qualsiasi agenda politica ed economica. Anche perché ormai non funziona nemmeno più campare la scusa che i soldi non ci sono, visto che inquinare costa e pure parecchio!

*Fonte articolo: http://ugionline.it/2016/12/15/quanto-ci-costa-inquinare-laria/