Never trust a cop

Mon, 14/12/2015 - 18:13
di
Marco Palvarini e Luca Nistler

Decine di migliaia di persone il 12 dicembre hanno preso parte alle mobilitazioni per la giustizia climatica a Parigi.
L'Operation Red Lines, chiamata dal network 350.org e da Climate Justice Action, ha srotolato centinaia di metri di tela rossa, coperta da rose e tulipani in memoria delle "morti climatiche", tra l'Arco di Trionfo e Porte Maillot, tracciando un confine non valicabile rappresentante i 2°C di soglia massima aggiunti all'attuale riscaldamento globale. Come attivisti e militanti del blocco anticapitalista abbiamo urlato ancora una volta che le questioni climatiche non sono il business di multinazionali e aziende, e che il nemico é il sistema capitalista. Dalla strada gremita é cominciato un corteo improvvisato e determinato verso la Torre Eiffel (dove si stava tenendo il sit-in delle associazioni ambientaliste), un corteo che si é immediatamente arricchito dei portati di chi lotta contro lo stato d'emergenza e delle voci dei sans papier.
Una partecipazione ampia ad una mobilitazione per cui non erano affatto scontati questi numeri e che si é ritrovata a fare con i conti con un'ennesima illegittima non-soluzione alle questioni climatiche. In serata, infatti, 55 paesi del vertice Cop facenti parte della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (rappresentanti di meno del 55% delle emissioni dei gas a effetto serra) hanno votato l'accordo che entrerà in vigore dal 2020: mantenimento della temperatura globale con un innalzamento massimo di 2°C. Come ha detto il ministro degli affari esteri Laurent Fabius "il migliore equilibrio possibile"? Ovviamente no. La tattica utilizzata é di tipo meramente mediatico e punta a legittimare il vertice come accordo raggiunto all'interno del sistema stesso.
Il vertice non ha modificato in alcun modo il sistema dell'INDC (Intended Nationally Determined Contributions), che continuerà a funzionare esattamente come prima: ogni paese dichiarerà ad ogni Cop quanto ha intenzione di emettere in gas ad effetto serra per l'anno in questione. La soglia dei 2°C rappresenta dunque la facciata di un inquinamento atmosferico che porterà ben oltre i 3°C per il 2050. Considerando il fatto che l'accordo entrerà in vigore nel 2020 e la prima seduta di revisione sarà nel 2023 notiamo come ancora una volta sono le logiche di mercato a posporre il bene comune al profitto.
Nel testo dell'accordo notiamo anche come i termini "combustibili fossili", "industrie", "carbone", "petrolio" non vengono mai citati, e il termine "energie rinnovabili" viene citato solo parlando di paesi in via di sviluppo; tutto ciò é specchio di un atteggiamento clima-revisionista che neanche prova a lavarsi di verde con strategie di greenwashing ma che pone in questione la giustizia climatica come "importante per alcuni". E ancora il "least cost 2°C scenario", proposto dalla commissione di ricerca, fa affidamento sul nucleare e sulle energie fossili con metodi di cattura e sequestro del carbonio, le cosiddette "soluzioni dolci", per non intaccare i profitti. Nucleare che ha già mostrato la sua instabilità letale per l'ambiente in diverse occasioni, di cui Fukushima non è che l'ultimo episodio di una, intenzionale o meno, sostanziale incapacità di valutazione dei rischi.

Quello che questa COP21 ha confermato è che la sovranità degli stati è in mano alle corporazioni; le grandi corporazioni petrolifere non hanno cessato di stendere piani di crescita del profitto spesso aggirando o ignorando completamente i campanelli d'allarme degli scienziati di tutto il mondo. Basti considerare la testarda volontà della compagnia petrolifera Shell, che fino a qualche mese fa voleva stabilire una piattaforma di trivellazione con nuovi pozzi nel fulcro dell'emergenza climatica: l'Antartide, fino a poi dover sospendere l'operazione solo dopo essere giunti in loco. Ancora più eclatante fu il caso dell'Ontario, stato del Canada che nel 2012 aveva steso un piano strategico per favorire uno sviluppo di energia verde denominato "feed-in-tariff" basato sull'incentivazione fiscale a quelle aziende che avrebbero aiutato ad aumentare la quota di energia rinnovabile all'interno del mercato canadese; politica subito contestata dal WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, poiché limitante della distribuzione energetica delle grandi multinazionali e quindi contraria alle leggi del libero mercato. Un soggetto sovranazionale, quindi, interferisce con un intervento giudiziale nell'autonomia politica di un territorio. A prevalere èil concetto di crescita infinita del profitto a cui non si deve opporre alcuna alternativa che sia legata ad una dottrina produttivista ma un ecosocialismo sistemico.

Ancora una volta ribadiamo l'impossibilità di un capitalismo verde, accusiamo queste "soluzioni" come antisociali in una strategia della tensione antidemocratica della Cop21 nello stato d'emergenza prolungato.
La necessità di concepire il pianeta come bene comune e di non considerare la crisi climatica come problema antropico legato alla presenza umana ma un problema causato dal sistema capitalista e aggravato dalla globalizzazione degli scambi.

"Cop21 is not the solution, what we need is a revolution". Una rivoluzione ecosocialista e che parta dai movimenti sociali.