Si è aperta lunedì 11 novembre a Varsavia la 19-esima conferenza mondiale sul clima patrocinata dalle Nazioni Unite. L’esito di questa conferenza, che si chiude il 22 novembre, si profila tanto scontato quanto dannoso. In continuità con lo spirito di tutte le precedenti conferenze anche Varsavia mostrerà la chiara volontà di non assumere alcuna decisione realmente efficace contro il cambiamento climatico e i suoi effetti, proponendo l’ennesimo elenco di misure deboli e spostando alla successiva conferenza l’avvio di un reale e profondo processo di riduzione delle emissioni clima-alteranti. Questa conferenza, infatti, si limiterà a preparare Parigi 2015, anno in cui dovrà essere trovato un nuovo accordo globale vincolante dal 2020, anno di scadenza del vigente protocollo di Kyoto, completamente disatteso nell’applicazione oltreché debolissimo negli obiettivi. A fronte di una crisi ambientale globale le cui cause e le cui conseguenze sono state evidenziate nel quinto rapporto IPCC, pubblicato nel settembre scorso, le scelte politiche dei governi di tutto il mondo continuano ad essere determinate dagli interessi economici dei grandi gruppi dell’energia fossile. Oggi tale influenza risulta ancora più aggressiva, come emerge chiaramente dalle recenti pressioni all'UE da parte dei produttori di energia da fonti tradizionali, esercitate per porre un freno agli ingenti incentivi alle energie rinnovabili (si legga l’articolo “Perchè i giganti dell'energia provano a fermare le rinnovabili” di Tanuro). I maggiori responsabili del cambiamento climatico non perdono tempo e in questi stessi giorni proprio a Varsavia c'è stato un summit internazionale dedicato al carbone, alle nuove tecnologie e alle opportunità di innovazione e sviluppo (18 e 19 novembre). Una dimostrazione di forza da parte della lobby polacca del carbone, che costruisce il proprio appeal mediatico puntando sul carbone pulito e sull’uso di nuove tecnologie per la cattura delle emissioni nocive, tralasciando accuratamente di evidenziare come le nuove metodologie proposte abbiano un impatto del tutto imprevedibile, mentre è indiscutibile che le attuali 300 centrali a carbone d'Europa producono quasi un quarto delle emissioni europee di CO2, circa la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio ed un terzo di quelle di arsenico; emettono inoltre il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Sempre quest'anno nel mese di marzo si è tenuto a Roma un convegno organizzato dalle ambasciate di Polonia e Canada allineate su una strategia di forte sostegno alle cosiddette fonti non convenzionali di energia fossile, in particolare gas di scisto (shale gas) e sabbie bituminose (tar sands). La Polonia rappresenta uno dei Paesi più ricchi di gas di scisto, mentre il Canada è tra i principali produttori di petrolio da sabbie bituminose. La scelta di Roma come sede del convegno risulta tutt'altro che casuale, se si pensa che almeno due importanti aziende italiane sono già attive in Polonia: Eni e Sorgenia (gruppo CIR). A tale proposito va ricordato che Sorgenia nel 2012 ha iniziato le operazioni di trivellazione per l'estrazione del shale gas nel nord della Polonia, nell'ambito di tre licenze di esplorazione mentre Eni ha già raggiunto un accordo nel 2010 per l'acquisizione di Minsk Energy Resouces e diventare così titolare di tre licenze nel bacino baltico della Polonia (e nella confinante Ucraina), in un'area di 1.967 km quadrati. Ma l'azienda pubblica italiana dell'energia non si limita ad operare all'interno dei confini europei; dal 2008 infatti Eni è presente nel Congo Brazzaville, dopo aver ottenuto una concessione per l’esplorazione di olii non convenzionali in sabbie bituminose. Ha firmato un contratto che prevede, in cambio di investimenti per 3 miliardi di dollari, la possibilità di cercare su una superficie di 1790 km quadrati. A tal proposito si consiglia la visione di un interessante documentario-inchiesta prodotto da Terra Nerra.
Il petrolio da sabbie bituminose è disponibile soprattutto in Canada, Venezuela, Russia e Brasile. E’ una tecnica molto impattante: l’estrazione da sabbie bituminose lascia profonde cicatrici per quanto riguarda le emissioni di CO2 (superiori del 22 % a quelle del petrolio da estrazione tradizionale), il terreno “scorticato” e la grande quantità di acqua necessaria per il ciclo estrattivo (5 barili d'acqua per un barile di petrolio); inoltre studi condotti da ricercatori delle università di California-Irvine e del Michigan nella grande area petrolifera e gasiera di trasformazione di sabbie bituminose del Canada hanno evidenziato elevati tassi di tumori, legati alle sostanze chimiche cancerogene emesse durante il processo di lavorazione (si sono raggiunti livelli di contaminanti superiori ad alcune delle città più inquinate del mondo).
