“Patto per la salute”: come continuare a tagliare sulla sanità calabrese

Wed, 04/06/2014 - 22:30
di
Alessia Manzi

Non si fermano i tagli al settore della sanità pubblica nel Sud Italia, specie in Calabria. Se la sentenza del Consiglio di Stato fa sperare nella riapertura dell'ospedale di Praia a Mare, il Ministero della Salute annuncia la chiusura di altre strutture ospedaliere sull'intero territorio calabrese.

Nelle ultime settimane il cosiddetto “Governo del Fare” ha messo in campo una serie di provvedimenti, volti a colpire duramente le fasce più deboli: altro che 80 euro di più in busta-paga, subdolo contentino lanciato da Renzi per ottenere maggiore consenso e sentirsi legittimato ad andare avanti nelle sue riforme all'insegna dell'austerity.
Dal “Piano Lupi” sul diritto all'abitare che nega luce, acqua e gas alle occupazioni abitative al decreto “Roma Capitale” di Alfano, che invece mostra l'altra faccia della medaglia di uno Stato che tende a reprimere in ogni modo qualsiasi movimento sociale, fino a violare gli artt. 17 e 21 della Costituzione sulla libertà di espressione di manifestazione del proprio pensiero, proibendo i cortei per il centro della capitale.
L'escalation di violenze perpetrate nell'ultimo mese nei confronti delle fasce sociali più basse che da circa sette anni subiscono i pesanti attacchi della crisi, non ha risparmiato neanche il settore della sanità pubblica.

Proprio il 20 maggio scorso è stato presentato dalla ministra Lorenzin il “Patto per la salute”, che sarà presentato alla Conferenza Stato- Regioni di Giugno per poi essere attuato nei mesi successivi.
Un piano che si pone la finalità di riorganizzare il settore della sanità pubblica: dal riassetto dei prezzi sui ticket sanitari, da diminuire e distribuire maggiormente tra la popolazione, ai rimborsi sulle prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale da rilasciare con maggiore parsimonia; per finire con il calcolo delle esenzioni sanitarie da effettuare su base ISEE e non più IRPEF andando ad escludere da tale agevolazione molti malati, anziani, famiglie che producno un reddito ritenuto “alto”.
Insomma, un sistema sanitario che dovrà rispondere a tre parole d'ordine: risparmio, efficienza, tagli.
Su tutto il territorio nazionale saranno 192 le strutture ospedaliere costrette a chiudere i battenti, pari a più di 7000 posti letto che verranno a mancare; mentre 2800 saranno quelli convertiti in centri di assistenza.

In Calabria, ovviamente, il peso di questo riordinamento graverà come un macigno.
Si continua a procedere sulla stessa strada del piano di rientro della Regione portato avanti dalla giunta Scopelliti, con le “Case della salute” e i PPI (Punti Primo Intervento) aventi l'obiettivo di smistare le varie urgenze nei pronto soccorso più vicini. Inoltre, il Piano Lorenzin sul territorio calabrese chiuderà altri venti ospedali che possono ospitare meno di sessanta pazienti, come il presente decreto ministeriale prevede, lasciando altri 665 posti letto in meno e falciando altri 1300 posti di lavoro.
Una situazione drammatica, dunque.

Tra il 2009 e il 2013, in solo quattro anni, i posti necessari per i ricoveri ospedalieri sono stati diminuiti del 13%, pari a 3,7 posti letto per ogni 1000 abitanti.
L'insufficienza delle strutture sanitarie ha costretto i calabresi ad emigrare.
I cosiddetti “viaggi della speranza” dalla Calabria alle regioni limitrofe, solo nel 2013, sono stati ben 306 mila ( 13.589 in Basilicata, Lombardia 51.673, Lazio 66.672);il 12, 4% dei ricoveri effettuati, se pensiamo soprattutto che sono circa 52 mila le persone costrette a varcare i confini regionali per potersi sottoporre alle cure oncologiche.
L'assistenza sanitaria fuori dal territorio regionale ai pazienti, alle loro famiglie o a chi si è preso cura di loro è pesata ben 460 milioni di euro sulle loro tasche.
Viaggi della salvezza- si potrebbero definire- che sono necessari vista la carenza di servizi ed infrastrutture.

Solo nella provincia di Cosenza, in particolare sull'Alto Tirreno Cosentino, sempre più bacino di voti utili al candidato politico di turno che millanta promesse mai mantenute, 60 mila persone (15 comuni all'incirca) sono state private di un nosocomio.
A Praia a Mare, infatti, il 30 marzo del 2102, la strategia politica del governo Scopelliti decise che l'ospedale doveva essere chiuso e riconvertito in CAPT (Centri Assistenza Primaria Territoriale).
E così è stato, lasciando una popolazione che durante i mesi estivi raggiunge le 500 mila unità, senza un pronto soccorso e con il prossimo ospedale più vicino- lo Iannelli di Cetraro- a 70 km di distanza.
Un'evidente violazione dell'art. 32 della Costituzione che tutela il nostro diritto alla salute poiché non si sono tenute conto delle necessità territoriali e non sono stati garantiti i Lea (livelli esistenziali di assistenza), portando il Consiglio di Stato ad emettere la sentenza di appello che annulla il decreto dell'ottobre 2010 con cui il nosocomio di Praia a Mare è stato convertito in Casa della Salute.
Il ricorso è stato portato avanti dall'avvocato Spataro, nominato dalle amministrazioni dei comuni di Praia e Tortora e sebbene segni una prima piccola vittoria, si tratta solo di una tappa iniziale che non equivale all'immediata riapertura dell'ospedale.

Sarebbe necessario portare avanti l'istanza partendo dal basso, senza delegare alle preghiere e alle promesse millantate dalla passerella elettorale di turno.
Se si è aperta la possibilità di veder tornare in attività un ospedale, che porterà anche occupazione, starà anche ai sindaci e alla popolazione impegnarsi in prima persona per evitare che il proprio diritto alla salute sia calpestato per l'ennesima volta.
Ma in quante altre aree della regione Calabria si torna di nuovo a tagliare sulla sanità pubblica?
La battaglia va avanti, senza dimenticare che non bisogna arrendersi davanti a di chi continua a speculare sulle nostre vite in cambio dei propri profitti.