Il gas di scisto è un tipo di gas metano derivato da argille ed è prodotto in giacimenti non convenzionali, situati tra i 2000 e i 4000 metri di profondità e raggiungibili attraverso tecniche di perforazioni orizzontali e fratturazioni idrauliche. Ci sono giacimenti in nord America, America latina, Russia e Polonia. Durante l’estrazione il gas di scisto libera nell’atmosfera una elevata quantità di anidride carbonica (nell'intero ciclo una quantità superiore a quella del carbone). Inoltre la fratturazione del sottosuolo può renderlo instabile provocando terremoti fino al grado 3,6 della scala Richter. Altro rischio deriva dal mix di sostanze utilizzato per confezionare il fluido da pompare nelle fessure della roccia per aprirle e fare uscire il gas; di solito è formato al 99,5% da acqua e sabbia, ma nel restante 0,5% sono contenute sostanze chimiche che possono essere pericolose per la salute.
Va notato che produrre gas di scisto così come petrolio da sabbie bituminose non è sempre conveniente. L’estrazione degli idrocarburi non convenzionali, mediamente, diventa economicamente sostenibile solo quando il barile di petrolio supera i 70 dollari. Il prezzo del gas, quasi sempre, è collegato a quello del petrolio. Spremere gli scisti e lavare le sabbie, quindi, conviene solo finché il prezzo del petrolio è alto come negli ultimi anni. Si stima che l’industria del petrolio, a livello mondiale, abbia speso circa 1,5 trilioni di dollari negli ultimi tre anni (500 miliardi l’anno) in studi geologici, nuova strumentazione e attrezzature necessarie a estrarre idrocarburi non convenzionali.
Per questo motivo gli idrocarburi non convenzionali sono presentati dalla propaganda dei grandi produttori di combustibili fossili come “… una parte sempre più importante del cosiddetto mix energetico (insieme a carbone “pulito”, olio convenzionale, gas, nucleare e fonti alternative rinnovabili): non più contrapposizione tra le diverse fonti energetiche, ma un “lavoro di squadra” per sviluppare tecnologie sempre più ecocompatibili e sostenibili”. Proprio così recita il sito di Eni.
Per questo motivo il Canada ha minacciato ritorsioni commerciali contro l'Unione Europea in caso di boicottaggio del greggio estratto dalle sabbie bituminose.
Per questo motivo uno dei più ambiziosi progetti dell'amministrazione green di Barack Obama è rappresentato dall'oleodotto Keystone, che dovrebbe portare il petrolio canadese alle raffinerie statunitensi nell'area del golfo del Messico.
Interessi economici troppo elevati, legati a investimenti ingenti già contabilizzati nelle riserve delle grandi compagnie petrolifere, non lasciano dubbi sull'ennesimo flop della conferenza sul cambiamento climatico in corso di svolgimento a Varsavia.
Non si rassegnano a questa folle deriva le migliaia di attivisti/e, cittadini/e scese in piazza in Australia domenica 17 novembre per il Giorno nazionale contro il surriscaldamento climatico, per denunciare l’assenza di una politica attenta ai problemi ambientali e in particolare l’abolizione della tassa sul carbone; così come non si rassegnano le migliaia di persone, che si sono radunate, sabato 16, nel centro di Varsavia per richiamare i leader mondiali a rafforzare l’azione sul cambiamento climatico.
Non si rassegnano tutti/e quelli/e che credono che un intervento immediato e davvero efficace rispetto al cambiamento climatico e ai suoi effetti (già evidenti se si pensa all'ennesimo disastro prodotto dal tifone nelle Filippine e nel sud-est asiatico) debba necessariamente passare attraverso una mobilitazione sociale ampia e consapevole, in grado di contrapporsi alle pressioni dei grandi interessi economici e politici, coniugando le esigenze materiali diffuse di donne e uomini ai tempi della crisi e l'urgenza di ristabilire un nuovo equilibrio nei rapporti di scambio tra umanità e natura, a partire dagli stessi bisogni socialmente e democraticamente definiti e dalle risorse disponibili.
Fonti energetiche non convenzionali di distruzione di massa
Thu, 13/02/2014 - 11:44